Fortuna e sfortuna, bene e male

Di Carlo Di Stanislao
Fortuna sfortuna

Nulla è più contrario alla ragione e alla costanza che la fortuna
Cicerone

È stata sfortuna o incoscienza quella di Schumacher e ancora, è sfortuna o cosa, quella che attanaglia 23 famiglie italiane in Congo, dove si trovano da un mese e mezzo per riportare a casa dei bambini adottati e che adesso temono per la loro vita e per quella di quei fanciulli che tanto hanno desiderato? Strane domande ed uno strano accostamento in questa chiusura di anno ancora una volta orribile, che si conclude con un campione in gravi condizioni per un fuori pista ed i sogni di un gruppo di connazionali che si tramutano in un incubo nefasto, in un altro paese e in un diverso continente, raggiunto per dar luogo alla generosità di chi voglia divenire, a dispetto della natura, genitore. La mente torna all’eccidio di Kindu, nel 1961 quando, nell’ex Congo belga, furono trucidati tredici aviatori italiani che facevano parte el contingente dell’Operazione delle Nazioni Unite e sognavano di pacificare quella parte del mondo.

Letta ha detto che il governo è vicino alla famiglie bloccate negli orfanotrofi e che chiedono insistentemente alle autorità italiane di partire in base ad un decreto che autorizza il ministro degli affari esteri ad emettere, per situazioni estreme e pericolose, un passaporto diplomatico. La ministro Emma Bonino, rispondendo a una domanda sull’appello dei genitori italiani bloccati nella Repubblica Democratica del Congo, ha detto che: “La Farnesina fa il massimo, anche in condizioni difficili” e che si è “deciso di rafforzare l’ambasciata in loco inviando due persone”, aggiungendo che a breve arriverà a Roma una delegazione governativa congolese, con la presenza anche del ministro della Famiglia, “per verificare le procedure”. E stavolta la mente corre ai Marò ancora detenuti in India, in una vicenda che non reca certo prestigio all’Italia e alla sua diplomazia.
Per molti la fortuna e la sfortuna non esistono, ma si tratterebbe solo di interpretazioni soggettive di qualcosa che può essere perfettamente spiegato con la statistica; ma per altri sono due realtà i cui segreti sono oggetto da sempre studio di discipline esoteriche o misteriche come la chiromanzia o l’astrologia.

Il tredicesimo aforisma del Tao Te King (libro che insegna l’arte del vivere e sopravvivere nel migliore dei modi) recita: “Fortuna e sfortuna fan paura. Ama come il tuo corpo la sciagura” e rimanda al divino Platone che ammonisce che il nostro corpo, è una tomba per l’anima,il sepolcro dell’anima, ma anche la pietra filosofale dalla quale si ricava l’oro. Scrivono i più avvertiti studiosi di taoismo che colui che ama il proprio corpo in funzione della vita, può rinunciare all’attaccamento passionale al suo involucro, ed affidarsi alla corrente dell’esistere. È lo spogliamento massimo del proprio ego a vantaggio di un io rigenerato, ed usando la maiuscola, diremmo un Santificato. Ed hanno amato ciò che la carne ed il corpo dettano, la prova e la continuità nel tempo e oltre la finitezza della vita, sia Schumacher che gli italiani in cerca di figliolanza, scegliendo di vivere e non lasciarsi vivere, come insegnano Sallustio prima e Giordano Bruno, poi, inserite in quell’alveo che il grande domenicano che non può essere guardato dritto negli occhi, nel luogo del suo supplizio, chiamò l’anima del mondo, la cui prima e principale facoltà è l’intelletto universale il quale “empie il tutto, illumina l’universo e indirizza la natura a produrre le sue specie”, che i pitagorici chiamano motore ed agitatore dell’universo, i platonici fabbro del mondo,principio formale costitutivo de l’universo e di ciò che in quello si contiene ed ancora principio vitale, che nella scelta anche perigliosa trova la sua realizzazione.

