Editoriale

Mark Rothko

Non è bene che l'uomo sia solo

Genesi

“Lo spirito della valle non muore. Questo si dice della femmina oscura. La porta della femmina oscura  è la radice del cielo e della terra. Sembra durare ininterrottamente, nella sua azione è infaticabile”

Lao Tze, Tao Te King

 

“Non c’è un tempo per la filosofia: essa si addice ai giovani e ai vecchi, perché la filosofia porta la felicità, e a tutte le età l’uomo vuole e può essere felice. Il saggio sarà accolto dagli dèi come loro simile”

Epicureo

 

Le cose che ti ho sempre raccomandato mettile in pratica e meditale reputandole i princípi fondamentali necessari a una vita felice. Per prima cosa considera la divinità come un essere indistruttibile e beato, secondo quanto suggerisce la comune nozione del divino, e non attribuire ad essa niente che sia estraneo all’immortalità o discorde dalla beatitudine; riguardo ad essa pensa invece tutto ciò che è capace di preservare la felicità congiunta all’immortalità. Gli dèi esistono: evidente è infatti la loro conoscenza; non esistono piuttosto nella maniera in cui li considerano i piú, perché cosí come li reputano vengono a toglier loro ogni fondamento di esistenza. Empio poi non è colui che gli dèi del volgo rinnega, ma chi le opinioni del volgo applica agli dèi, poiché non sono prenozioni ma fallaci presunzioni i giudizi del volgo a proposito degli dèi

Epicuro

 


