onlus

 
A.I.F.F.
Associazione Italiana di Fitoterapia e Fitofarmacologia
Ente di Formazione Regionale
(registrata c\o E.C.M. Ministero della Sanità)

/Vincent Van Gogh - La chambre de Van Gogh à Arles - 1889

UN CACTUS "DIVINO" DEL MESO-AMERICA:
IL
PEYOTE

Marco Nieli e Ottavio Iommelli
Ambulatorio di Agopuntura e Fitoterapia
Ospedale San Paolo A.S.L. Napoli 1


Riassunto: Nell'articolo si ripercorre la storia dell'uso rituale di un cactus psicotropo del Mesoamerica, la Lophophora williamsii, detta comunemente peyote. Si rintracciano le fonti storiche principali sull'epoca pre-ispanica e su quella ispanica. Si ripercorrono alcuni degli errori storici di identificazione botanica della pianta, fino ad arrivare all'odierna classificazione ad opera di J. Coulter. Si descrivono gli aspetti più rilevanti dal punto di vista botanico, chimico-farmacologico e medico. Si riportano i tratti salienti del rituale di guarigione di un popolo messicano, gli Huicholes e di diversi popoli nativi americani. Si rileva l'attuale carenza di ricerche mediche sulle proprietà curative del fitocomplesso.

Parole chiave: peyote, rituale di guarigione, mescalina, fitocomplesso, sciamanesimo, cura dell'alcoolismo, psichiatria.

 Summary: In the article the history of the rituals use of cactus psychotropic of the  Center American area is travelled over again, the Lophophora williamsii, dictates commonly peyote. The historical sources trace themselves main on the previous age the Spanish invasion. Some of the historical errors of botanical identification of the plant are travelled over again, until arriving to actual classification to work of J. Coulter. The more important aspects from the botanical, chemical-pharmacological and medical point of view are described. The means features of the rituals of cure of Mexican people, the Huicholes and of various people born to you are brought back Americans. Finds itself puts into effect it them deficiency of medical searches on the curative property of the phytocomplex

Key words: peyote, healing ritual, mescaline, phytocomplex, shamanism, anti-alchoolist therapy, psichiatry.


 Le fonti storiche

  Le fonti più preziose che possediamo riguardo all'uso rituale dei cactus nel Messico pre-ispanico sono le storie di frati come Bernardino de Sahagún (Historia general de las cosas de Nueva España, 1560, pubblicato per la prima volta nel 1829) o l'opera di etnobotanica del medico di Filippo II, Francisco Hernandez (Rerum Medicarum Novae Hispaniae Thesaurus, 1651). Questi testi sono ancora oggi di grande utilità per l'etnobotanico moderno, in quanto lo informano delle pratiche medicinali utilizzate dalle popolazioni autoctone fin dalle più remote antichità e cadute, almeno parzialmente, in disuso a partire dalla Conquista spagnola. Tra queste pratiche appartenenti a un contesto rituale e sciamanico, rientra sicuramente il culto del peyote (Lophophora williamsii), un cactus con proprietà allucinogene del Messico settentrionale che ha segnato forse più di altre piante medicinali diverse civiltà mesoamericane, tra cui la chichimeca, la tolteca e l'azteca. 

