Spunti per una lettura integrata del mito di Prometeo: 
una visione simbolica del fegato.

Micaela Montalto 
Stefano Proietti

 

 

“Accrescere a prezzo di qualche contraddizione i parallelismi simbolici da cui si ricavano i principi della terapia e gli elementi della diagnosi, 
non vuol dire nuocere all’arte medica” 
(Granet M., p.285)

 


 

Riassunto: La comprensione del ruolo del fegato e del suo significato all’interno della complessa vicenda umana non può avvenire se non in modo dialettico, provando ad effettuare una traslazione di ciò che è tangibile e misurabile (aspetti di fisiologia) verso riferimenti psichici, simbolici e quindi mitologici, energetici e religiosi attribuiti a quest’organo. L’individuazione, anche solo parziale, della fitta rete di corrispondenze esistente tra diversi piani di osservazione, vuole restituire dignità e competenza ad una visione integrata dell’organismo umano. Ad alcuni aspetti di tale organismo ci avviciniamo chiedendo aiuto alla mitologia greca, poiché in essa affondano le radici della cultura occidentale. Confidando quindi nella universale potenzialità del linguaggio delle essenze, della dimensione simbolica e ontologica dell’essere umano, si cerca di avvicinare alcune caratteristiche tipiche del «movimento» legno in Medicina Tradizionale Cinese, partendo dall’analisi del mito di Prometeo.

 

Parole chiave: Prometeo, fegato, movimento legno, simbolismo.


Il fegato:
Guardiano tra intestino e cuore.

 

Embriogenesi e fisiologia occidentali

 

Nell’excursus filogenetico dei vertebrati il fegato compare ancora in forma di abbozzo nei Ciclostomi e Condroitti (vertebrati inferiori) (Kent C. Jr., 1973, p. 303).

Lo sviluppo di quest’organo, nella specie umana, avviene durante la crescita fetale, tra la terza e la decima settimana di vita, al termine della quale il suo peso raggiunge circa il 10% del peso totale del feto. Il fegato fetale, fino al settimo mese di vita intrauterina, è un’importante fonte di globuli rossi (Langman, 1987, pp. 224-227). Nell’adulto il fegato è la ghiandola più grande del corpo e, insieme al cervello, del quale ha all’incirca lo stesso peso, è il più grande organo del corpo. Esso ha un peso medio di circa un chilo e mezzo; nel vivente a tale peso va aggiunto quello del sangue che circola al suo interno, che può variare da 400 a 800 e occupa tutto lo spazio sotto la metà destra della cupola diaframmatica. La ragione delle notevoli dimensioni del fegato risiede nel fatto che esso non produce soltanto, come lo stomaco e le ghiandole salivari, il succo digerente, ma è anche un vero e proprio laboratorio biochimico nel quale viene elaborato il nutrimento ricevuto dall’intestino. Il fegato è, insieme al polmone, l’organo più ricco di sangue e possiede la peculiarità di ricevere sangue da due sistemi circolatori: l’arteria epatica, che conduce sangue proveniente dal cuore e la vena porta che conduce il sangue refluo da alcuni visceri del sistema digerente, contenente fra l’altro le sostanze nutritive assorbite a livello dell’intestino (Balboni G.C. et al., 1987, pag. 232).

Il fegato risulta quindi funzionalmente interposto tra l’intestino ed il cuore, svolgendo attività di filtro, elaborazione e disintossicazione. Le cellule epatiche, inoltre, producono la bile a partire dalle sostanze ricevute. La bile, una volta prodotta, viene immessa attraverso piccoli canali biliari nella cistifellea e successivamente riversata nell’intestino. Il sangue dall’intestino attraverso la vena porta sale dal fegato in direzione del cuore, mentre la bile prodotta scorre in direzione contraria, a ritroso, verso il basso, fino all’intestino. Queste due correnti, quella sanguigna della vena porta, che scorre verso l’alto, e quella della bile, che scorre verso il basso, circolano una accanto all’altra, ma con direzioni opposte.

Vedremo in seguito come queste due correnti inverse assumono particolare significato alla luce dei risvolti psichici, simbolici ed energetici legati al fegato.

Interposto tra canale digestivo e cuore, il fegato mette in relazione l’ambiente interno con l’ambiente esterno (il canale digestivo può essere considerato una struttura tubolare le cui estremità comunicano con l’esterno).

Il fegato costituisce un sistema capace di accogliere, contenere e distribuire i fluidi organici indispensabili al metabolismo (insieme di processi biofisici e biochimici atti alla produzione di energia). Tale funzione è rivolta a mantenere l’omeostasi, cioè quello che in altri termini viene anche detto «il mantenimento di un mezzo interno favorevole». Infatti, all’occorrenza, diviene un importante deposito di liquidi. Grazie alla particolare struttura anatomica e alla localizzazione tra intestino e cuore, il sistema epato-biliare costituisce un vero e proprio serbatoio di raccolta, e/o una vera e propria diga per tutte le bevande. Infatti, se somministriamo ad una persona una grande quantità di liquidi (eccesso dall’esterno), poco dopo il fegato aumenta di volume e di consistenza; così come aumenta di volume nell’insufficienza cardiaca (deficit interno), poiché esso raccoglie i liquidi in eccesso della circolazione che il cuore non riesce ad amministrare (fegato da stasi).