Dopo Socrate, la filosofia (ovvero la ricerca della verità)  vorrà essere l'imporsi di ciò che si manifesta così come si manifesta, cioè della a-letheia[1]. In greco a-letheia è il non-nascosto, quindi ciò che si mostra e, proprio perché si mostra, si impone a tutti, è da tutti riconosciuto come vero. La verità filosofica non sarà, d'ora in poi, una semplice descrizione, come nella narrazione mitica, ma un sapere fondato e incontrovertibile, cioè tale che nessuna divinità e nessun uomo, per quanto grande sia la loro potenza o la quantità delle loro argomentazioni, potrà mai confutarlo. Platone che è alle origini della filosofia occidentale, guardava già al passato con venerazione perché riteneva che i veri sapienti fossero esistiti molto tempo prima di lui; non per nulla egli si definiva "filo-sofo" (amante della sapienza) e non "sofo" cioè sapiente. La sua ricerca viene da lui chiamata "filosofia" per una forma di rispetto verso i sapienti del passato, mentre lui era un ricercatore e non un possessore della sapienza. Ma come era visto, allora, il sapiente? Il sapiente era colui che gettava luce nell'oscurità, colui che scioglieva gli enigmi, colui che manifestava l'ignoto e precisava l'incerto. Solo colui che scioglie l'enigma può salvare se stesso: la conoscenza è l'istanza ultima, rispetto alla quale si combatte la lotta suprema da parte dell'uomo[2]. L'arma decisiva è la sapienza. E la lotta è mortale. Si pensi al mito della Sfinge: essa, mostro in forma di leonessa alata col volto da donna, proponeva a tutti un enigma e uccideva chi non fosse riuscito a rispondere esattamente. Solo Edipo riuscì a risolverlo: è l'uomo, che nell'infanzia va a carponi e nella vecchiaia usa una terza gamba, il bastone. La Sfinge allora si uccise ed Edipo fu acclamato il salvatore di Tebe. Che cosa indica tutto questo? Indica che il sapiente è colui che riesce a capire qualche cosa che appartiene in genere all'ambito del divino, del misterioso, qualcosa che è nascosto agli uomini, ma che li riguarda direttamente. La verità , in altri termini, appartiene all'ambito del divino e non è data agli uomini se non in momenti o in luoghi particolari[*]. Si pensi agli oracoli dell'antichità. Ora non è un caso che le verità oracolari fossero amministrate da donne. La trasformazione del concetto di verità, nel passaggio dalla mantica al logos[3], è come raffigurata entro il “paradigma della corporeità” nella Melanippe di Euripide. Nell'invasamento profetico (e Melanippe è figlia di una profetessa) l'amore per la sapienza non si sviluppa nel dinamismo (eros[†]) della ricerca razionale ma nell'atto con cui la Pizia, nel corpo offerto alla divinità (come agli uomini, quale ponte tra cielo e terra, luce e buio) accoglie la verità intesa come dono[4]. “Non al Dio appartengono infatti la voce, la pronuncia e il metro, bensì alla donna”, ricorda Plutarco ne Gli oracoli della Pizia, sottolineando come il corpo femminile, nell'unione mistica e verginale con la fonte della sapienza (attraverso rituali che riguardano la corporeità della sacerdotessa) si offra come vaso o scrigno della verità. Nel prestare il proprio corpo alla divinità, il suono della voce perché sia ascoltata la parola (fino all'invasamento di Cassandra nell'Ifigenia in Aulide o alle metamorfosi animali delle Baccanti) la donna non ha alcun merito nel processo di conoscenza proprio perché, di fatto, la verità non è il risultato di un processo ma la gratuità di un dono. Il carattere “concreto” della filosofia femminile, tanto sottolineato nel nostro secolo, con la sua costante attenzione alle sollecitudini esistenziali e come disinteressato al pensiero astratto (dis-in-carnato), ha proprio nel corpo offerto il luogo (la terra) da cui nascere. In realtà la concretezza del sapere appartiene, prima che alle donne (che ne erano custodi), alla sapienza oracolare, ovvero alla stessa sapienza divina che vuole incontrare gli uomini nelle vicende quotidiane della vita, nelle difficoltà e nelle perplessità non risolvibili con il puro raziocinio. Nell'offerta della voce come luogo da abitare è in atto un dinamismo, o nomadismo, verso l'uscita da sé per incontrare l'alterità dispensatrice di senso. Nel dramma di Euripide, testimoniato da frammenti, Melanippe segna il passaggio dalla custodia del sapere divino alla ricerca filosofica del vero: figlia di una profetessa è pure filosofa, ispirandosi alla cosmologia di Anassagora per spiegare le differenze tra i livelli di esistenza (dall'unicità del cosmo alla formazione della specie vegetale, animale ed umana). È dunque figura del processo di trasformazione da una concezione della verità intesa come dono (che necessita di per sé di un luogo, il corpo, per essere accolto) a quella propriamente logocentrica che può smarrire tale luogo (e la sua gratuità, espressa nel dono) spostandone il centro dalla voce alla parola (umana). Nella Lettre à un religieux[5], S. Weil insiste sulla carità quale parola donata da Dio nel vuoto che l'individuo ha saputo creare in sé. Il corpo, come significante, vive nell'apertura-ascolto del trascendente per offrirsi, poi, come risposta (in un dire che è atto di oblazione) verso il prossimo. Ne segue una riformulazione del linguaggio, capace di superarne sia la distinzione (affermazione) rispetto alla realtà, sia, nell'annichilimento dell'io di