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Spunti per una lettura integrata del mito di
Prometeo: Micaela
Montalto |
“Accrescere a prezzo di qualche contraddizione i parallelismi simbolici
da cui si ricavano i principi della terapia e gli elementi della diagnosi,
non
vuol dire nuocere all’arte medica”
(Granet M., p.285)
Riassunto: La comprensione del ruolo del fegato e del suo significato
all’interno della complessa vicenda umana non può avvenire se non in modo
dialettico, provando ad effettuare una traslazione di ciò che è tangibile e
misurabile (aspetti di fisiologia) verso riferimenti psichici, simbolici e
quindi mitologici, energetici e religiosi attribuiti a quest’organo.
L’individuazione, anche solo parziale, della fitta rete di corrispondenze
esistente tra diversi piani di osservazione, vuole restituire dignità e
competenza ad una visione integrata dell’organismo umano. Ad alcuni aspetti di
tale organismo ci avviciniamo chiedendo aiuto alla mitologia greca, poiché in
essa affondano le radici della cultura occidentale. Confidando quindi nella
universale potenzialità del linguaggio delle essenze, della dimensione
simbolica e ontologica dell’essere umano, si cerca di avvicinare alcune
caratteristiche tipiche del «movimento» legno in Medicina Tradizionale Cinese,
partendo dall’analisi del mito di Prometeo.
Parole
chiave: Prometeo, fegato,
movimento legno, simbolismo.
Il
fegato:
Guardiano tra intestino e cuore.
Embriogenesi e
fisiologia occidentali
Nell’excursus filogenetico dei vertebrati il
fegato compare ancora in forma di abbozzo nei Ciclostomi e Condroitti
(vertebrati inferiori) (Kent C. Jr., 1973, p. 303).
Lo sviluppo di
quest’organo, nella specie umana, avviene durante la crescita fetale, tra la
terza e la decima settimana di vita, al termine della quale il suo peso
raggiunge circa il 10% del peso totale del feto. Il fegato fetale, fino al
settimo mese di vita intrauterina, è un’importante fonte di globuli rossi
(Langman, 1987, pp. 224-227). Nell’adulto il fegato è la ghiandola più grande
del corpo e, insieme al cervello, del quale ha all’incirca lo stesso peso, è il
più grande organo del corpo. Esso ha un peso medio di circa un chilo e mezzo; nel
vivente a tale peso va aggiunto quello del sangue che circola al suo interno,
che può variare da 400 a 800 e occupa tutto lo spazio sotto la metà destra
della cupola diaframmatica. La ragione delle notevoli dimensioni del fegato
risiede nel fatto che esso non produce soltanto, come lo stomaco e le ghiandole
salivari, il succo digerente, ma è anche un vero e proprio laboratorio
biochimico nel quale viene elaborato il nutrimento ricevuto dall’intestino. Il
fegato è, insieme al polmone, l’organo più ricco di sangue e possiede la
peculiarità di ricevere sangue da due sistemi circolatori: l’arteria epatica,
che conduce sangue proveniente dal cuore e la vena porta che conduce il sangue
refluo da alcuni visceri del sistema digerente, contenente fra l’altro le sostanze
nutritive assorbite a livello dell’intestino (Balboni G.C. et al., 1987, pag.
232).
Il
fegato risulta quindi funzionalmente interposto tra l’intestino ed il cuore,
svolgendo attività di filtro, elaborazione e disintossicazione. Le cellule
epatiche, inoltre, producono la bile a partire dalle sostanze ricevute. La
bile, una volta prodotta, viene immessa attraverso piccoli canali biliari nella
cistifellea e successivamente riversata nell’intestino. Il sangue
dall’intestino attraverso la vena porta sale dal fegato in direzione del cuore,
mentre la bile prodotta scorre in direzione contraria, a ritroso, verso il
basso, fino all’intestino. Queste due correnti, quella sanguigna della vena
porta, che scorre verso l’alto, e quella della bile, che scorre verso il basso,
circolano una accanto all’altra, ma con direzioni opposte.
