Chen Guangbiao l’ingombrante magnate cinese
di Carlo Di Stanislao
Presidente della Jiangsu Huangpu Recycling Resources Corporation, Chen Guanbiao, nella sua pagina di Baidu Baike – la Wikipedia cinese – non lesina su riconoscimenti e premi ricevuti negli ultimi quattro anni: eroe esemplare dei soccorsi post-terremoto, quattro volte consecutive vincitore del Premio Benevolenza riservato ai filantropi cinesi, vincitore del Premio Primo Maggio, una delle massime onorificenze della classe operaia socialista della Repubblica popolare cinese e via dicendo. Dal 2008 in avanti, ad ogni rilevante catastrofe naturale che potesse rientrare nel suo raggio d’azione, Chen Guangbiao non ha mai mancato di mettere in piedi il suo personalissimo show della carità, smuovendo non solo considerevoli quantità di denaro, ma anche un gruppo di agiografi pronti a fissare nella Storia le eroiche immagini di un soccorso in Sichuan, di una donazione a un ospedale o di una contro-donazione ai compatrioti di Taiwan – per ringraziarli dei loro precedenti aiuti per il sisma di Wenchuan – fino ad arrivare alla recente performance sino-giapponese, documentata con dovizia su stampa nazionale, social network e microblog di tutta la Cina.
Il 12 marzo 2011, quando la notizia del disastro naturale giapponese era ormai sulla bocca di tutti, Chen Guangbiao si reca in Giappone con la sua troupe per donare personalmente 13 milioni di yen e 30 tonnellate di materiali di soccorso alla popolazione terremotata. Le foto postate sul suo microblog ripercorrono le ore dei soccorsi: Chen che estrae dalle macerie un’anziana signora; Chen con in mano due sacchetti di aiuti davanti a due camioncini decorati con enormi bandiere cinesi; Chen in posa plastica alla Mao Zedong – sguardo verso l’orizzonte, braccio teso e dito ad indicare il futuro – sopra ad un cumulo di detriti; Chen che distribuisce donazioni di 2 milioni di yen e 100 yuan nelle cassette delle offerte degli studenti giapponesi in fila lungo il ciglio della strada, consegnando loro anche il suo biglietto da visita. La missione dell’eroe Chen viene ripresa dall’informazione in patria, destando ammirazione mista a critiche nazionaliste: quei soldi, sostengono in molti, potevano essere usati per aiutare i terremotati cinesi dello Yunnan – colpito negli stessi giorni del terremoto giapponese da una scossa di 6 gradi Richter nel distretto do Yingjiang – anziché spenderli per i giapponesi. Così l’imprenditore del Jiangsu, di umili origini contadine e con un’infanzia passata a macinare chilometri a piedi per trasportare acqua dalla città al suo villaggio, decide di rispondere alle critiche coi fatti. Anche in quella occasione Chen fu criticato e secondo il Nanfang Daily, i volontari nella foto non avrebbero nemmeno chiesto quei soldi e sarebbe stato loro ordinato di sventolarli a favore di flash.
Lo Yangtze Wanbao sollevò invece una questione morale: al di là dell’indubbia generosità economica, è giusto che simili baracconate di beneficenza vadano a discapito della dignità delle persone in difficoltà? Non rischia Chen Guangbiao, con la sua opinabile estetica della carità, di mettere in cattiva luce tutta le opere di solidarietà cinese? Forse allora si comprendono le campagne denigratorie a più riprese della stampa vicina al governo, iniziative che, inoltre sono molto mal vissute dagli altri neo-miliardari cinesi, come quando Chen annunciò di voler devolvere, dopo la morte, tutte le sue ricchezze alla Giving Pledge di Gates e Buffet, invitando gli altri tycoon della Repubblica popolare a impegnarsi in una simile promessa. In Cina, la crescita dei ricchissimi dal 1992 a oggi è stata folgorante in progressione del 12%. Come conseguenza c’è una grandissima attrazione verso l’industria del lusso (il costruttore delle Bentley ad esempio, ha affermato di aver venduto 70 auto in Cina a 240 mila euro per un modello di base).
Le categorie di ricchi oggi sono di due tipi: gli uomini legati al partito e i grandi imprenditori. Infatti lo sviluppo del capitalismo è stato molto condizionato dall’invadente onnipresenza del Partito Comunista che ha circoscritto i settori in cui si potevano sviluppare le attività economiche private. I ricchi legati al Partito hanno accesso a ogni attività, compresi gli ambiti che dipendono dalla proprietà pubblica. Solitamente si tratta di figli degli alti dignitari del Partito, e questo gli ha permesso di entrare in affari senza il pericolo di affondare. Vicino a loro ci sono i boss delle imprese statali e i funzionari che non sono censiti fra i cinesi più agiati, perché i loro salari non sono stabiliti dalla legge, ma i poteri di cui dispongono (autorizzare gli investimenti, le privatizzazioni, controllare le materie prime e le risorse finanziarie nelle banche di stato) li mettono in condizione di realizzare guadagni illegali. Il secondo gruppo di ricchi è quello dei capitani d’industria, i milionari che hanno fatto fortuna dove il governo ha autorizzato lo sviluppo della proprietà privata. Il settore immobiliare è all’origine di parecchi successi economici insieme alle new economy di internet.