Sull'antichità dell'uso rituale e medicinale del cactus ci informa Fray Bernardino de Sahagún, che la fa risalire a circa 1890 anni prima dell'arrivo degli Spagnoli (inizio XVI secolo), in epoca, dunque, pre-azteca. All'inizio del '900, l'etnologo danese Carl Lumholtz ha provato, basandosi su dipinti rupestri, che il cactus era già conosciuto e usato in epoche di gran lunghe più remote della datazione di Fray Sahagún. Le tracce di alcuni scavi archeologici più recenti, in Texas, hanno confermato un uso cerimoniale della Lophophora in quella regione almeno 3.000 anni fa. Sappiamo, tuttavia, da altri indizi, che in Texas il cactus è stato portato dai popoli nativi del Messico settentrionale in un'epoca abbastanza recente.         L'origine etno-geografica del peyote appare oggi essere un'area abbastanza estesa a nord-ovest del Messico, corrispondente ai territori dei Tarahumara, dei Cora e degli Huicholes. Di qui, l'uso rituale e medicinale del cactus si sarebbe diffuso al sud con i Toltechi e gli Aztechi in epoca classica, e poi al nord in epoca molto più recente verso gli Indiani delle Grandi Praterie nel XIX sec. Qui, l'uso del peyote è diventato un vero e proprio sacramento, al centro di un culto sincretico che alla fine del secolo catalizzò le speranze di rinascita delle nazioni "native" con vari predicatori-sciamani come John Wilson e J.Koshiway.

A ogni modo, la descrizione lasciataci dal frate castigliano degli effetti del cactus tra i Chichimeca è fortemente influenzata dalla sua visione cristiana, che lo porta a vedere negativamente gli effetti delle sostanze psicotrope in esso contenute: "c'è un'altra erba, come il tunas della terra (una varietà spagnola di pera, Opuntia opuntia); è chiamata peiotl; è bianca; cresce nel nord del paese; quelli che la mangiano o bevono vedono visioni o terribili o ridicole; quest'intossicazione dura due o tre giorni e poi passa."[1]  Sahagún riferisce che i Chichimeca "hanno una vasta conoscenza delle piante e delle radici, delle loro qualità o virtù. Essi furono i primi a scoprire e usare la radice chiamata peiotl, che entra nella loro dieta al posto del vino".[2] Padre Andrea Pérez de Ribas, nel XVIII secolo, ci ricorda che gli Indios messicani lo bevono per uso medico oltre che mistico, ma che il suo uso è sconsigliato dai preti, perché legato a "rituali e superstizioni pagane" e "fantasie diaboliche".[3]

Il nome peiotl è di origine nahuatl (lingua degli Aztechi) e rimanda probabilmente al bozzolo di seta, per la peluria bianca che copre la superficie "a bottone" del cactus (altri suggeriscono l’etimologia “divino messaggero”). Lo stesso nome scientifico Lophophora significa etimologicamente "porta-creste". Conosciuto dalle varie popolazioni che ne fanno uso come hicori (Huicholes), pejori (Opata), huatari (Cora) e hikuli (Tarahumaras), il cactus divino è stato a lungo confuso a livello popolare in epoca moderna con altre sostanze psicotrope, come il Mescal (in realtà un liquore derivante dall'Agave americana) o i Mescal beans (fagioli di Mescal, Sophora secundiflora, un'altra pianta psicotropa dell'alto Messico). Anche gli scienziati hanno, tuttavia, contribuito in maniera discreta alla confusione riguardo alla pianta, se è vero che per tutto il secolo XIX il cactus è stato classificato nel genere Anhalonium (o anche Ariocarpus), sulla base di un'errata identificazione dell'etnobotanico tedesco T. Rumpler. Allo stesso modo, Hennings a fine secolo distingueva tra le due specie Anhalonium lewinii e Anhalonium williamsii (probabilmente corrispondenti in realtà alle due specie conosciute di Lophophora, la williamsii e la diffusa). Nel 1891, l'Americano J. Coulter pose fine all'equivoco, creando un nuovo genere, appunto chiamato Lophophora. Nonostante questo notevole passo in avanti, ancora nel Safford nel 1915 identificava erroneamente il peyote con il fungo allucinogeno che gli Aztechi chiamavano teo-nanacatl. Solo in epoca più recente, sulla base di una notevole mole di lavoro sul campo, si è giunti a una corretta identificazione del cactus all'interno del genere Lophophora, di cui si riconoscono due specie: la williamsii e la diffusa.[4] Con lo studio etnografico di W. La Barre The Peyote Cult (1959) si è inoltre arrivati a interpretare in un'ottica comparatistica i vari rituali di guarigione e a correlarli alle informazioni raccolte in sede botanica, psichiatrica e chimica.