S. Weil, l'immaginaria autosufficienza della persona. Di più, nell'abbandono dell'immaginazione è superata quella “tentazione della vita interiore» che è l'autoreferenzialità, chiusura dell'io su se stesso”. Tutto questo attiene al femminile, al ricettivo,al superamento del linguaggio per accedere al suono ed al senso[6]. Non fu forse Ipparchia, di cui ci parla Diogene, in grado di rivaleggiare in conoscenza con Platone, non fu forse la neoplatonica Spazia (nel 400 d.C.) a riunire logicamente filosofia e scienza?, non fu Cristina di Lorena a portare Galileo verso le sue più ardite conclusioni e non fu forse bellissima principessa del Palatinato, Elisabetta, ad ispirare le migliori intuizioni di Cartesio? Donne dove c’è conoscenza, superamento del razionale, dono diretto della verità. Socrate, nel Simposio, dice di aver appreso da Diotima, sacerdotessa di Mantinea, la teoria dell'amore come accesso alla conoscenza. Ed ecco allora la chiave di lettura, “la femmina oscura” di cui parlano i saggi cinesi, la detentrice di conoscenze oltre le parole, autenticamente portare verso verità oralocolari, autentiche, donate. L'obbedienza (ob-audire) alla propria chiamata, nata dall'ascolto di un Altro da cui sgorga la propria domanda come risposta ad un già-detto, (ove il grido umano, la parola, si ri-ascolta come eco della kenosi) si incarna nella volontà di aderire anche al destino dell'altro[7]. L'assunzione della sua sofferenza entro la propria vita (e qui l'altro è sia l'oppresso che il suo oppressore, «sepolto vivo» nello stesso spazio di terra delimitato dallo stesso filo spinato), guarda all'Eucarestia come il discepolo al Maestro. Qui si realizza compiutamente la “vocazione della corporeità”, partendo da un pensare/dire in-carnato nell'ascolto e nell'agire morale quale risposta per il mondo. La filosofia che l'assume come proprio paradigma non è, ovviamente, la Parola che dona la vita ma, fondamentalmente, parola che non giustifica ma assume il dolore quale centro di dignità, irradiantesi sia su chi lo patisce (e non vorrebbe) sia su chi se ne fa carico (volendolo per amore)[8]. Ciò che è il femminile nascosto (oscuro, appunto) dentro di noi, emerge con forza attraverso lo studio delle Medicine Tradizionali e ci costringe a riflettere sul fatto che ad esso attiene l'ardore dell'amore, che spinge il pensiero ad una penetrazione sempre più profonda dello spirito, fino a giungere alla chiarezza della conoscenza. Paul Klee lo aveva compreso (fra mille altre cose che mostrano e non tratteggiano l’a-thelia): nel suo Falso Giuramento (del 1922) l’uomo è  inginocchiato ai piedi della donna, che con mano eretta verso il Cielo incarna la vera conoscenza (il  punto esclamativo che la sovrasta)[9]. La verità è dentro di noi, invisibile, divina, “femminile”. Quando tentiamo di costringerla in una “forma”, in un contenuto, di incatenarla in una logica, ecco che essa si allontana e ci sfugge. Questo avevano compreso gli artefici del pensiero taoista, ma anche quelli della Madonna Velata di Foggia[‡] [10] . Un significato possibile di quest’Icona Vetere[§] potrebbe essere uno stimolo al culto del Vero inteso esotericamente, vale a dire interiore, presente dentro di noi, invisibile, come elemento divino che ci appartiene dall'eternità e in opposizione al corpo, maschile, transitorio e limitato, che ci "imprigiona" in uno stato d’imperfezione e di ignoranza. Tutto ciò risalirebbe coerentemente a concezioni del Medio Oriente cristiano egiziano e siriano dei primi secoli dopo Cristo; quindi: un culto devozionale “exoterico” e femminile,  che fa da supporto ad un culto esoterico forse di derivazione gnostica orientale. La storia della Chiesa di Roma ci dice come queste dottrine di tipo gnostico, cristianizzatesi, siano state progressivamente, nei primi secoli dopo Cristo, ridotte ad eresie[**]. Ed è stato allora che, secondo alcuni, la chiesa ha demonizzato il “femminile”, conoscenza autentica ed interiore dei “motivi” che conducono al Vero[11] [12]. L’ostilità della Chiesa nei confronti del piacere, del sesso e della donna ha soppresso, in Occidente, il culto della Dea ed eliminato il femminino sacro. Il culto della Dea ha dominato universalmente il paganesimo precristiano con lo hieros gamos (matrimonio sacro) come rito centrale. Gli ebrei nel Tempio di Salomone adoravano Yahweh e la sua controparte femminile, la Shekinah, tramite i servigi delle prostitute sacre (Re 14:24 e  23:4-15). Probabilmente i tetagramma YHWH deriva da Jehovah, androgina unione fisica tra il maschile Jah e il nome preebraico di Eva, Havah[13]. Due documenti gnostici, il Vangelo di Filippo e il Vangelo di Maria, per provare che la Maddalena era la prescelta per continuare l’opera di Gesù la indicano come  "compagna" di Cristo, intendendo la sua partner sessuale[14]. In questo modo la Maddalena non è una prostituta pentita ma la consorte reale di Cristo e colei che è destinata ad essere il capo della Sua Chiesa, soppiantata da Pietro e diffamata dagli ecclesiastici. Fugge con la sua prole ad ovest verso la Provenza, dove i catari medievali conserverebbero gli insegnamenti originali di Gesù da vivo. Il Priorato di Sion veglia ancora sui suoi resti e sulle sue memorie, portati alla luce dal sotterraneo Santo dei Santi ad opera dei Templari[15]. Toth, Dio egizio della sapienza[††], assimilato