Vedremo
in seguito come queste due correnti inverse assumono particolare significato
alla luce dei risvolti psichici, simbolici ed energetici legati al fegato.
Interposto tra canale digestivo e
cuore, il fegato mette in relazione l’ambiente interno con l’ambiente esterno
(il canale digestivo può essere considerato una struttura tubolare le cui
estremità comunicano con l’esterno).
Il fegato costituisce un sistema capace di accogliere, contenere
e distribuire i fluidi organici indispensabili al metabolismo (insieme di
processi biofisici e biochimici atti alla produzione di energia). Tale funzione
è rivolta a mantenere l’omeostasi, cioè quello che in altri termini viene anche
detto «il mantenimento di un mezzo interno favorevole». Infatti,
all’occorrenza, diviene un importante deposito di liquidi. Grazie alla
particolare struttura anatomica e alla localizzazione tra intestino e cuore, il
sistema epato-biliare costituisce un vero e proprio serbatoio di raccolta, e/o
una vera e propria diga per tutte le bevande. Infatti, se somministriamo ad una
persona una grande quantità di liquidi (eccesso dall’esterno), poco dopo il
fegato aumenta di volume e di consistenza; così come aumenta di volume nell’insufficienza
cardiaca (deficit interno), poiché esso raccoglie i liquidi in eccesso della
circolazione che il cuore non riesce ad amministrare (fegato da stasi).
Ancora
il sistema epatobiliare rappresenta un vero e proprio guardiano con capacità di
discernimento: esso svolge una funzione di selezione, in quanto capace di
distinguere ciò che è tollerabile e digeribile da ciò che è dannoso.
Infine,
il fegato è il luogo di trasformazione e accumulo dei diversi prodotti di
sintesi; in esso i composti alimentari vengono ricostruiti come nel caso
dell’albumina di origine animale e vegetale che viene ricomposta in albumina
umana. Un medico tedesco a tale funzione attribuiva il nome di «umanizzazione
del nutrimento». (Cfr. Kahn F., 1940, pp. 371-380).
La pressoché illimitata
capacità di influenza reciproca delle funzioni più propriamente epatiche cosi
come i rapporti di interdipendenza contratti con il funzionamento di altri
organi o strutture dell’organismo[1],
rendono complicato e difficilmente esaustivo qualsiasi tentativo di
schematizzazione della sua fisiologia:
Produzione e
deposito dell’energia (metabolismo
glucidico);
Sintesi della
maggior parte delle proteine (ad
esclusione delle immunoglobuline);
Detossificazione, attraverso le cellule
di Kupffer e degli epatociti, ovvero la capacità di rendere inattive e solubili
le sostanze non utili per l’organismo, in modo da convertirle in sostanze utili
o eliminarle;
Produzione dei
pigmenti biliari (bilirubina e
biliverdina soprattutto) attraverso il recupero dell’emoglobina (proteina
presente nel sangue in grado, mutando la sua struttura, di legare e trasportare
l’ossigeno e l’anidride carbonica) utili ai processi digestivi biliari;
Produzione dei
sali biliari a partire dal colesterolo;
Produzione di
bile, attraverso l’unione di pigmenti e
sali biliari con grassi, sali minerali e acqua;
Sintesi e metabolismo
di: lipoproteine e di importanti
costituenti del sangue (compresi alcuni fattori
della coagulazione), Vitamine, Ferro e Rame (Pontieri, 1990, pp. 1109-1116).
Il mito di Prometeo come esemplificazione della fisiologia
energetica di Fegato e Cistifellea; il legno
come intermediario tra acqua e fuoco.
Prometeo è «cugino» di Zeus e
figlio di un titano, Giapeto: Zeus è infatti figlio di un altro titano, Crono.
Le tradizioni differiscono sul nome della madre: vengono ugualmente citate
Asia, figlia di Oceano, o Climene, anch’ella un’altra Oceanina. Prometeo ha
diversi fratelli: Epimeteo, che è, in contrasto con lui, il «maldestro» per
eccellenza, Atlante, Menezio. I suoi figli sono Deucalione, Lico e Chimereo.