Ancora il sistema epatobiliare rappresenta un vero e proprio guardiano con capacità di discernimento: esso svolge una funzione di selezione, in quanto capace di distinguere ciò che è tollerabile e digeribile da ciò che è dannoso.

Infine, il fegato è il luogo di trasformazione e accumulo dei diversi prodotti di sintesi; in esso i composti alimentari vengono ricostruiti come nel caso dell’albumina di origine animale e vegetale che viene ricomposta in albumina umana. Un medico tedesco a tale funzione attribuiva il nome di «umanizzazione del nutrimento». (Cfr. Kahn F., 1940, pp. 371-380).

    La pressoché illimitata capacità di influenza reciproca delle funzioni più propriamente epatiche cosi come i rapporti di interdipendenza contratti con il funzionamento di altri organi o strutture dell’organismo[1], rendono complicato e difficilmente esaustivo qualsiasi tentativo di schematizzazione della sua fisiologia:

 

Il mito di Prometeo come esemplificazione della fisiologia energetica di Fegato e Cistifellea; il legno come intermediario tra acqua e fuoco.

 

Prometeo è «cugino» di Zeus e figlio di un titano, Giapeto: Zeus è infatti figlio di un altro titano, Crono. Le tradizioni differiscono sul nome della madre: vengono ugualmente citate Asia, figlia di Oceano, o Climene, anch’ella un’altra Oceanina. Prometeo ha diversi fratelli: Epimeteo, che è, in contrasto con lui, il «maldestro» per eccellenza, Atlante, Menezio. I suoi figli sono Deucalione, Lico e Chimereo.

Alcune tradizioni sostengono che Prometeo abbia creato i primi uomini modellandoli con la creta. Secondo A. de Souzenelle: «Prometeo li forma dal fango della terra che impasta con le sue lacrime» (A de Souzenelle, 1999, p.278). Secondo Graves: «Prometeo, figlio di Giapeto, con il consenso della dea Atena, li formò (gli uomini) a immagine e somiglianza degli dei impastando la creta con l’acqua del Panopeo, fiume della Focide; e Atena soffiò in essi la vita» (Graves, 1999). Ma questa leggenda non appare nella Teogonia di Esiodo, in cui Prometeo è semplicemente il benefattore dell’umanità e non il suo creatore. Proprio per gli uomini Prometeo aveva ingannato Zeus. Una prima volta a Mecone, durante un solenne sacrificio; egli aveva diviso un bue sacrificale in due parti: in una parte aveva messo sotto la pelle la carne e le viscere che aveva ricoperto con il ventre dell’animale; nell’altra parte aveva disposto le ossa spolpate sotto il grasso bianco. Poi aveva detto a Zeus di scegliere la sua parte[2]; la rimanente sarebbe toccata agli uomini. Zeus scelse il grasso bianco, e, quando scoprì che non nascondeva che ossa, fu invaso da un grande rancore contro Prometeo e contro i mortali che erano stati favoriti da quell’inganno. Per punirli decise di non inviare più loro il fuoco. Scrive Esiodo: «Così disse Zeus irato, che sa di umani pensieri, e da allora d’inganno memore sempre non concesse più ai legni la forza del fuoco indefesso per gli uomini mortali che sulla terra hanno dimora.» (Esiodo, 1988, 561-565). Allora Prometeo li soccorse di nuovo; sottrasse semi di fuoco «alla ruota del sole» e li portò sulla terra nascosti in un gambo di ferola. Un’altra tradizione vuole che abbia sottratto questo fuoco alla fucina d’Efesto. Zeus punì i mortali e il loro benefattore. Contro i primi pensò di mandare una creatura modellata espressamente, Pandora, mentre incatenò Prometeo sul Caucaso con lacci d’acciaio e inviò un’aquila, nata da Echidna (la «vipera» n.d.a.) e da Tifone, che doveva divorargli il fegato ogni giorno, poiché di notte ricresceva, giurando sullo Stige di non staccarlo mai dalla roccia. Tuttavia, allorché Eracle (l’Ercole dei latini n.d.a.) passò nelle regioni del Caucaso, trafisse con una freccia l’aquila e liberò Prometeo. Zeus, felice di questa impresa che accresceva la gloria del figlio, non protestò, ma, affinché il suo giuramento non fosse vano, ingiunse a Prometeo di portare un anello fatto con l’acciaio delle sue catene e un pezzetto di roccia alla quale era legato: così che un legame d’acciaio continuava a immobilizzare il Titano sulla roccia antica. Fu in quel momento che il centauro Chirone, ferito da una freccia d’Eracle, che lo faceva soffrire incessantemente, desiderò morire, e, poiché era immortale, dovette trovare qualcuno che accettasse la sua immortalità; Prometeo gli rese questo servizio e diventò immortale al posto suo. Zeus accettò la liberazione e l’immortalità del Titano, tanto più volentieri in quanto quest’ultimo gli aveva reso un grande servizio rivelandogli un antichissimo oracolo, secondo il quale il bambino che egli avrebbe avuto da Teti sarebbe stato più potente di lui, e, fattosi adulto, lo avrebbe spodestato.

Prometeo, infatti, aveva capacità d’indovino. Fu lui ad indicare ad Eracle il modo di procurarsi i pomi d’oro, insegnandogli che soltanto Atlante avrebbe potuto coglierli nel giardino delle Esperidi. Egli consigliò anche, al figlio Deucalione, il modo di salvarsi dal grande diluvio che Zeus meditava per annientare la stirpe umana e che egli aveva saputo prevedere. (Grimal, 1990, voce Prometeo.)