poi nella cultura occidentali ad Ermete Trismegisto[‡‡], si dice abbia scritto i primi libri sapienzali al mondo, libri in cui sarebbe nascosta tutta la sapienza umana e che sarebbero nascosti in delle camere segrete scavate sotto la sfinge[§§] a Giza. Nella cultura occidentale Ermete è divenuto il rappresentante della conoscenza "Segreta", la conoscenza cioè riservata agli iniziati e quindi non resa pubblica alle masse. L’interpretazione delle autentiche volontà di Toth ed Ermete Trismegisto era officiata da donne[***]. A questo punto va ricordata Angizia, dea pre-romana, italica, forse ricoleggata all’orientale Maia. Angizia è un centro di Energia Vitale nel quale gli Esseri Umani si sono introdotti per risolvere i loro problemi in relazione col circostante. Il circostante sono gli Esseri Serpenti velenosi. Gli Esseri Vipere dell’Italia Centrale. Alterando la percezione sono riusciti ad individuare degli Esseri Vegetali tali da impedire al morso degli Esseri Vipere di diventare letale. Angizia è il Potere di Essere dell’Essere Serpente fuso col Potere di Essere degli Esseri Umani in relazione all’Essere Natura. Angizia è uno di quei poteri che hanno protetto gli Esseri Umani quando ciechi e impotenti vagavano lavorando per sopravvivere in un circostante che sembrava essere diventato ostile. Angizia ha soccorso gli Esseri Umani aiutandoli a cercare nel circostante la soluzione ad alcuni loro problemi. Angizia è un Potere di Essere cui gli Esseri Umani possono ricorrere per cercare il loro benessere. Prima che i cristiani rubassero le informazioni sull’uso delle piante “medicinali” usandole per assoggettare gli Esseri Umani, Angizia distribuiva sapere e conoscenza a chiunque che alterando la percezione percorreva i boschi cercando quanto aveva bisogno. A questa realtà ontologica, femminile e nascosta, oscura ed illuminante, dedichiamo questo numero[†††] e questo modesto editoriale. Più in generale a questa “forza sapienzale femminile” riserviamo rispetto e attenzione, convinti, come lo erano gli imperatori romani, che le “sibille” sono vere e proprie emanazioni delle divinità[16]. Così, in termini traslati, intendiamo tributare un omaggio alla “femmina oscura”[17] della conoscenza “altra”, rispetto al riduzionismo scientifico che, in altri campi, si è comportato verso le scienze olistiche, come il medioevo si comportò nei confronti del femminile[18]. Leggendo questo numero della rivista (e gli altri coevi aggiornamenti del sito) si rifletta su questo. Di una divinità femminile si parla nei culti sicelioti[19]: si passa dall’Artemide greca, al culto delle Madri, alla “regina degli animali”, capace di far risorgere gli animali.
Secondo lo studioso Carl Ginzburg la popolazione nomade degli Sciti avrebbe veicolato, tra il XI e il VI secolo a.C., il culto estatico sciamanico caratterizzato da estasi, volo, metamorfosi in animali riservato solo ad donne “iniziate”. A conferma di tale interpretazione la venerazione, anche presso gli Sciti, di una “signora degli animali”; epiteto di cui, non a caso, viene insignita Artemide nell’Iliade. Un’ultima notazione di tipo linguistico[20]: nella terminologia italiana la strega è una donna che seduce, che ammalia, mentre in quella anglosassone appare come una donna saggia che conosce i misteri della natura, una guaritrice (witchcraft = stregoneria, ma letteralmente “arte, potere della conoscenza”). Un amico psicoanalista, dopo una lunga conversazione, mi ha detto che in me si è “pericolosamente composto un senso di debito nei confronti della donna”. Non so se questa sensazione è pericolosa, ma certamente e concretamente manifesta. Come Gadda[21], sono persuaso che il legame profondo non nostra madre (un legame “originale”, sanguigno, indelebile) ci condiziona per tutta la vita e, durante il nostro “viaggio” terreno, ci sentiamo come isole alla deriva in un mare sconosciuto, separati dall’isola-madre che ci diete vita e primitiva, autentica conoscenza.D’altra parte, per la moderna genetica, non siamo forse per 2|3 legati al DNA di nostra madre?[22] Il femminile che resta in noi ci indirizza e ci guida, spesso schiacciato da un eccesso di raziocinio, verso un tentativo di comprensione e “recezione” e la nostalgia che ci conduce, è solo il ricordo di una “sapienzalità” condivisa e da cui, alla fine, siamo costretti a separarci. Se Huxley[23] afferma che le parole dei mistici sono la “filosofia” della Filosofia Perenne, noi riteniamo che il “femminile” dell’uomo si accorda, per rimpiangerla  sempre, con questa conoscenza. Ed invece ci strutturiamo (e cresciamo ed invecchiamo) nella convinzione che l'antitesi fra uomo e donna costituisca una di quelle divisioni essenziali tra categorie “fisiologiche”, una divisione attraverso la quale si realizza la vita stessa dell'individuo. In questo modo separiamo, per sempre, verità e realismo, dimenticando che la verità è qualche cosa che sta al di sopra del realismo, ma che del realismo ha bisogno per rifulgere. Espone perfettamente questa condizione dell’uomo rispetto alla verità il passo in cui Dante dice: “State contenti, umana gente, al quia, / che se potuto aveste veder tutto, / mestier non era parturir Maria”, che ribadisce la lontananza tra l’esperire e il sapere, tra l’intuire e il vedere, tra l’essere “maschile” ed il “femminile”, fra la ragione e la poesia[24].