Alcune tradizioni sostengono che
Prometeo abbia creato i primi uomini modellandoli con la creta. Secondo A. de
Souzenelle: «Prometeo li forma dal fango della terra che impasta con le sue lacrime» (A de Souzenelle, 1999,
p.278). Secondo Graves: «Prometeo, figlio di Giapeto, con il consenso della dea
Atena, li formò (gli uomini) a immagine e somiglianza degli dei impastando la
creta con l’acqua del Panopeo, fiume
della Focide; e Atena soffiò in essi la vita» (Graves, 1999). Ma questa
leggenda non appare nella Teogonia di
Esiodo, in cui Prometeo è semplicemente il benefattore dell’umanità e non il
suo creatore. Proprio per gli uomini Prometeo aveva ingannato Zeus. Una prima
volta a Mecone, durante un solenne sacrificio; egli aveva diviso un bue
sacrificale in due parti: in una parte aveva messo sotto la pelle la carne e le
viscere che aveva ricoperto con il ventre dell’animale; nell’altra parte aveva
disposto le ossa spolpate sotto il grasso bianco. Poi aveva detto a Zeus di
scegliere la sua parte[2];
la rimanente sarebbe toccata agli uomini. Zeus scelse il grasso bianco, e,
quando scoprì che non nascondeva che ossa, fu invaso da un grande rancore
contro Prometeo e contro i mortali che erano stati favoriti da quell’inganno.
Per punirli decise di non inviare più loro il fuoco. Scrive Esiodo: «Così disse Zeus irato, che sa di umani
pensieri, e da allora d’inganno memore sempre non concesse più ai legni la
forza del fuoco indefesso per gli
uomini mortali che sulla terra hanno
dimora.» (Esiodo, 1988, 561-565). Allora Prometeo li soccorse di nuovo;
sottrasse semi di fuoco «alla ruota
del sole» e li portò sulla terra
nascosti in un gambo di ferola. Un’altra tradizione vuole che abbia sottratto
questo fuoco alla fucina d’Efesto.
Zeus punì i mortali e il loro benefattore. Contro i primi pensò di mandare una
creatura modellata espressamente, Pandora, mentre incatenò Prometeo sul Caucaso
con lacci d’acciaio e inviò un’aquila, nata da Echidna (la «vipera» n.d.a.) e
da Tifone, che doveva divorargli il fegato ogni giorno, poiché di notte
ricresceva, giurando sullo Stige di non staccarlo mai dalla roccia. Tuttavia,
allorché Eracle (l’Ercole dei latini n.d.a.) passò nelle regioni del Caucaso,
trafisse con una freccia l’aquila e liberò Prometeo. Zeus, felice di questa
impresa che accresceva la gloria del figlio, non protestò, ma, affinché il suo
giuramento non fosse vano, ingiunse a Prometeo di portare un anello fatto con
l’acciaio delle sue catene e un pezzetto di roccia alla quale era legato: così
che un legame d’acciaio continuava a immobilizzare il Titano sulla roccia
antica. Fu in quel momento che il centauro Chirone, ferito da una freccia
d’Eracle, che lo faceva soffrire incessantemente, desiderò morire, e, poiché
era immortale, dovette trovare qualcuno che accettasse la sua immortalità;
Prometeo gli rese questo servizio e diventò immortale al posto suo. Zeus
accettò la liberazione e l’immortalità del Titano, tanto più volentieri in
quanto quest’ultimo gli aveva reso un grande servizio rivelandogli un
antichissimo oracolo, secondo il quale il bambino che egli avrebbe avuto da
Teti sarebbe stato più potente di lui, e, fattosi adulto, lo avrebbe
spodestato.
Prometeo, infatti, aveva capacità
d’indovino. Fu lui ad indicare ad Eracle il modo di procurarsi i pomi d’oro,
insegnandogli che soltanto Atlante avrebbe potuto coglierli nel giardino delle
Esperidi. Egli consigliò anche, al figlio Deucalione, il modo di salvarsi dal
grande diluvio che Zeus meditava per annientare la stirpe umana e che egli
aveva saputo prevedere. (Grimal, 1990, voce Prometeo.)