 

Prometeo e il movimento legno in MTC

 

Leggere questo mito attraverso il Tai Ji e la legge dei cinque elementi-movimenti rimanda ad un elevato numero di considerazioni.

A titolo esemplificativo abbiamo provato ad organizzare le mille immagini richiamate in tre temi principali: il primo considera le potenzialità relazionali della loggia energetica del legno, il secondo sottolinea la sua funzione più bellicosa, il terzo descrive infine la difficile relazione con il tempo di questo movimento.

 

Potenzialità relazionali-evolutive del legno.

 

Il seme (posto nella loggia energetica dell’acqua grazie alle sue molteplici potenzialitá) è la promessa dell’albero, dei rami, dei fiori e dei frutti, qualora il sole e la terra lo accompagnino durante la crescita. E anche l’albero compiuto, maturo nel suo distribuire frutta, ombra e ossigeno a chi ne sa godere, continuerà a richiedere forza al sole e alla terra, alla luce e alle tenebre, al fuoco e all’acqua; ma fungerà anche da grande mediatore tra queste forze opposte. Attraverso di esso acqua e sostanze nutritive terrene saliranno verso il sole, verso il cielo mentre calore ed energia scenderanno dalle foglie attraverso il tronco e le radici a scaldare e illuminare il terreno.

Prometeo sembra incarnare queste potenzialità di mediazione nella sua stessa genealogia così come nei suoi comportamenti. Suo «cugino» è Zeus, figlio di Cronos, «Zeus è il dio più grande del pantheon ellenico. E’ essenzialmente il dio della luce, del cielo chiaro, e anche del fulmine» (Grimal, 1990, alla voce Zeus) un dio quindi che incarna luce e fulmine contemporaneamente; simbolo di due aspetti opposti del chiarore del Cielo.

Il padre di Prometeo , Giapeto, è già figlio del cielo (Urano) e della terra (Gaia).

Il nostro eroe è così pronto ad incarnare la mediazione degli opposti complementari archetipici Cielo e Terra. Gli manca però la forza ancestrale dell’acqua, tanto essenziale alle diverse funzioni del movimento legno; troviamo questa forza proprio nella madre: indipendentemente dalle tradizioni a cui si fa riferimento, si tratta sempre di una figlia di Oceano[3].

Bisogna porre l’attenzione sul modo in cui Prometeo renderà manifeste queste sue potenzialità, sintetizzabili in due modalità che, per semplificare, verranno definite «verticale» e «orizzontale»; la prima interessa il confronto con le forze di acqua e fuoco (piano ontologico?), la seconda riguarda il suo rapporto con terra e metallo (piano storico?).

Il fuoco viene espressamente richiamato quando Prometeo lo ruba agli dei del cielo per restituirlo agli uomini sulla terra dopo che Zeus, arrabbiato per l’inganno subito, li costringe a cibarsi di «carne cruda».

I semi di fuoco rubati alla ruota del carro del Sole vengono portati sulla terra nascosti proprio nel gambo di un vegetale!

Per quanto riguarda l’acqua sarà il figlio di Prometeo a giocare un ruolo diretto con essa: Deucalione e sua moglie Pirra dovranno salvarsi dal diluvio grazie ai consigli del padre di lui.

L’acqua del diluvio. Un’acqua, il cui simbolismo è tanto profondo da non voler essere spiegato.

Entriamo quindi nei richiami meno espliciti di acqua e fuoco che compaiono in questo mito.

Sicuramente importante in questo senso, come si evince dalle parole rivolte a Prometeo da Ermete nel Prometeo incatenato di Esclilo, è l’aquila, figlia di Echidna (la vipera) e Tifone (figlio di Gaia e del Tartaro), 

«il cane di Zeus, il cane con le ali,

l’aquila fulva come il sangue, avida,

straccerà il grande straccio del tuo corpo

verrà senza richiamo, silenziosa,

a dilaniarti tutto il lungo giorno,

a cibarsi del tuo fegato nero...» 
(Eschilo, 1991, p.133)

L’aquila, forse l’animale che viaggia più vicino al calore e alla luce del Sole nel cielo, è fulva come il sangue; quale maggior richiamo possibile alla loggia energetica del fuoco? Eppure, è figlia della Vipera e di Tifone (figlio più giovane di Gaia e del Tartaro-«la regione più profonda, posta al di sotto degli stessi inferi. Fra gli Inferi e il Tartaro vi è la stessa distanza di quella che vi è tra il Cielo e la Terra» - Grimal, 1990, alla voce Tartaro) e divorerà il fegato di Prometeo, come se, aiutata dall’infinito alternarsi della luce del giorno e dalle tenebre della notte, dovesse costringere Prometeo a continuare a ricostituirsi fino alla piena consapevolezza delle sue potenzialità. In altre parole: “Il fegato è inteso come l’organo di integrazione delle energie compiute. Divorando il fegato di Prometeo l’aquila obbliga l’uomo a discendere nelle notti dell’incompiuto” (A de Souzenelle, 1999, p. 281). E’ interessante associare queste considerazioni con la funzione biochimica svolta sul sangue dal Fegato: importante sorgente di globuli rossi durante la vita fetale, svolge un’azione fondamentale sui fattori della coagulazione, quei fattori che impediscono la fuoriuscita di sangue dai vasi, la dispersione dello shen verso l’esterno.