Carlo Di Stanislao

 



[*] Nello straordinario Edipo re di Pasolini (film del 1967) la cecità di Edipo (un "innocente" perseguitato da un destino avverso e crudele), simboleggia l’incapacità dell’uomo di "vedere" – e di sforzarsi di comprendere – le situazioni in cui si trova, situazioni per molti versi drammatiche e terribili. Il suo vagare in un paesaggio desertico, in totale assenza di rapporti umani e di qualsivoglia comunicazione, senza che pronunci alcuna parola e soprattutto senza una meta che non sia quella che il "destino" stesso gli indica ineluttabilmente, dà il senso preciso di questo estraniamento, di questo tremenda, assoluta mancanza di possibilità e di volontà di "vedere". La colpa innocente di Edipo è l’amore totale per la madre. Edipo si acceca entrambi gli occhi con la spilla delle vesti di Giocasta. Poi, accecato, esce dal palazzo, e incomincia a brancolare nel suo buio definitivo, pietosamente accompagnato dal messaggero.

[†] Quello stesso, peccaminoso e certo, di Edipo per sua madre. Non è certamente possibile per il maschio  sfuggire al proprio mondo interno e ai propri desideri inconsci. Nel mito l'incontro fatale avviene ad un incrocio; alcuni autori riferiscono che si trattasse di un trivio, simbolo del triangolo sentimentale genitori-figlio, altri di un quadrivio; resta comunque, anche a livello poetico-letterario, la forte rappresentazione di un incontro fortuito di esistenze, un incontro di destini. Diverso è l’apparente “parallelo” tragico di Elettra. Come tutti gli eroi sofoclei, Elettra è una 'grande lottatrice' ed il suo destino, fissato dal mito, non è semplicemente imposto da una divinità, ma dolorosamente assunto e faticosamente attuato. Elettra si consacra alla restaurazione dell'ordine di Dike e da ciò nasce l'essenza tragica della sua vicenda, compresa tra la fede nella giustizia, l'amore per il suo sangue, la lotta contro l'iniquità. Elettra morbosamente legata da un rapporto perverso con Oreste in Hofmannsthal (un uomo), smaschera tutti i personaggi nella Yourcenar (una donna), con il colpo di scena da lei creato.