 

Aspetti botanici e chimici del peyote 

La prima descrizione dei "bottoni" del peyote risale al Rerum Medicarum di F. Hernandez nella seconda metà del XVII secolo. L'opera del medico di Filippo II ha un'impostazione dichiaratamente etno-botanica e medica e dunque la descrizione che ci fornisce l'autore del cactus è meticolosa fin nel dettaglio: "la radice è quasi di grandezza mediana, e non manda fuori rami o foglie sul suolo, ma con una certa lanosità aderisce a esso in modo che non posso adeguatamente descrivere. Sia gli uomini che le donne si dice siano intossicati da esso. Pare essere di sapore dolciastro e moderatamente caldo. Sradicato e applicato su ferite dolorose, si dice dia sollievo. Meravigliose proprietà sono attribuite a questa radice, se si può concedere una qualche fiducia a ciò che si dice comunemente tra di loro su questo punto. Fa sì che coloro che la mangiano diventano capaci di prevedere e predire le cose…"[5] La descrizione di Hernandez presenta evidentemente elementi desunti dalla dottrina rinascimentale degli umori e dei sapori ("pare essere di sapore dolciastro e moderatamente caldo…") e, tuttavia, o forse proprio per questo, appare ancora oggi valida nei suoi tratti essenziali. Il cactus Lophophora williamsii, appartenente alla famiglia delle Cactacee, non ha infatti foglie né rami, ma una semplice protuberanza rotondiforme divisa in varie sezioni (i tipici "bottoni" che sono anche le parti edibili del cactus) e coperta da una folta lanugine biancastra che, come abbiamo visto, gli ha procurato il nome in epoca azteca. Il fiore cresce dalla parte centrale del cactus su di uno stelo ed è di colore rosa-biancastro; esso matura rapidamente in un frutto rossastro a forma di clava.

Diversi principi attivi sono stati individuati e isolati nel cactus, tra cui il più importante e conosciuto appare senza dubbio la mescalina (trimetoxifeniletilamina, identificata nel 1896 da Heffter e sintetizzata poi da Späth nel 1920), così chiamata sulla base dell'identificazione errata col Mescal di cui si è detto più sopra. Si tratta di un alcaloide responsabile dell'effetto allucinogeno del cactus, nella sua struttura essenziale simile a un neurotrasmettitore cerebrale, la noradrenalina, e alle anfetamine allucinogene come l'MDA. La somiglianza con l'ormone prodotto dal corpo umano è la causa diretta dell'alterazione biochimica realizzata nelle sinapsi cerebrali dall'alcaloide. Esso funziona, infatti, come una chiave che apre le porte di funzioni cerebrali e percettive, allo stesso modo che la noradrenalina fa normalmente nel cervello umano. I bottoni di cactus essiccati o ridotti a bevanda producono effetti che possono durare anche 12 ore.[6] 

Gli alcaloidi del peyote sono però molto più numerosi di quello che un tempo si credeva: se ne conoscono oggi una trentina. Per convenienza, vengono classificati in due gruppi: quelli simil-stricninici (irritanti e attivi soprattutto nella fase iniziale) e quelli simil-morfinici (più sedativi e soporiferi, attivi nella seconda fase). La sequenza dei principali alcaloidi, partendo dal più simile alla morfina (la mescalina), per arrivare a quello più simile alla stricnina (la lophophorina) potrebbe essere la seguente: mescalina-peyotlina-analina (detta anche ordenina)-analamina-analonidina-analonina-lofoforina. Le visioni colorate che si sperimentano per lo più nella seconda fase sono dovute maggiormente alla mescalina. L'alcaloide più tossico in assoluto pare essere la lofoforina.[7]  