Prometeo e il
movimento legno in MTC
Leggere questo mito attraverso il
Tai Ji e la legge dei cinque
elementi-movimenti rimanda ad un elevato numero di considerazioni.
A titolo esemplificativo abbiamo
provato ad organizzare le mille immagini richiamate in tre temi principali: il
primo considera le potenzialità relazionali della loggia energetica del legno, il secondo sottolinea la sua
funzione più bellicosa, il terzo descrive infine la difficile relazione con il
tempo di questo movimento.
Potenzialità
relazionali-evolutive del legno.
Il seme (posto nella loggia
energetica dell’acqua grazie alle sue
molteplici potenzialitá) è la promessa dell’albero, dei rami, dei fiori e dei
frutti, qualora il sole e la terra lo
accompagnino durante la crescita. E anche l’albero compiuto, maturo nel suo
distribuire frutta, ombra e ossigeno a chi ne sa godere, continuerà a
richiedere forza al sole e alla terra,
alla luce e alle tenebre, al fuoco e
all’acqua; ma fungerà anche da grande
mediatore tra queste forze opposte. Attraverso di esso acqua e sostanze nutritive terrene saliranno verso il sole, verso
il cielo mentre calore ed energia scenderanno dalle foglie attraverso il tronco
e le radici a scaldare e illuminare il terreno.
Prometeo sembra incarnare queste
potenzialità di mediazione nella sua stessa genealogia così come nei suoi
comportamenti. Suo «cugino» è Zeus, figlio di Cronos, «Zeus è il dio più grande
del pantheon ellenico. E’ essenzialmente il dio della luce, del cielo chiaro, e
anche del fulmine» (Grimal, 1990, alla voce Zeus)
un dio quindi che incarna luce e fulmine contemporaneamente; simbolo di due
aspetti opposti del chiarore del Cielo.
Il padre di Prometeo , Giapeto, è
già figlio del cielo (Urano) e della terra
(Gaia).
Il nostro eroe è così pronto ad
incarnare la mediazione degli opposti complementari archetipici Cielo e Terra. Gli manca però la forza
ancestrale dell’acqua, tanto
essenziale alle diverse funzioni del movimento legno; troviamo questa forza proprio nella madre: indipendentemente
dalle tradizioni a cui si fa riferimento, si tratta sempre di una figlia di
Oceano[3].
Bisogna porre l’attenzione sul
modo in cui Prometeo renderà manifeste queste sue potenzialità, sintetizzabili
in due modalità che, per semplificare, verranno definite «verticale» e
«orizzontale»; la prima interessa il confronto con le forze di acqua e fuoco (piano ontologico?), la seconda riguarda il suo rapporto con
terra e metallo (piano storico?).
Il
fuoco viene espressamente richiamato quando Prometeo lo ruba agli
dei del cielo per restituirlo agli uomini sulla terra dopo che Zeus, arrabbiato per l’inganno subito, li costringe
a cibarsi di «carne cruda».
I semi di
fuoco rubati alla ruota del carro del Sole vengono portati sulla terra nascosti proprio nel gambo di un
vegetale!
Per quanto riguarda l’acqua sarà il figlio di Prometeo a
giocare un ruolo diretto con essa: Deucalione e sua moglie Pirra dovranno
salvarsi dal diluvio grazie ai consigli del padre di lui.
L’acqua del diluvio. Un’acqua, il
cui simbolismo è tanto profondo da non voler essere spiegato.
Entriamo quindi nei richiami meno
espliciti di acqua e fuoco che compaiono in questo mito.
Sicuramente importante in questo senso, come si evince dalle parole rivolte a Prometeo da Ermete nel Prometeo incatenato di Esclilo, è l’aquila, figlia di Echidna (la vipera) e Tifone (figlio di Gaia e del Tartaro),
«il cane di Zeus, il cane con le
ali,
l’aquila fulva come il sangue,
avida,
straccerà il grande straccio del
tuo corpo
verrà senza richiamo, silenziosa,
a dilaniarti tutto il lungo
giorno,
a cibarsi del tuo fegato nero...»