Il Fegato, organo energeticamente portatore di luce, è invece in questo caso «annerito»: come non vedere nell’acqua e nelle tenebre le ombre dell’inconscio e nel fuoco e nella luce la forza della coscienza? E quanto è spesso necessario continuare a confrontarsi con i nostri mostri più oscuri per proseguire nel difficile cammino della consapevolezza e, spesso, dell’esistenza stessa!

Diviene quindi evidente anche quella funzione biochimica di mediazione tra Intestino Tenue e Cuore svolta proprio dal fegato: una mediazione tra due fuochi di cui uno legato allo strato energetico più profondo e più «puro e protetto» Shao Yin e l’altro a quello più superficiale e più «torbido» Tai Yang (associato tra l’altro al freddo e all’acqua).

E solo al termine di un infinito alternarsi di giorni e di notti che Prometeo diverrà immortale; alla fine di questo percorso Prometeo scambierà con il sapiente Chirone[4] «celebre medico che praticava anche la chirurgia» il dono dell’immortalità dopo che lo stesso Ercole, figlio di Zeus, aveva ucciso l’aquila fulva. Possiamo così immaginare come Prometeo compiuto tornerà ai «suoi figli», gli uomini, con insegnamenti medici ancora più approfonditi di quelli impartiti precedentemente.

E siamo giunti alle potenzialità «orizzontali», più «terrene» del nostro eroe: secondo alcuni autori (come già sottolineato) è stato proprio Prometeo ad aver creato i primi uomini; come riportato da A. de Souzenelle: «Prometeo li forma dal fango della terra che impasta con le sue lacrime» (A. de Souzenelle, 1999, p 278) oppure, come sostiene Graves formò gli uomini a immagine e somiglianza degli dei, impastando la creta con l’acqua del Panopeo, fiume della Focide con l’aiuto di Atena che vi soffierà la vita. Secondo Esiodo, Prometeo rappresenta il benefattore[5] dell’umanità piuttosto che il suo creatore. Egli infatti «ingannerà» Zeus per gli uomini (se di vero inganno si è trattato e non invece di giustizia) e li aiuterà in seguito a riacquisire la «luce» e la possibilità di metabolizzare le carni crude.

Quest’opera rivolta verso l’umanità è contraddistinta però da un rapporto di aiuto monodirezionale. Il movimento espansivo va da Prometeo agli uomini, e non viceversa: Corifea infatti lo esorta: 

«Tu non giovare gli uomini oltre il giusto

dimenticando te nella sventura.»
(Eschilo, 1991, p. 120).

Se immaginiamo due piani differenti tra le essenze di acqua e fuoco da una parte e legno, terra e metallo su un piano orizzontale dall’altra, vediamo come l’incontro di Prometeo con le forze della nonna metallo compare proprio nel momento in cui egli viene punito. Egli verrà legato ad una roccia con lacci d’acciaio e dovrà, una volta sganciato da essa, portare sempre al dito (sarebbe bello sapere quale!) un anello forgiato con lo stesso acciaio con un frammento di roccia incastonato. Nel momento in cui Prometeo viene incatenato, Zeus giura sullo Stige, fiume degli Inferi, di non staccare mai Prometeo dalla roccia. Con lo Stige e con gli Inferi torna il richiamo a quel percorso di interiorizzazione (tanto innaturale da dover essere violentemente forzato) che Prometeo dovrà attuare restando fermamente fissato alla roccia; egli sembra quasi costretto a percorrere i suoi stessi Inferi per azione di un uccello legato invece fenomenologicamente (se non ancestralmente) alla luce e all’aria. E di questo movimento (così come della stabilità della roccia da cui è immobilizzato) egli dovrà mantenere memoria attraverso un anello, una volta divenuto immortale. E il nostro movimento orizzontale si intreccia con quello verticale.

Prometeo otterrà quindi la sua immortalità dal centauro Chirone ferito da lungo tempo al piede, a livello delle sue fondamenta, da Ercole, quasi a sottolineare ulteriormente la profondità del percorso evolutivo e del bagaglio che Prometeo dovrà portare con sé nella sua immortalità.

 

L’ultimo, non per importanza, aspetto delle potenzialità relazionali del movimento legno, che emergono da questo mito, interessa quell’incontro di acqua e fuoco che donna e uomo realizzano attraverso le loro stesse molteplici unioni possibili.

Scrive E. Rochat de la Vallée: «la sessualità è in rapporto con il fegato per diversi aspetti: immagini, emozioni, erezione muscolare o liberazione del sangue, pulsione di vita e potenza del desiderio … La potenza del fegato apre i passaggi, da slancio ai movimenti e alle circolazioni in modo che esse raggiungano le estremità del corpo, verso l’esterno e verso l’alto. Questo dinamismo, fondato sui reni, si esprime ovunque là dove le circolazioni richiedono una spinta, una liberazione, sia per evacuare, sia per assorbire e assimilare, sia per superare un ostacolo; questo avviene sia per gli elementi materiali (come il sangue), che per elementi dello psichismo (come i sentimenti)». (1994, p. 210). Questa forza si attiva durante l’adolescenza, in primavera, quando le forze rimaste sopite durante l’inverno si risvegliano, sotto l’egida dell’energia del fegato, il cui slancio vitale presiede alla sessualità; essa rappresenta la potenza del desiderio e la liberazione delle forze, ma anche il desiderio e la spinta di realizzazione del potenziale umano.