Tra le modificazioni indotte nell'organismo umano dal fitocomplesso della Lophophora si segnalano l'euforia fisica e mentale, che dà conto del suo impiego in occasione di corse pedestri, azioni di guerra e pellegrinaggi a piedi.[8] Tale euforia può avere un carattere esilarante o spaventevole, come già riportato dai primi storici del peyote, ed è seguita in genere da una fase di depressione fisiologica profonda, in cui compaiono le visioni. Tra gli altri sintomi riportati a proposito dell'intossicazione, si ricordano l'insonnia, una lieve anestetizzazione della cute, allucinazioni visive o acustiche, aumento della diuresi e dunque della sete, stimolazione del simpatico con aumento della frequenza cardiaca, e una blanda azione afrodisiaca.[9] Per quanto riguarda le reazioni fisiologiche, Heffter e Jolly sperimentarono alla fine del secolo XIX sulle proprietà ipnotiche e soporifere[10], Loaeza rilevò una discreta attività cardiotonica o cardio-regolatrice[11], Henry lo definì un blando narcotico.[12] Negli anni '20-'30 il peyote è stato inserito nel mercato farmaceutico americano , ma con scarso successo. Anche la letteratura medica contemporanea considera la Lophophora williamsii pressoché insignificante da un punto di vista terapeutico, se non addirittura dannosa per la sua elevata tossicità.[13] Un certo uso sperimentale era entrato in voga in campo psichiatrico negli anni '60 per studiare vari tipi di psicosi a partire dagli effetti psicoticomimetici indotti dal cactus, ma negli anni '70-'80 tali studi sono stati osteggaiti e sospesi sulla base di una presunta pericolosità degli stessi. Attualmente, si segnala una certa ripresa di tali ricerche, per esempio uno studio recente ha individuato nella iperattività della zona destra e frontale della corteccia una caratteristica della psicosi indotta da mescalina, contrariamente a quanto sempre creduto in precedenza.[14]

 Sulle presunte proprietà anti-dipsomaniche del cactus, tanto vantate dai nativi, appena adesso compaiono alcuni studi scientifici[15] e andrebbe svolta una ricerca più rigorosa. Pare, infatti, che alcuni degli alcaloidi contenuti nella pianta presentano somiglianze farmacologiche con gli alcaloidi neuroammino-derivati prodotti dal cervello in fase di intossicazione da alcool, il che spiegherebbe razionalmente l'impiego efficace del cactus nel processo di disintossicazione.[16]

 