Quando parliamo di fortuna ci accendiamo di orgoglio, tronfi del fatto che è solo frutto della nostra abilità e saggezza essere riusciti a raggiungere certi eccelsi e sorprendenti risultati, sebbene increduli. Nel caso della sfortuna, invece, ci pieghiamo all’impossibile, ad una mano esterna atta a distruggerci sulla quale nessun controllo possiamo esercitare; e ci rivestiamo di lamenti e desolazioni. Ha ragione Sebastiano Todero: fortuna o sfortuna sono una questiona di scelte. Quando pensiamo alla “fortuna”, qualsiasi rappresentazione mentale possiamo farci, sicuramente pensiamo a qualcosa che ci favorisce; quindi aumentare la fortuna per molti significa aumentare il numero di occasioni in cui capitano eventi favorevoli e ridurre il numero di vicende che invece ci sfavoriscono. Per certi versi il ragionamento fila ma c’è un problema molto grave: cos’è veramente che ci favorisce? Quando è che possiamo essere sicuri che un evento apparentemente “negativo” non possa in realtà rivelarsi positivo di li a poco tempo o viceversa?

Vi è una storia tradizionale cinese che rileggo molto spesso ed ho riletto in queste ore, mentre un anno declina ed uno nasce, mentre un temerario è in coma e dei genitori pieni di desiderio rischiano la vita con i figli che hanno voluto, contro ogni ragione.
C’era una volta un contadino cinese, era molto povero, per vivere lavorava duramente la terra con l’aiuto di suo figlio, ma possedeva il grande dono della saggezza.
Un giorno il figlio gli disse: – Padre che disgrazia, il nostro cavallo è scappato dalla stalla!
– Perché la chiami disgrazia? – rispose il padre – Aspettiamo e vediamo cosa succederà nel tempo!
Qualche giorno dopo il cavallo ritornò portando con sè una mandria di cavalli selvatici.
– Padre che fortuna! Esclamò questa volta il ragazzo. Il nostro cavallo ci ha portato una mandria di cavalli selvatici.
– Perché la chiami fortuna! rispose il padre. Aspettiamo e vediamo cosa succederà nel tempo.
Qualche giorno dopo, il giovane nel tentativo di addomesticare uno dei cavalli, venne disarcionato e cadde al suolo fratturandosi una gamba.
– Padre che disgrazia, mi sono fratturato una gamba.
Ma anche questa volta il saggio padre sentenziò: – Perché la chiami disgrazia? Aspettiamo e vediamo cosa succede nel tempo.
Ma il ragazzo per nulla convinto delle sagge parole del padre, continuava a lamentarsi nel suo letto. Qualche tempo dopo, passarono per il villaggio gli inviati del re con il compito di reclutare i giovani da inviare in guerra. Anche la casa del vecchio contadino venne visitata dai soldati reali, ma quando trovarono il giovane a letto, con la gamba immobilizzata, lo lasciarono stare per proseguire il loro cammino. Qualche tempo dopo scoppiò la guerra e molti giovani morirono nel campo di battaglia, il giovane si salvò a causa della sua gamba zoppa. Fu così che il giovane capì che non bisogna mai dare per scontato né la disgrazia né la fortuna, ma che bisogna dare tempo al tempo per vedere cosa è bene e cosa è male.

Ma forse la riflessione deve essere portata ancora oltre e dolorosamente, verso quella che Pasolini da noi chiamò una nuova “ontologia”. In un suo spettacolo intitolato “Made in China”, Roberto Capaldo ci racconta di Zuo Jaobing, un ex maoista, ex comunista, ex contadino, ex peraio ed ex vivo, extra terrestre perché cinese ma in Italia, quindi assolutamente diverso e incomprensibili con il suo corpo adagiato sulle spalle di Chang Showei, amico di sempre, che cammina a lungo, per chilometri, per giorni ed attraversa lo sterminato Impero Economico della Cina del XXI secolo per dare a quel corpo l’onore della sepoltura nel luogo natale. Andando contro le regole del mondo “civile”, Chang compie involontariamente un atto eroico, guidato solo dal proprio istinto e dalle proprie “scarpe”. Un intreccio di storie vere che, passando dalla rivoluzione culturale di Mao alle condizioni dei lavoratori asiatici, arriva fino a noi, per i quali il Made in China è solo la targhetta sui prodotti che acquistiamo. Maschere, pupazzi, volti del Teatro d’Opera di Pechino, ventagli del Tai Chi, ritmi adrenalinici di pubblicità pluripremiate, il libretto rosso, ombre, luci, proiezioni, disegni animati, una TV rotta e una scarpa e l’incapacità ci capire Schumacher o i desiderosi genitori, tanto in pericolo e lontani da casa.