Nella storia di Prometeo la donna compare sotto le spoglie di Pandora: «la prima donna. Fu creata da Efesto e Atena, aiutati da tutti gli dei, per ordine di Zeus. Ognuno la ornò di una qualità; ella ricevette la bellezza, la grazia, l’abilità manuale, la persuasione ecc. Ma Ermes mise nel suo cuore la menzogna e la furbizia. Efesto l’aveva modellata a immagine delle dee immortali, e Zeus la destinava alla punizione della razza umana, alla quale Prometeo aveva appena dato il fuoco divino. Fu il regalo che tutti gli dei diedero agli uomini per la loro sventura» (Grimal, 1990, alla voce Pandora). Pandora sembra quindi voler rappresentare l’intero mondo del femminile, quel femminile che Prometeo rifiuta perché non ancora pronto per incontrarlo. Scrive A. de Souzenelle in merito: «La donna interviene nel mito greco nella persona di Pandora, nome che significa "colei che ha tutti i doni".

In effetti, nata dalle mani di Efesto per ordine di Zeus, Pandora porta il fuoco divino in potenza nel famoso vaso che le è stato consegnato ma che non ha il diritto di aprire. Dono divino, queste energie-fuoco saranno elementi di vita se l'Uomo saprà servirsene, di morte se non conoscerà i poteri, con la conoscenza e la padronanza. Prometeo non sa riconoscere in Pandora il frutto della misericordia divina che, tramite la donna, gli invia il germe di fuoco che desidera e di cui ha privato l'Umanità. «Cercando la soluzione al suo problema soltanto nelle sue forze fisiche e psichiche, falso maschio, non riconosce il dono divino.» (A. de Souzenelle, 1999, p. 279).

Inoltre Prometeo è l'immagine dell'essere umano che non ha passato la «porta degli uomini»; il suo pensiero, sebbene preveggente, striscia quindi a livello delle preoccupazioni dell'Avere, e la sua coscienza addormentata non riesce a discernere il dono di vita e intraprendere con Pandora il duro cammino della fucina, passando attraverso la porta stretta.

Prometeo doveva sposare la sua Isha e custodire con lei il vaso sigillato. Essi non hanno avuto né la pazienza né l'obbedienza che viene chiesta ai bambini e che supplisce alla loro ignoranza. Purtroppo mentre Prometeo parte per rubare il fuoco della fucina, Pandora sposa Epimeteo ed insieme aprono il vaso proibito (A. de Souzenelle, 1999, p.280).

Chissà se divenuto «immortale» Prometeo riconoscerà la sua sposa ?.

In questo «percorso di immortalità e compimento» sembra interessante l’analisi etimologica riportata dalla stessa autrice a proposito delle parole «fegato» e «fico». Il fegato, in ebraico Kavod, è una parola che significa anche pesantezza, gravità, abbondanza, potenza; è il luogo del corpo dove si ripone la luce del compiuto. A. de Souzenelle sottolinea infatti l'aspetto "luce" della vocazione del fegato; esso ha potere di visione. Diviene sede di una nuova intelligenza sugli avvenimenti, di una nuova saggezza sulle decisioni da prendere. Questo potere era conosciuto nell'Antichità: si leggeva allora l'avvenire nel fegato degli animali. Il simbolismo del fegato-ficus-fico trova nel cristianesimo la sua conferma: è luogo della salita delle energie. Energie giunte al compimento, come potenziale via di realizzazione spirituale.

A. de Souzenelle riprende quindi il tema del fico come riportato nel vangelo di Marco: “La mattina seguente, mentre uscivano di Betania, -Cristo- ebbe fame. E avendo visto da lontano un fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la stagione dei fichi. E gli disse: «Nessuno possa mai mangiare i tuoi frutti»” (Marco, 11, 12-14).

“La mattina seguente, passando, videro il fico seccato fin dalle radici. (Marco, 11, 20).

Il fico simbolizza il desiderio e le sue foglie la spinta del desiderio, il suo frutto ne è il compimento. Colui che non spinge il suo desiderio verso la realizzazione spirituale, ma verso il mondo, obbedisce alla legge delle stagioni: "Finché durerà la terra, seme e messe, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno", Dio l'aveva promesso a Noè (Genesi 8, 22).

Colui che spinge il suo desiderio verso la realizzazione spirituale, genera frutti in tutte le stagioni. Cosi Dio maledice il fico del mondo, cioè quelle spinte vitali che non portano al compimento del proprio potenziale.

Cristo infine paragona gli avvenimenti della fine dei tempi - o fine dei giorni - all'evoluzione del fico in una parabola: "Guardate il fico e tutte le piante; quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che l'estate è vicina; così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino" (Luca, 21, 29-31) (A. de Souzenelle, 1999, pp. 223-226).

 

Funzione bellicosa del movimento legno

 

«Il fegato, (è rappresentato con un ideogramma raffigurante due elementi - il primo è costituito da) un corpo di carne, (a significare la consistente materialità dell’organo, il secondo è descritto come) un pestello diritto, pronto ad attaccare, ma anche a sostenere o uno scudo conficcato in terra davanti a sé che difende e protegge. Chi sa meglio sferrare i colpi sa anche meglio incassarli… Il fegato come la primavera o l’Est dove si leva il sole, rappresenta lo slancio di vita. Essendo il primo a comparire è anche il primo a cadere o a subire i colpi, perché si espone in prima linea…» (C. Larre, E. Rochat de la Vallée, 1994, p.209).