Il rituale Huichol

Il rituale dei Teochichimeca tramandato da Fray Sahagún corrisponde in pieno a quello che ancora oggi praticano gli Huicholes, una popolazione india del Nayarit, stato della costa occidentale del Messico. Essendo stata la cultura Huichol storicamente poco penetrata dalla cultura spagnola, siamo in presenza di una struttura culturale ancora relativamente incontaminata. Dapprima menzionato da Lumholtz all'inizio del secolo XX, il rituale è stato descritto da diversi etnobotanici a partire dagli anni '60. Gli Huicholes compiono ogni anno in Ottobre un pellegrinaggio dalla costa verso quella che considerano la loro patria spirituale, il deserto di Wirikuta (stato di San Luis Potosì), situato 300 miglia a nord-est, verso l'interno. Lo scopo del viaggio a piedi è la "caccia" al peyote, da loro chiamato hikuri e identificato con la divinità suprema Tatewari (Nonno-fuoco). Gli Huicholes distinguono due tipi di cactus, LO TZINOURITEHUA  HIKURI (peyote degli déi) e lo RHAITOUMUANITARIHUA HIKURI (peyote delle dée). Pare che la differenza  tra il "maschio" e la "femmina" sia una semplice differenza di età, il "maschio" essendo molto più vecchio e contenendo dunque più sostanze psicoattive.[17] Lo sciamano guida la spedizione, che ha luogo dopo un opportuno periodo di purificazione anche delle donne, che prevede confessioni pubbliche delle proprie colpe. Prima di partire per il lungo viaggio (a piedi, ma oggi anche con mezzi motorizzati) i “cacciatori” cominciano il digiuno, l’astensione sessuale e pregano le divinità della pioggia e della fertilità. Alcuni rituali preparatori condotti dallo sciamano e finalizzati al passaggio nell’Ultramondo hanno luogo a questo punto: il passaggio delle “Nuvole tuonanti” e l’apertura delle nuvole. I partecipanti vengono guidati dallo sciamano nella “caccia” al peyote lungo i “sentieri del daino” (il cactus viene simbolicamente identificato con quest’animale): il daino viene colpito con frecce magiche e lascia sulle sue tracce il cactus. Parecchio peyote viene raccolto, in parte consumato sul posto, in parte portato indietro nel Nayarit, in parte ancora venduto ai Cora o ai Tarahumaras. Il consumo rituale del cactus è accompagnato anche da uno speciale rituale del tabacco, contenuto in speciali zucche dipinte. Gli Huicholes considerano la quest del peyote il ritorno a una condizione edenica originale, coincidente col passato mitico degli antenati ma anche con un futuro di pace e prosperità caratterizzato dall’unità primordiale tra uomini, animali e piante. Il ritorno a casa è festeggiato da una nuova cerimonia (Rarikira) con danze, costumi rituali e invocazioni per la pioggia, accompagnata dal consumo di peyote e tabacco e dalla tostatura del mais.  

Durante la caccia e in seguito, una volta di ritorno a casa, i membri della comunità possono anche chiedere speciali cerimonie per la guarigione. Il peyote per gli Huicholes è quasi una panacea universale e cura una molteplicità di disturbi, dalle ferite (sotto forma di polvere) ai crampi e reumatismi, dai morsi di serpente alla cecità. Nel suo uso rituale, vengono magistralmente combinati il piano materiale e quello simbolico, il piano biochimico e quello psicosomatico (al limite, mistico-religioso). I Tarahumaras impiegano il cactus per le contusioni e le scottature, i morsi di serpente e i reumatismi. Prieto riporta che tra i Tamaulipecas, le donne seguivano gli uomini in battaglia con zucche ripiene di acqua e peyote, usato per curare le ferite e fermare le emorragie. I Chichimecas lo usano per alleviare i dolori delle articolazioni. Usi medicinali vengono riportati per altre parecchie etnie del Nord-est, tra cui i Lipan, gli Yaqui, gli Opata, i Pima, i Papago, i Cora e i Tepecano.

I riscontri in senso scientifico moderno agli usi terapeutici specifici del peyote sono tuttora insoddisfacenti, anche perché gli studi sulle proprietà dei singoli principi attivi sono appena iniziati. Gli Indiani del Mesoamerica conoscono bene tuttavia le proprietà curative del fitocomplesso da millenni e ne potenziano opportunamente l’efficacia mediante gli aspetti ritualistici e psicologici.

 

I rituali del peyote nelle Grandi Praterie

Tutti gli studi etnografici concordano nel collocare il passaggio dei rituali del peyote dal Nord-Messico alle Grandi Praterie nella seconda metà del XIX secolo. Sono alcuni gruppi nomadi come i Mescaleros, dediti alla razzia nelle zone a cavallo del Rio Bravo, a introdurre l'uso rituale del cactus presso i popoli nativi del Nordamerica, allora in profonda crisi culturale per le sconfitte militari e la disgregazione sociale indotta dall'uomo bianco. La Barre ha dimostrato che, mentre presso gli Indios messicani, i rituali presentano un carattere più tribale e comunitario, presso gli Indiani delle Praterie essi acquistano gradualmente sempre più un significato di vision-quest, insieme sciamanica e profetica, dando origine ai numerosi culti sincretici poi confluiti in gran parte nella Peyote Native American Church. Presso i Mescaleros, l'uso rituale del cactus presentava una vistosa combinazione delle due caratteristiche, con una certa accentuazione degli aspetti magici e stregoneschi.[18]