[§] L 'originaria avversione del cristianesimo nei confronti delle arti figurative era radicata nella sua stessa spiritualità. Il concetto di venerazione puramente spiritualizzata trova forse la sua espressione più eloquente nelle parole di Minucio Felice, scritte in un ' epoca in cui tale ideale era già messo in discussione da più parti: Credete che noi teniamo occulto l ' oggetto della nostra adorazione solo perché non abbiamo Santuari ed altari ? E perché dovrei scolpire un simulacro di Dio quando, se ben rifletti, l ' uomo stesso è il simulacro di Dio? Perché dovrei erigergli un tempio quando tutto questo mondo creato da lui non riesce a contenerlo ? E mentre io, semplice mortale, ho bisogno di albergare in un più largo spazio, dovrei circoscrivere l ' imponenza di sua Maestà nello spazio di un modesto sacello ? Forse non è meglio dedicargli un tempio nel nostro spirito ? Non è meglio consacrargli un tempio nella nostra anima ? Il radicale rifiuto delle arti figurative espresso dalla Chiesa primitiva costituisce parte integrante del generale rigetto di ogni elemento materiale nella vita e nelle devozione religiosa. La resistenza era particolarmente violenta. La via verso la venerazione delle immagini fu preparata nel IV secolo dall ' adorazione sempre più estesa di nuovi elementi materiali non interdetti da alcuna specifica proibizione, specialmente croci e reliquie. Il culto della croce e delle reliquie era in pieno sviluppo all ' epoca dei grandi Padri Cappadoci . L ' adorazione delle immagini non rientra nella loro considerazione, neppure in una luce negativa. Non vi rientra la venerazione di immagini religiose. E' bene ricordare che i Padri del IV secolo riconoscono apertamente la legittimità degli onori e degli ossequi tradizionalmente rivolti all ' immagine dell ' imperatore. Maggiormente sviluppato è il culto del ritratto del sovrano rispetto alla venerazione delle immagini religiose. E' grazie a S . Agostino che veniamo per la prima volta a sapere di cristiani veneratori di immagini. Nel novero di coloro che hanno introdotto pratiche superstizione nella Chiesa, vengono citati i sepulcrum et picturam adoratores, collegando così il culto delle immagini a quello delle tombe. Epifanio di Salamina di Cipro, contemporaneo di Agostino, pare essere stato il primo ecclesiastico a considerare la questione delle immagini religiose cristiane come un problema fondamentale. Una delle motivazioni della sua ostilità appare evidente da un passo tratto da uno dei suoi scritti indiscutibilmente autentici: "Avendo eretto immagini praticano le consuetudini dei pagani". Ciò senza dubbio riflette l ' esperienza della sua epoca. Il compimento del IV secolo pare abbia visto sorgere i primi sintomi e le prime espressioni di una credenza nei poteri magici delle immagini cristiane. Nella prima metà del VI secolo, incontriamo un accenno, il primo in letteratura, sulla pratica della proskynesis (prostrarsi, inginocchiarsi ) nei riguardi di immagini in chiesa. Giuliano , quantunque preoccupato della convenienza delle sculture nelle chiese, considerata la proibizione veterotestamentaria relativa agli idoli, non trovò nulla da obiettare sui dipinti e addirittura tollerò la loro venerazione sotto forma di proskynesis. Quanto veramente fossero diffuse tali pratiche nel corso del V secolo e della prima metà del VI secolo, è impossibile a dirsi. Però, non vipuò essere dubbio che nella seconda metà del VI secolo il culto delle immagini si fosse ampiamente sviluppato e intensificato, in special modo in Oriente.

[**] Col Concilio di Calcedonia del 451 d.C. già si creò una frattura tra i cristiani d'Oriente e quelli dell'allora agonizzante impero romano e di Costantinopoli, e potrebbero avere avuto un ruolo nella successiva rottura tra la Chiesa d'Occidente e quella d'Oriente (1054), oggi chiamata Ortodossa, che mantiene delle reminiscenze gnostiche, come ad es. il diverso concetto di Eucarestia o le pratiche dell'Esicasmo.

[††] Dio lunare del pantheon egizio, raffigurato con la testa di un ibis, era adorato specialmente ad Hermopolis. Considerato il sostituto notturno del Sole, era, tra l'altro, il giudice delle anime dei defunti, l'inventore dei geroglifici e l'autore di testi magici e sapienzali. Sposo di Maàt, fu l'arbitro della lotta tra Horo e Seth per la successione di Osiride.

