Default in sanità: tagli ed altri problemi
Di Carlo Di Stanislao
“L’indifferenza e il profitto sono la tomba di ogni iniziativa benefica”
Italo Nostromo
Ha un bel dire la riconfermata ministra Lorenzin che ciò che si risparmia si rinveste sempre in sanità, i fatti ci dicono che ancora tagli saranno erogati al già falcidiato SSN, per un ammontare di 3 miliardi quest’anno, 18 nel 2015 e 34 l’anno successivo. Il Commissario per la spending review Carlo Corlarello, in audizione alla Commissione Bilancio del Senato, ha illustrato il suo pacchetto di misure per ridurre la spesa dello Stato, sottolineando l’assenza di tagli a istruzione e cultura, così come il fatto che le fasce di reddito più deboli saranno esentate da queste azioni e suddividendo il suo intervento in due macrogruppi: quelli di immediata applicabilità, che potranno portare risultati già dal 2014 e quelli che richiedono riforme strutturali della spesa che vanno iniziate ora ma che avranno effetti solo nel 2015 e 2016. Secondo lui sono ancora possibili risparmi in Sanità, intervenendo soprattutto sui ricoveri inappropriati e su una più diretta applicazione dei costi standard, il tutto realizzabile all’interno del Patto per la salute con le Regione, ma senza chiarire se i risparmi ottenuti resteranno alla sanità o andranno a sostenere le manovre fiscali del Governo.
Certamente in Sanità vi sono sprechi e inappropriatezze e certamente inquieta la recente vicenda “Avastin/Lucentis”, che al di là dei profili amministrativi e forse anche penali, secondo quanto argomentato anche dal professor Umberto Tirelli, oncologo di fama dell’Istituto oncologico di Aviano, rischia di mettere in secondo piano la vera questione, che è quella del costo elevatissimo delle terapie innovative, anche quando l’innovazione, come nel campo oncologico, si misura spesso non in una sostanziale remissione della malattia, ma magari in un allungamento della sopravvivenza misurabile in poche settimane o qualche mese di vita in più. In proposito ricordiamo che lo stesso Avastin, se usato in oncologia (patologia per la quale è registrato e messo in commercio in Italia nella fascia H del prontuario), non costa poco ed il prezzo rimborsato dal Ssn varia dai 305 euro per la confezione di 4ml ai 1.200 euro per quella da 16. La questione della sostenibilità economica della spesa farmaceutica è rilevante e va assolutamente affrontata da tutti gli attori in campo, partendo dal vero vulnus del problema e cioè riconoscere, una volta per tutte, che negli anni i progressi fatti sui farmaci hanno portato ad un allungamento della speranza di vita dei pazienti per molte patologie ma, allo stesso tempo, considerare che stiamo registrando un aumento della spesa esorbitante e spesso non giustificata dai benefici reali che certi medicinali hanno sui pazienti.
Per fare alcuni esempi, mentre sull’Hiv/Aids i progressi scientifici ci hanno portato ad avere farmaci che di fatto hanno trasformato una malattia che fino a qualche decennio fa portava quasi alla morte del paziente, ad una patologia cronica che consente per esempio ad un quarantenne che scopre di avere il virus e usa i farmaci a disposizione, pur costosi, a vivere almeno altri 35 anni ed in questo caso un costo elevato dei farmaci è giustificato da un adeguato vantaggio in termini di salute per il paziente e a un grande risparmio sanitario per l’assenza delle malattie infettive e non associate all’Hiv, nel caso, penso per esempio, di numerosi tumori solidi, dal progresso farmacologico non si sono ottenuti grandi risultati nel miglioramento della speranza di vita e spesso molti medicinali sono immessi sul mercato a prezzi elevatissimi pur garantendo minimi vantaggi. E se pensiamo che l’80-90% della spesa sanitaria avviene nell’ultimo mese di vita si capisce bene la natura del problema. Se poi si considera che nei prossimi anni avremo certamente un aumento di determinate patologie, possiamo facilmente immaginare che i costi sono destinati ad aumentare e, questi, assieme ai tagli, creeranno sempre meno risorse per degenza, manutenzione e personale sanitario.
A questo punto, da parte dei medici, serve una seria assunzione di responsabilità, perché la coperta delle risorse è quella che è, per cui aumentare la spesa farmaceutica vorrebbe dire tagliare su personale e ricerca. Anche perché, anche l’American Society of Clinical Oncology (Asco) è intervenuta di recente sollecitando l’astensione o la riduzione dei trattamenti in certe fasi della malattia. Occorre in primis che le autorità nazionali e internazionali del farmaco valutino molto più attentamente il rapporto costo-beneficio per la collettività di un nuovo farmaco prima di approvarlo e/o sanzionarne il prezzo. In Gran Bretagna per esempio un nuovo farmaco ormonale per il tumore alla prostata molto costoso non è stato approvato dall’agenzia regolatoria Nice perché aveva vantaggi limitati e costi molto elevati. Successivamente dopo una trattativa rimasta molto riservata il farmaco è stato approvato ma a costi molto inferiori. In questo senso anche le aziende farmaceutiche hanno un ruolo dirimente. Se è vero che bisogna riconoscere a queste ultime i costi della ricerca (1 farmaco su 1.000 sostanze testate entra alla fine sul mercato) è altrettanto vero che andrebbero ridotti i costi di promozione (ad esempio quei convegni troppo finalizzato alla singola molecola senza fornire un adeguato dibattito anche sui costi e sull’impatto per i servizi sanitari). Forse non ce lo possiamo più permettere e forse sarebbe più giusto che le aziende aprissero i loro mercati UE dove alcuni medicinali non ci sono perché troppo costosi.
E poi, ogni volta che ci troviamo di fronte ad un nuovo farmaco devono essere chiaramente illustrati i reali benefici che esso apporta, senza dimenticare però le tossicità che non sono spesso ben indicate, e soprattutto bisognerebbe sempre specificare dopo la frase “vi è stato un miglioramento della sopravvivenza” anche di “quanto”. Troppo spesso quando si promuove un nuovo prodotto si pensa sempre che esso offra una soluzione definitiva al problema, e così spesso viene recepito dal paziente e dall’opinione pubblica, anche quando i vantaggi reali non sono rilevanti. Quanto a noi medici, infine, tutti abbiamo una grande responsabilità, perché se è vero che è nostro compito seguire le linee guida su sicurezza, qualità e appropriatezza delle terapie è anche nostro compito valutare quando sia veramente necessario un farmaco, cioè dobbiamo usare anche ragionevolezza e buon senso. Non si può dire come fanno molti oncologi che: “il problema dei costi non ci riguarda”. Essi hanno invece un impatto negativo sul complesso dei nostri budget con ripercussioni anche pesanti sulla stessa qualità globale dell’assistenza, contribuendo ad evitare quello che potrebbe diventare a breve un vero e proprio default economico e di salute del nostro Ssn.