Scrivono inoltre gli antichi testi cinesi: «Il fegato ha l’incarico di comandante dell’esercito, emana l’analisi della situazione e la progettazione dei piani».(E. Rochat de la Vallée, C. Larre 1994, p.261). «La VB ha l’incarico del giusto e dell’esatto, emana determinazione e decisione.» (E. Rochat de la Vallée, C. Larre 1994, p. 262).

Anche il solo ideogramma rende bene l’idea sintetica della funzione del fegato per la cultura cinese: esso rappresenta un organo di mediazione tra interno e esterno, Guardiano pronto ad attaccare o incassare analogamente alla capacità di discernimento, elaborazione e detossificazione degli alimenti e attività di serbatoio-diga viste precedentemente.

Allo stesso modo il mito di Prometeo si contraddistingue per il clima quasi costante di provocazioni, attacchi, difese, alleanze.

Prometeo, generale non ancora compiuto, deve agire, non è ancora in grado di stare fermo ad attendere il momento propizio per muoversi. Egli agisce creando gli uomini, «ingannando» Zeus, rubando il fuoco ecc. quasi compulsivamente.

Prometeo non sopporta l’ingiustizia ed è pronto a pagare qualsiasi prezzo, battendosi contro di essa. E qui torna il costante sbilanciamento verso l’esterno. Egli usa la sua capacità di previsione per aiutare gli altri, mentre non la utilizza per sé: quel dare-dare-dare tipico del legno sbilanciato, che arriva a consumare la propria acqua, quasi senza accorgersene, come lo rimprovera Corifea; un grosso rischio per Prometeo «adolescente» è infatti quello di non saper tutelare o mantenere adeguatamente il suo mezzo interno favorevole anche attraverso il suo laboratorio biochimico, nel quale mobilizza, trasforma e immagazzina le energie (come indicato dalla funzione biochimica epatica su proteine e glucosio).

Anche quando Prometeo sembra ingannare Zeus, in realtà, forse, sottolinea semplicemente la differenza esistente tra il mondo più «materiale» della Terra e quello più «spirituale» del Cielo. Egli dirà infatti a Zeus di scegliere con il Cuore ed il dio non sbaglierà, in quanto sceglierà grasso bianco e ossa, tessuti che sappiamo essere entrambi fondamentali sia se guardati da occidente che da oriente. E anche in questo caso la similitudine con la tradizione cinese è veramente impressionante; scrivono infatti Y. Mollard e M. Maiola: «E’ interessante, comunque, avvicinare gli ideogrammi che designano l’osso, il grasso ed il midollo ... questo ci permette di notare come grasso e midollo comprendano, al loro interno, la rappresentazione dell’ideogramma che designa l’osso» (Y. Mollard, M. Maiola, 1996, p.106). Prometeo anche in questo caso sembra quindi non rinunciare a combattere un’iniquità; egli inganna Zeus solo esteriormente, ma in realtà forse la sua capacità di visione lo porta a muoversi con profonda e lungimirante onestà: farà scegliere “con il cuore” al dio le parti più ricche ed importanti dell’animale

Allo stesso modo Zeus in realtà, incatenando Prometeo, non lo punisce, ma gli offre un’occasione evolutiva importante; il nostro psichismo occidentale fa fatica a liberarsi delle nozioni di giudizio e di punizione, legate alla penitenza. Lo psichico diviene moralmente schiavo del giuridico. La visione spirituale scopre la finalità liberatrice del potenziale energetico mobilizzato. Prometeo, attaccato ad una roccia alla sommità del Caucaso, affronta in realtà le prove con cui ogni essere, a questo punto del viaggio, deve misurarsi. Siamo di fronte ad una legge fondamentale dell'evoluzione che comporta necessariamente una fase d'involuzione preliminare che sarebbe falso definire punitiva, per quanto difficile possa presentarsi per il vissuto umano.

Si trova un’ultima osservazione a proposito della giustizia di questo mito, nel già citato diluvio: Zeus scelse Deucalione (figlio di Prometeo) e Pirra (moglie di Deucalione e figlia di Epimeteo) come i due giusti che dovevano salvarsi dal diluvio aiutati dai consigli preveggenti del padre di lui.

Un’emozione tanto utile quanto controproducente, se mal gestita, per il generale, e ancor più per il giudice, è certamente la collera, sia espressa sia inespressa.

