Addio a Massimo Gallucci

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La sensazione estetica può diventare una scienza e l’originalità essere coltivata, come una disciplina.
– Ferdinando Pessoa

Da quattro giorni ho perso un caro amico: Massimo Gallucci, professore ordinario di neuroradiologia, medico e uomo di straordinarie qualità, che amava la medicina, ma anche la musica, la letteratura ed il cinema e con cui spesso, mi capitava di argomentare su questi temi.

Penso a lui e mi viene in mente il titolo di una mostra che ho intenzione di andare a vedere, che si è aperta il 20 maggio a Roma, realizzata con le foto di Leticia Ruiz Rivera, medico specializzando e fotografa che lavora nel reparto di Medicina Interna dell’Ospedale San Cecilio di Granada (Spagna), che ha voluto raccontare 24 ore di turno in pronto soccorso attraverso i volti dei i medici che vi lavorano, per dimostrare, come Massimo ha fatto per tutta la vita, che lo sviluppo della tecnologia non ha completamente tolto umanità alla medicina e che, anche quando si è un grande, raffinatissimo tecnico e scienziato, si può applicare il principio per cui la comunicazione (e, di conseguenza, il colloquio clinico nella sua accezione più ampia) costituisce l’elemento su cui fondare una relazione e in cui la cronaca della patologia possa tener conto del vissuto soggettivo, e delle emozioni.

In medicina, non si agisce solo con la mano, mi diceva Massimo, ma esiste anche il potere terapeutico della parola, che è una via di accesso al mondo della storia, che è il mondo dell’importanza e del senso. Così come l’esercizio della mano si evolve fino a generare il mondo della tecnica, rappresentato dal “come si fa”, la funzione della parola genera l’universo del significato, rappresentato nel “perché” e “a che scopo” si fa.

E da un rimando a l’altro mi viene in mente “Terremoto” di Enrico Macioci, giovane, dottissimo scrittore aquilano, che sul fondale del sisma del 2009 indaga l’essere umano nelle sue piccole e grandi tragedie che ci dicono che, in fondo, siamo esseri fragili, inserito in un contesto di cose difficili ed impressionanti, fatti di mancanze che non riusciamo a colmare.

Dopo aver letto il suo “giallo” intitolato “Nick (coincidenze)”, gli dissi che vi avevo trovato il respiro per non temere le tragedia della vita e per considerare la morte solo un paasaggio di stato.

Ora mentre questo giorno si chiude e si scolora, ho iniziato lentamente a rileggere quel libro per non sentire la straziante scomparsa dell’autore.