Lo sviluppo di culti sincretici, insieme basati sul doctoring (guarigione sciamanica) e sulla vision-quest è un fenomeno che prende piede negli anni in cui la resistenza indiana stava per essere sconfitta definitivamente e risponde così a una precisa esigenza di psicoterapia su larga scala di un popolo vinto e umiliato in tutti i modi possibili dai "visi pallidi". Elementi della cultura vincente, relativi soprattutto alla religione cristiana, in particolare l'immaginario relativo alla figura di Cristo e al suo potere taumaturgico, vengono incorporati nella tipica concezione animistica dei popoli vinti, in un tentativo di sintesi antropologica senza precedenti. L'uso rituale del peyote dai Mescaleros si diffonde velocemente tra i Caddo, i Comanches, i Kiowa, i Wichita, i Cherokee, i Creek, i Delaware, i Winnebago, gli Oto, i Sioux e molti altri. Tra le versioni del culto più famose si ricordano quella cosiddetta della Big Moon del Delaware J. Wilson e quella più cristianizzata del profeta Oto J. Koshiway, dal nome emblematico di Church of the First-Born. Da quest'ultima "chiesa", che si è diffusa a un certo punto anche tra i neri americani, è nata poi la confederazione della Peyote Native American Church, la quale nella prima metà del XX secolo ha sostenuto importanti battaglie legali contro diversi stati americani per l'uso del peyote a scopo medico e religioso.[19]  

Una tipica cerimonia del rituale Kiowa-Comanche viene tenuta per accompagnare e indirizzare gli eventi fondamentali della vita dell'individuo: dalla nascita, attraverso la malattia, fino alla morte. Spesso le sedute sono tenute in coincidenza con le feste religiose del calendario cristiano o anche alcune feste civili, ad esempio Pasqua, Natale e il Nuovo Anno, il Ringraziamento. Tra i Kiowa, si preferisce il Sabato notte; i Kickapoo tengono cerimonie funebri in presenza del corpo del defunto, mentre gli Osage si ritrovano per "vedere il volto di Gesù" e parlare con gli spiriti degli antenati.[20]

I partecipanti alla seduta devono seguire certe prescrizioni rituali come l'astensione dal sale un giorno prima e uno dopo l'esperienza, l'astensione dal bagno diversi giorni dopo. Più rari i tabù sessuali, che abbiamo visto diffusi tra gli Indios del Messico. Sulla partecipazione delle donne, alcune tribù si pronunciano favorevolmente, a patto che queste non suonino il tamburo rituale o cantino le canzoni sacre. Dopo i dieci anni, i bambini possono assistere, ma la partecipazione è ammessa con il raggiungimento della maggiore età. Il capo spirituale della seduta è chiamato roadman e spesso coincide con lo sciamano, riunendo in sé le attribuzioni del guaritore, del profeta e del sacerdote. La cerimonia si svolge in una capanna o baracca costruita per l'occasione, intorno a un altare a forma di luna crescente con al centro i bottoni di peyote disposti in bella vista. In mezzo, campeggia il bottone più grande, detto Father-Peyote, posto su di una croce o una composizione di foglie di saggina. A un certo punto, a un segnale dato dal roadman, tutti fanno silenzio e incominciano a circolare foglie di tabacco o di quercia da fumare ritualmente. Segue la purificazione dei bottoni di peyote con incenso di cedro e l'ingestione da parte dei partecipanti di una media di dodici pezzi a testa (alcuni arrivano a prenderne anche una cinquantina per volta). L'esperienza mistica viene accompagnata dal canto dello sciamano e dal suono del tamburo rituale o di sonagli speciali. Una tipica canzone recita: "Possano gli déi benedirmi, aiutarmi, e darmi il potere e la comprensione".[21] Il procedimento è leggermente diverso nel caso di una cerimonie di guarigione individuale, che presuppone un insieme di tecniche rituali e simboliche, incentrate sulla funzione della preghiera e della fede religiosa. Gli Indiani credono che la pianta comunichi attraverso le visioni la causa della malattia e le modalità di guarigione. Il peyote è visto come un messaggero divino o un rappresentante di Cristo sulla terra: "Dio ha fatto il peyote. E' il Suo potere. E' il potere di Gesù. Gesù venne dopo su questa terra, dopo il peyote… Dio (attraverso il peyote) ha detto ai Delawares le stesse cose che Gesù ha detto ai bianchi".[22] I Nativi credono fermamente che se la pianta è usata correttamente, tutte le altre medicine risultano inutili, comprese quelle dell'uomo bianco. La pianta concede il medicine-power sotto forma di visione, vale a dire una particolare tipologia di energia vitale o mana. E' questo che la rende insostituibile nel doctoring sciamanico che agisce sul duplice livello della tecnica fitoterapica e su quello psicologico. Il potere di curare, in senso sia fisico che spirituale, è d'altronde all'origine della diffusione del peyote nelle Grandi Praterie.[23]