L’influenza delle impressioni emotive sul fegato è una nozione acquisita per esperienza da tutti i popoli dell’antichità, tanto che sono numerosissime le espressioni atte a definirla. Già negli scritti cuneiformi dell’antica Babilonia una forma di preghiera per evitare la collera, recitava: «Possa il tuo fegato ammorbidirsi». Ancora oggi chi ha tendenza alla collera, al cattivo umore, a manifestare eccessive preoccupazioni circa la propria salute, viene apostrofato come «fegatoso» o talvolta ipocondriaco, (parola che letteralmente significa sottocostale). Similmente si dice di chi è in collera che gli «trabocca la bile» o che è «giallo di collera». Il colorito giallo dell’invidioso o del collerico è un modo di dire derivato dall’esperienza che insegna come sia possibile diventare gialli per invidia o per un attacco di collera. Itterizia è il termine usato per descrivere la tinta giallo-verdastra assunta dalla cute e dalle sclere degli occhi. Uno stato d’animo lieto aumenta moderatamente il flusso della bile, mentre uno stato di tristezza lo eleva considerevolmente; nella collera il deflusso si arresta. Se una persona prova un forte ribrezzo, tutto il sistema biliare (il grosso dotto cistico, che porta la bile all’intestino, la vescica biliare e, nel fegato stesso, i piccoli dotti biliari) si contrae spasticamente. La bile viene sospinta indietro, invertendo la direzione del flusso fino a riversarsi nei vasi sanguigni epatici e poi nella circolazione generale. L’individuo assume il colorito giallo (una volta superata una certa quantità di bile nel sangue), poiché la bile ha la tendenza a depositarsi nel sottocute e nelle sclere oculari. Tutte le condizioni, oltre alle emozioni che su base spastica o meccanica ostacolino il normale fluire della bile nell’intestino, possono portare all’itterizia. (Kahn F., 1940).

Ancora, nel capitolo ottavo del Lingshu, troviamo corrispondenze inaspettate tra l’antica Medicina Tradizionale Cinese e la nostra tradizione occidentale; la collera, sia quella che scoppia che quella che resta nascosta, ritirata, corrisponde al fegato. Quando la pressione accumulata esplode, sangue e soffi sono spinti verso l’alto in massa. Quando è trattenuta, l’agitazione e l’insoddisfazione generano blocchi non risolvibili, situazioni senza uscita che ci rodono. «Quando essa (la collera) esprime la normalità, è l’impetuosità stessa della vita, soprattutto nella potenza degli inizi: la forza del vento che soffia o della pianta che buca il suolo ancora gelato, la violenza della nascita che espelle l’essere alla luce del giorno e poi lo fa crescere e svilupparsi o, ancora, lo sforzo che tende i muscoli. Quando l’impetuosità diviene patologica, rompe i sui ormeggi, abbandona le sue radici, perde il controllo: è l’impeto d’ira, il furore scatenato, la rabbia irragionevole.» (Larre C., Rochat de la Vallée, 1994, p. 201).

E Prometeo risulta inizialmente impetuoso e irruento; Ermete gli dice infatti: 

«Sei come un puledro

quando si doma, che mastica il morso,

si ribella e combatte con le redini».
(Eschilo, 1991, p.133)
.

E il fegato con cui si dovrà confrontare Prometeo è infatti nero, scuro.

E’ interessante vedere in ultimo come alcuni testi[6] mostrino Prometeo aiutato proprio da Atena, dea della guerra, della ragione e di diverse arti nel furto del fuoco al carro del Sole nonché nel soffiare la vita durante la creazione degli uomini.. Di Atena si dice che invento’ il flauto, la tromba, il vaso di terracotta, l’aratro, il rastrello, il giogo per i buoi, la briglia per i cavalli, il cocchio e la nave. Fu la prima a insegnare la scienza dei numeri e tutte le arti femminili, come il cucinare, il filare e il tessere. Benché dea della guerra, essa non gode delle sanguinose battaglie, come invece accade per Ares e Eris, ma preferisce appianare le dispute e far rispettare la legge con mezzi pacifici. Non porta armi in tempo di pace e, qualora ne abbia bisogno, le chiede in prestito a Zeus. La sua misericordia è grande. Se nei processi che si svolgono all’Areopago i voti e i giudici sono pari, essa di solito aggiunge il proprio per ottenere l’assoluzione dell’accusato. Ma se si trova impegnata in guerra non perde mai una battaglia, sia pure contro lo stesso Ares, perché più esperta di lui nell’arte strategica; i capitani accorti si rivolgono sempre a lei per avere consiglio (Graves, 1999, p. 87).

 

Il cruciale rapporto con il tempo da parte del movimento legno.

 

Per quanto riguarda la coppia di opposti complementari Spazio-Tempo, il movimento del legno, come Prometeo, si trova maggiormente in difficoltà nel confronto con il tempo.

Questo movimento si contraddistingue per la caratteristica di «andare e venire», e infatti l’unica stasi esistente nel mito di Prometeo è quella imposta dalle catene e dalla roccia del Caucaso; per il resto del mito siamo di fronte ad un continuo movimento. Se leggiamo Eschilo, nel Prometeo incatenato, anche quando il nostro eroe si trova legato alla roccia, si ha un continuo andirivieni: lo scorrere delle giornate e delle notti si impone come l’andare e venire dell’aquila, ma anche numerose altre figure incarnano quel movimento esterno che Prometeo può attuare solo interiormente.

Forse non a caso è Zeus, figlio di Cronos, a punirlo o, secondo l’interpretazione qui riportata, a fornirgli questa importante occasione. Nello scorrere ripetitivo di notti gelide, ma rigeneranti, e di giorni torridi e distruggenti risiede la prova con cui Prometeo si deve confrontare per uscire da quella condizione in cui: “Prometeo non può generare che servi del Tempo, esseri legati alla ruota dei reinizi, tagliati dalle loro radici divine. Creatore di questi "uomini in caduta" privati del loro fuoco divino.” (A. de Souzenelle, 1999, p. 278)

Legata alla terra ed all'acqua, privata del fuoco, di ogni fonte di luce, questa umanità in esilio (al piano dell’avere) si nutre di frutti che nessun sole, simbolicamente, fa maturare, che nessun fuoco può cuocere.