(Eschilo, 1991, p.133)
L’aquila, forse l’animale che
viaggia più vicino al calore e alla luce del Sole nel cielo, è fulva come il
sangue; quale maggior richiamo possibile alla loggia energetica del fuoco? Eppure, è figlia della Vipera e
di Tifone (figlio più giovane di Gaia e del Tartaro-«la regione più profonda,
posta al di sotto degli stessi inferi. Fra gli Inferi e il Tartaro vi è la
stessa distanza di quella che vi è tra il Cielo e la Terra» - Grimal, 1990, alla voce
Tartaro) e divorerà il fegato di Prometeo, come se, aiutata
dall’infinito alternarsi della luce del giorno e dalle tenebre della notte,
dovesse costringere Prometeo a continuare a ricostituirsi fino alla piena
consapevolezza delle sue potenzialità. In altre parole: “Il fegato è inteso
come l’organo di integrazione delle energie compiute. Divorando il fegato di
Prometeo l’aquila obbliga l’uomo a discendere nelle notti dell’incompiuto”
(A de Souzenelle, 1999, p. 281). E’
interessante associare queste considerazioni con la funzione biochimica svolta
sul sangue dal Fegato: importante sorgente di globuli rossi durante la vita
fetale, svolge un’azione fondamentale sui fattori della coagulazione, quei
fattori che impediscono la fuoriuscita di sangue dai vasi, la dispersione dello shen verso l’esterno.
Il Fegato, organo energeticamente
portatore di luce, è invece in questo caso «annerito»: come non vedere nell’acqua e nelle tenebre le ombre dell’inconscio
e nel fuoco e nella luce la forza
della coscienza? E quanto è spesso necessario continuare a confrontarsi con i
nostri mostri più oscuri per proseguire nel difficile cammino della
consapevolezza e, spesso, dell’esistenza stessa!
Diviene quindi evidente anche
quella funzione biochimica di mediazione tra Intestino Tenue e Cuore svolta
proprio dal fegato: una mediazione tra due fuochi di cui uno legato allo strato
energetico più profondo e più «puro e protetto» Shao Yin e l’altro a quello più superficiale e più «torbido»
Tai Yang (associato tra l’altro al
freddo e all’acqua).
E solo al termine di un infinito
alternarsi di giorni e di notti che Prometeo diverrà immortale; alla fine di
questo percorso Prometeo scambierà con il sapiente Chirone[4]
«celebre medico che praticava anche la chirurgia» il dono dell’immortalità dopo
che lo stesso Ercole, figlio di Zeus, aveva ucciso l’aquila fulva. Possiamo
così immaginare come Prometeo compiuto tornerà ai «suoi figli», gli uomini, con
insegnamenti medici ancora più approfonditi di quelli impartiti
precedentemente.
E siamo giunti alle potenzialità
«orizzontali», più «terrene» del nostro eroe: secondo alcuni autori (come già
sottolineato) è stato proprio Prometeo ad aver creato i primi uomini; come
riportato da A. de Souzenelle: «Prometeo li forma dal fango della terra che impasta con le sue lacrime»
(A. de Souzenelle, 1999, p 278) oppure, come sostiene Graves formò gli uomini a
immagine e somiglianza degli dei, impastando la creta con l’acqua del Panopeo, fiume della Focide
con l’aiuto di Atena che vi soffierà la vita. Secondo Esiodo, Prometeo
rappresenta il benefattore[5]
dell’umanità piuttosto che il suo creatore. Egli infatti «ingannerà» Zeus per
gli uomini (se di vero inganno si è trattato e non invece di giustizia) e li
aiuterà in seguito a riacquisire la «luce» e la possibilità di metabolizzare le
carni crude.