Tra gli Indiani delle Grandi Pianure, in particolare tra i Wichita e i Winnebago, la letteratura etnografica riporta casi di recupero della vista.[24] I Kiowa usano il peyote per il dolore di denti, le dermatiti, le emorragie, il reumatismo, il diabete, il parto e le malattie polmonari. Gli Shawnee lo masticano per curare i morsi di serpente e lo ingeriscono in caso di raffreddore, pneumonia, reumatismo e dolori di qualsiasi tipo.[25] Gli Oto riportano vari casi di malattia mentale guarita con una seduta di peyote.[22]

Sulla maggior parte di queste indicazioni non esistono studi medici contemporanei. Probabilmente, i pregiudizi ideologici nei confronti della dimensione allucinogena del cactus continuano a pesare fortemente nella considerazione attuale del peyote come fitoterapico. Una certa ripresa di interesse si segnala in campo psichiatrico, ma la sperimentazione è ancora insufficiente e, in larga misura, condizionata da fattori ideologici o normativi, esterni al campo prettamente medico. Si può dire che il peyote è ormai meglio conosciuto da un punto di vista etnografico e botanico che da un punto di vista medico-terapeutico? Se in altri campi la saggezza dei popoli di tradizione ha trovato riscontri anche in senso scientifico moderno, ancora molte sono le incognite positive che può riservarci questo piccolo cactus del Centro-america.

 Marco Nieli


[1] B. de Sahagún, Historia general de las cosas de Nueva España,  riportato in W. La Barre, The Peyote Cult, New York, Schocken Books,  1959, p. 10. L'opera del frate castigliano fu pubblicata per la prima volta in Messico nel 1829-30, cosicché il primo resoconto pubblicato sul cactus "divino" è quello di J. Cardenas nel 1591.

[2] Ibidem.

[3] Riportato in R. E. Schultes, A. Hoffmann, Plants of the Gods, Their Sacred,Healing and Hallucinogenic Powers, Rochester, Vermont, Healing Arts Press, 1992, p. 133.

[4] Data l'alta variabilità individuale della pianta, si è giunti a questa classificazione in due specie con una certa difficoltà solo in tempi recenti. Per una storia dettagliata della classificazione del cactus, si veda E. Anderson, Peyote, The Divine Cactus, Phoenix, The University of Arizona Press, 1980, p. 290-293.

[5] Riportato in R. E. Schultes, A. Hoffmann, op. cit.  p. 134.

[6] R. E. Schultes, A. Hoffmann, op. cit.,  p. 138; G. L. Longenecker, Conoscere e capire le droghe, Jackson libri, Milano, 1995, p. 127-128.