In maggio il governo cinese ha annunciato 6 misure per ’raffreddare’ il mercato immobiliare cinese in piena ebollizione, promettendo anche la costruzione di abitazioni a basso costo. Le autorità locali saranno responsabili per il controllo dei prezzi immobiliari e saranno resi più severi i controlli affinché vengano rese note tutte le transazioni. La mossa giunge dopo l’aumento delle lamentele degli acquirenti sui prezzi in continua crescita, e alcuni hanno addirittura fatto ricorso al boicottaggio nazionale dell’acquisto della case per i prossimi tre anni. I milionari cinesi hanno però un’influenza politica molto fragile: infatti il Partito comunista li corteggia perché ha bisogno di loro per creare impiego. Ma il Partito ha anche il potere di annullare le fortune di queste persone: la lista dei busyness-man annientati dal governo è più lunga di quella Russa, e questo senza che la stampa dica niente. A differenza degli anni ’80 e ’90, i cinesi mostrano la loro ricchezza: si distinguono spendendo e consumando per lasciare alle spalle anni di egualitarismo esasperato. I nuovi ricchi del paese investono moltissimo nell’educazione dei figli, soprattutto per mandarli a studiare all’estero.
In 25 anni la Cina è diventata uno dei paesi con più disuguaglianze al mondo: il reddito medio per abitante è 120 euro l’anno, e circa 700 milioni di persone vivono con meno di due euro al giorno. Per migliorare la situazione dei poveri molti nuovi ricchi donano denaro ai “lavori della speranza” gestiti da agenzie semigovernative. Questi soldi vanno a compensare la mancanza di investimenti statali nei settori dell’educazione, della sanità e dell’approvvigionamento idrico, problema grave le regioni interne e ovest del paese. Nelle città cinesi si sta assistendo a fenomeni gi “gentifricazione”: cioè la trasformazione progressiva dei quartieri più poveri in elité della moda. A Pechino per esempio tutto ciò che è antico è stato abbattuto per fare spazio a grattacieli, autostrade urbane, e altri orrori urbanistici. Tra i Paesi del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), la Cina apre la strada con il maggior numero di miliardari (115) e la peggiore delle disuguaglianze in tutta l’Asia, in netto contrasto con il suo passato comunista, quando era il Paese più egualitario del mondo. L’esame della fonte della ricchezza di super ricchi della Cina dimostra che essa è stata provocata dallo sfruttamento del lavoro nel settore manifatturiero, la speculazione nel settore immobiliare, quello delle costruzioni e del commercio.
La Cina ha sorpassato gli Stati Uniti come maggior produttore al mondo nel 2011, a causa del super-sfruttamento del lavoro in Cina e la crescita del capitale finanziario parassitario negli Stati Uniti. Tuttavia la classe operaia cinese sta facendo una significativa intromissione nella speculazione della sua elite produttiva e immobiliare. A seguito della lotta di classe, i salari sono cresciuti dal 10% al 20% negli ultimi 5 anni; le proteste da parte di agricoltori e famiglie urbane contro gli sfratti sanciti dallo Stato degli speculatori immobiliari hanno superato le 100.000 all’anno. Lo scorso 14 aprile Hurun, la versione cinese della classifica di Forbes, ha documentato che in Cina una persona su 1.400 ha più di 1 milione di euro ed ha registrato una crescita di nuovi ricchi pari al + 9,7% rispetto allo scorso anno. A questi e’ stato richiesto un solo requisito per essere inseriti nella classifica: avere un patrimonio pari o superiore ai 10 milioni di yuan. L’impennata ha fatto salire il numero dei milionari cinesi a 970mila. Ugualmente in rialzo la percentuale dei super ricchi (coloro che dispongono di più di 15 milioni di dollari) che, con il +9% rispetto al 2010, salgono ora a 60mila.
Quanto al profilo, rivela ancora il rapporto, i milionari cinesi sono molto diversi della loro controparte occidentale, una differenza visibile già a partire dalla loro età media (39 anni), 15 in meno rispetto agli occidentali. Consistente anche la percentuale di quote rosa: di questi ricchi un terzo e’ rappresentato da donne. Più alta è invece l’età media dei super ricchi (43 anni) proprietari, questi ultimi, di almeno tre case, cinque orologi di lusso e quattro auto. Per quanto riguarda invece la scelta della residenza in molti casi la preferenza ricade su Pechino – dove vivono circa 170mila milionari – seguita poi dalla provincia del Guangdong e da Shanghai. Dal punto di vista geografico, Hurun rivela che la zona più ricca e’ sicuramente quella orientale dove si concentra il 42% dei milionari. Rimane da chiedersi in che modo questi Paperon de’ Paperoni cinesi abbiano costruito il loro impero. Ed è ancora Hurun a rivelarlo: il 55% e’ costituito da uomini di affari, il 20% da speculatori immobiliari, il 15% da agenti di borsa, mentre il 10% e’ rappresentato da dirigenti aziendali.
In realtà il rapporto tiene conto solo dei milionari ’dichiarati’ e secondo quanto riferito da Rupert Hoogewerf, presidente e ricercatore dell’indagine di Hurun all’appello mancherebbero oltre 4.000 nuovi ricchi. Ma mentre una grossa fetta di popolazione si arricchisce, un’altra diventa sempre più povera, complice anche l’inflazione galoppante. E la forbice tra ricchi e poveri si allarga sempre di più, così come si incrementa la campagna di odio e diffamazione contro gli ex poveri che, divenuti ricchi, mostrano anche una qualche generosità. Per noi, sino a prova contraria, Chen Guangbiao resta un imprenditore conosciuto non solo per essere tra i 50 uomini più ricchi della Cina, ma anche per essere uno dei maggiori filantropi di questo Paese, che, solo negli ultimi 10 anni, ha donato 1,34 miliardi di yuan a favore di almeno 700.000 persone in difficoltà.