[‡‡] Ermete fu identificato dai greci con il dio egiziano Thot (dio egizio Lunare della scrittura). Questa identificazione risale almeno ad Erodoto ed è presente in Platone nel "Fedro" (con il mito di Theut) e nel "Cratilo". Sappiamo quindi che Ermete e Thot erano associati all'invenzione della scrittura, alla medicina, al regno dei morti, alla capacità inventiva, ma anche, senza una “mitigazione femminile”alla frode e all'inganno. Inoltre sia Thot che Ermete avevano un ruolo demiurgico legato, sempre, al ruolo attivo di elementi femminili.

[§§] Donna-animale.

[***] Màat, moglie di Toth e figlia di Ra, rappresentava la giustizia, la verità, l'ordine cosmico e conduceva le anime dei morti al tribunale di Osiride. Nell'iconografia è rappresentata come una donna con una piuma di struzzo sul capo, simbolo di una comunione continua con il Cielo.

[†††] Si leggano i molti articoli firmati da  donne su La Mandorla e, ancora, i due contributi in Pensieri & Riflessioni su Bric a Brac e, infine, l’apertura dell’aggiornamento de La Vela Incantata.



Referenze

[1] Azzarelli L.: Alcune affermazioni riguardanti la filosofia e la matematica, Ed. Cortina, Padova, 1997.

[2] Havelock E.A.: Alle origini della filosofia greca. Una revisione storica, Ed. Laterza, Bari, 1996.

[3] Cavavero A.: A più voci. Filosofia dell'espressione vocale, Ed. Feltrinelli, Milano, 2003.

[4] Huber C.: ... E la parola si fece carne. Filosofia del linguaggio, Ed. Pontificia Università Gregoriana, Roma, 2001.

[5] Weil S.: Lettre à un religieux, Ed. Gallimard, Paris, 1951.

[6] Fortunato M.: Alternative alla vita. Esistenza e filosofia, Ed. Il Nuovo Melangolo, Genova, 2004.

[7] Ciglia F.E.: Il tempo e l’altro, Ed. Il Melangolo, Genova, 1987.

[8] Hillesum E.: Lettere 1942-1943, Ed. Adelphi, Milano, 1990.

[9] AAVV: Klee, Tripass s.a.s,, Ed. Torino, 1977.

[10] De Troia G.: Quaternus de excadenciis et revocatis Capitinatae, Ed. Banca del Monte, Foggia, 1994.

[11] Guènon R.: L' Archeometra, Ed.  Atanor, Roma 1990.

[12] Puech H.Ch. (a cura di): Gnosticismo e manicheismo, Ed. Laterza, Bari 1988.

[13] Picknett L., Prince C.: La rivelazione dei templari, Ed. Sperling Paperback, Milano, 2004.

[14] Moraldi R.: Vangeli apocrifi, Ed. Piemme, Casale Monferrato 1996.

[15] Brown D.:Il codice da Vinci, Ed. Mondatori, Milano, 2004.

[16] Pittiglio G.. Magia e Stregoneria, http://www.arte.it/articoli/2001/07/18/148832.php, 2001.

[17] Mollard Y.: Il Femminile nell’uomo, http://www.sia-mtc.it/Pag_culturali/pdf/femminile.PDF, 2003.

[18] Michelet J.: La strega, Ed. Einaudi, Torino, 1973.

[19] Canard T.: Antica sibilla italiana. Messaggi e divinazione. Con 32 carte, Ed. Lo Scarabeo, Torino, 1970.

[20] Rigotti E., Raynaud E.: Alcuni temi di teoria linguistica, Ed. CUSL, Milano, 1995.

[21] Baldi G.: Carlo Emilio Gadda, Ed. Mursia, Milano, 1978.

[22] Bryan S.: Le sette figle di Eva, Ed. Mondadori, Milano, 2003.

[23] Huxley A.: La filosofia Perenne, Ed. Adelphi, Milano, 1995.

[24] Di Stanislao C.: Prefazione a Il Peso del Cuore. Raccolta Poetica di G. Bologna, Ed. Tracce, Pescara, in press.