[7] W. La Barre, op. cit., p. 139.

[8] Ivi, p. 17.

[9]G. L. Longenecker, Conoscere e capire le droghe, op. cit.,  p. 127-128; W. La Barre, op. cit., p. 22.

[10] Jolly, Ueber die Schlafmachende  Wirkung des Pellotinum muriaticum, in Therapeutische Monatshefte, vol. 10: 328-329, 1896.

[11] Loaeza, in J. M. Del Campo, Peyote, in Anales del Instituto Medico Nacional de Mexico, vol. 6: 142-146, 1904, p. 145.

[12] T. A. Henry, The Plant Alkaloids, 2nd edition, London, Barnes, 1924, p. 199.

[13] H. T. Gilmore segnala casi di malformazioni fetali collegati ad abuso del peyote in gravidanza (Peyote use during pregnancy, SDJ Med, 2001, Jan., 54 (1): 27-9).

[14] Si è sempre creduto, infatti, che la schizofrenia fosse associata a un'ipoattività della zona frontale (L. Hermle, M. Fungfeld, G. Oepen, H. Botsch, D. Borchardt, H. Gouzoulis, R.A. Fehrenbach, M. Spitzer, Mescaline-induced psychopathological, neuropsychological, neurometabolic effects in normal subjects: experimental psychosis as a tool for psychiatric research, in Biol.Psychiatry, 1992, Dec. 1; 32 (11): 976-91).  

[15] W. La Barre,  op. cit., p. 21. Studi di antropologia medica sono per esempio quelli di J. F. Garrity (Jesus, peyote, and the holy people: alcohol abuse and the ethos power in Navajo healing, in Medical Anthropology Quarterly, Dec. 2000; 14 (4): 521-602); quello di B. J. Albaugh e P. O. Anderson (Peyote in the treatment of alcoholism among American Indians, in American Journal of Psychiatry, vol. 131 (no. 11), Nov. 1974; 1247-1250), etc.

[16] K. Blum, S. L. Futterman, P. Pascarosa, Peyote, a potential etnhopharmacologic agent for alcoholism and other drug dependencies: Possible biochemical rationale, in Clinical Tossicology, vol. 11 (no. 4), 1977; 459-472.

[17] A. Gottlieb, Peyote and other Psychoactive Cacti,
 
www.erowid.org/plants/peyote/peyote_cactus_guide.shtml, p. 3.

[18] W. La Barre, op. cit., p. 40-43.

[19] La P. N. A.C. già nel 1922 contava 13.300 membri; attualmente, circa 250.000 Indiani. I bottoni di Lophophora williamsii vengono procurati via posta dal Messico o in pellegrinaggi rituali nei deserti al confine meridionale degli U.S.A. parecchie battaglie legali sono state vinte dalla P.N.A.C. in base alla libertà religiosa riconosciuta dalla Costituzione americana. Oggi, tuttavia, si segnala un'inversione di tendenza riguardo al riconoscimento da parte dei tribunali di usare il cactus per scopi religiosi (R.K. Bullis, Swallowing the scroll: legal implications of the recent Supreme Court peyote cases, in Journal Psychoactive Drugs, 1990, July-Sep.; 22 (3): 325-32).

[20] R. E. Schultes, A. Hoffmann, op. cit., p. 140, W. La Barre, op. cit., p. 59..

[21] Ivi, p. 143.

[22] Ibidem.

[23] Ad esempio, il capo Comanche Quanah Parker, all'inizio oppositore del culto, divenne un sostenitore dopo essere stato guarito da un'ulcera peptica nel 1884; il doctoring è stato anche centrale nell'esperienza di J. Koshiway (W. La Barre, op. cit., p. 85).

[24] Ivi, p. 28; P. Radin, Crashing Thunder: The Autobiography of a Winnebago Indian, New York, 1926, p. 183-196.

[25] W. La Barre, op. cit., p. 28.

[26] Ivi, p. 88.