Questi uomini hanno fame e freddo. Prometeo, loro padre, è preso da compassione per essi.

Egli vuole dare subito ai figli un cielo che non conosca gli inferi, una vita che non passi per la croce. Prometeo è impaziente. E' fortemente tentato di andarlo a rubare, questo fuoco, per riscaldare i suoi. (A. de Souzenelle, 1999, pp. 278-279). Queste poche righe evidenziano forse ancora meglio degli antichi testi cinesi, come il problema-potenzialità principale del movimento legno nel confronto diretto con il tempo, sia rappresentato dalla «ruota dei reinizi» da un lato e dall’ansia anticipatoria con il relativo sfasamento verso il futuro dall’altro.

E sarà ancora dalla metodicità e dall’abitudinarietà ricorrente della terra e dalla capacità di tornare indietro, di interiorizzare e aprire e chiudere del «metallo», che il legno troverà l’equilibrio necessario per valorizzare la sue specificità senza che divengano limite per sé e per gli altri.

Solo in seguito a questa gravosa esperienza, vedremo Prometeo utilizzare nel migliore dei modi la sua capacità di pre-visione che si può immaginare ancora più potente per la maggior robustezza delle basi a cui si ancora.

Bibliografia.

 

  1. Balboni G.C. et al. Anatomia Umana Vol. 2, Edi-Ermers, Milano, 1987.

  2. Colombo F., Fiz M.R., L’omicidio necessario, ed. Danibel, Novi Ligure, 1993.

  3. Eschilo, Tutte le tragedie, trad. it., Newton, Roma, 1991

  4. Esiodo, Teogonia, trad. it., BUR, Milano, 1998

  5. Granet M., Il pensiero cinese, Adelphi, Milano, 1987.

  6. Graves R., I miti greci, trad. it., Longanesi, Milano, 1999

  7. Grimal P., Enciclopedia dei miti, trad. it., Garzanti, Milano, 1990

  8. Kahn F., L’uomo sano e malato Vol. 1, Casa Ed. Mediterranea, Roma, 1940.

  9. Kent C., Jr. Anatomia comparata dei vertebrati, Piccin, Padova, 1973.

  10. Langman, Embriologia medica, Piccin, Padova, 1987.

  11. Larre C., Rochat de la Vallée E. (a cura di), Lingshu, trad. it., Jaca Book, Milano, 1994

  12. Mollard Y., Maiola M., L’uomo prima della nascita, Jaka Book, Milano, 1996.

  13. Pontieri, Fisiopatologia Generale, Piccin, Padova, 1990, Vol. 2.

  14. Rochat de la Vallée E., Larre C. ( a cura di), Suwen, trad. it., Jaca Book, Milano, 1994

  15. Souzenelle A. de, Il simbolismo del corpo umano, trad. it., Servitium editrice, Sotto il Monte (Bg), 1999

 

 

Indrizzo per chiarimenti

Micaela Montaldo
Presso Sowen
Via Soperga, 36, 20127 Milano
E-mail: [email protected]



[1] A. de Souzenelle sottolinea in particolare come «Il pancreas secerne il succo necessario alla digestione, cioè al lavoro della fucina. Fabbrica l'insulina, agente fondamentale del metabolismo degli zuccheri. Gli zuccheri sembrano simbolizzare le energie che passano dall'incompiuto nel pancreas al compiuto nel fegato, la cui funzione glicogenica concretizza la vocazione più sottile.» (A de Souzenelle, 1999, pp.228-230).

[2] Nella Teogonia di Esiodo si legge : «’O figlio di Iapeto, illustre tra tutti i signori, amico mio caro, con quanta ingiustizia facesti le parti’. Così disse Zeus beffardo che sa eterni consigli, ma a lui rispose Prometeo dai torti pensieri, ridendo sommesso, e non dimenticava le sue ingannevoli  arti:  ‘O Zeus nobilissimo, il più grande degli Dei sempre esistenti, di queste scegli quella che il cuore nel petto ti dice’» (Esiodo, 1988, 542-548).

[3] «Le tradizioni differiscono sul nome della madre. Viene citata Asia, figlia di Oceano, o Climene, anch’ella un’Oceanina». (Grimal P., 1990, alla voce Prometeo).

[4] «Chirone è il più celebre, il più saggio e il più sapiente dei Centauri. E’ figlio del dio Crono e di Filira, una fliglia di Oceano. Perciò appartiene alla stessa generazione divina di Zeus e degli Olimpici. Per generarlo Crono si era unito a Flira sotto forma di un cavallo, ciò che spiega la sua doppia natura. (…) Il suo insegnamento era basato sulla musica, l’arte della guerra e della caccia, la morale e la medicina, poiché Chirone era un celebre medico, e praticava anche la chirurgia (…).» (Grimal, 1990, alla voce Chirone).

 

[5] Per quanto concerne i regali di Prometeo all’umanità bisogna ricordare come egli «conosceva le scienze e le arti per ammaestramento di Atena» (F Colombo, MR Fiz, 1993, p.104).

[6] «Prometeo si alleò con Atena e penetrò nella dimora degli dei. Accese una torcia al carro del Sole ne staccò una brace e la nascose nel gambo di un finocchio. Così ridonò il fuoco agli uomini» (F Colombo, MR Fiz, 1993, p.104).