Quest’opera rivolta verso l’umanità è contraddistinta però da un rapporto di aiuto monodirezionale. Il movimento espansivo va da Prometeo agli uomini, e non viceversa: Corifea infatti lo esorta:
«Tu non giovare gli uomini oltre
il giusto
dimenticando te nella sventura.»
(Eschilo, 1991, p. 120).
Se immaginiamo due piani
differenti tra le essenze di acqua e fuoco da una parte e legno, terra e metallo su un piano
orizzontale dall’altra, vediamo come l’incontro di Prometeo con le forze della
nonna metallo compare proprio nel
momento in cui egli viene punito. Egli verrà legato ad una roccia con lacci
d’acciaio e dovrà, una volta sganciato da essa, portare sempre al dito (sarebbe
bello sapere quale!) un anello forgiato con lo stesso acciaio con un frammento
di roccia incastonato. Nel momento in cui Prometeo viene incatenato, Zeus giura
sullo Stige, fiume degli Inferi, di non staccare mai Prometeo dalla roccia. Con
lo Stige e con gli Inferi torna il richiamo a quel percorso di
interiorizzazione (tanto innaturale da dover essere violentemente forzato) che
Prometeo dovrà attuare restando fermamente fissato alla roccia; egli sembra
quasi costretto a percorrere i suoi stessi Inferi per azione di un uccello
legato invece fenomenologicamente (se non ancestralmente) alla luce e all’aria.
E di questo movimento (così come della stabilità della roccia da cui è
immobilizzato) egli dovrà mantenere memoria attraverso un anello, una volta
divenuto immortale. E il nostro movimento orizzontale si intreccia con quello
verticale.
Prometeo otterrà quindi la sua
immortalità dal centauro Chirone ferito da lungo tempo al piede, a livello
delle sue fondamenta, da Ercole, quasi a sottolineare ulteriormente la
profondità del percorso evolutivo e del bagaglio che Prometeo dovrà portare con
sé nella sua immortalità.
L’ultimo, non per importanza,
aspetto delle potenzialità relazionali del movimento legno, che emergono da questo mito, interessa quell’incontro di
acqua e fuoco che donna e uomo realizzano attraverso le loro stesse
molteplici unioni possibili.
Scrive E. Rochat de la Vallée:
«la sessualità è in rapporto con il fegato per diversi aspetti: immagini,
emozioni, erezione muscolare o liberazione del sangue, pulsione di vita e
potenza del desiderio … La potenza del fegato apre i passaggi, da slancio ai
movimenti e alle circolazioni in modo che esse raggiungano le estremità del
corpo, verso l’esterno e verso l’alto. Questo dinamismo, fondato sui reni, si
esprime ovunque là dove le circolazioni richiedono una spinta, una liberazione,
sia per evacuare, sia per assorbire e assimilare, sia per superare un ostacolo;
questo avviene sia per gli elementi materiali (come il sangue), che per
elementi dello psichismo (come i sentimenti)». (1994, p. 210). Questa forza si attiva durante
l’adolescenza, in primavera, quando le forze rimaste sopite durante l’inverno
si risvegliano, sotto l’egida dell’energia del fegato, il cui slancio vitale
presiede alla sessualità; essa rappresenta la potenza del desiderio e la
liberazione delle forze, ma anche il desiderio e la spinta di realizzazione del
potenziale umano.
Nella storia di Prometeo la donna
compare sotto le spoglie di Pandora: «la prima donna. Fu creata da Efesto e
Atena, aiutati da tutti gli dei, per ordine di Zeus. Ognuno la ornò di una
qualità; ella ricevette la bellezza, la grazia, l’abilità manuale, la
persuasione ecc. Ma Ermes mise nel suo cuore la menzogna e la furbizia. Efesto
l’aveva modellata a immagine delle dee immortali, e Zeus la destinava alla
punizione della razza umana, alla quale Prometeo aveva appena dato il fuoco divino. Fu il regalo che tutti gli
dei diedero agli uomini per la loro sventura» (Grimal, 1990, alla voce Pandora). Pandora sembra quindi voler
rappresentare l’intero mondo del femminile, quel femminile che Prometeo rifiuta
perché non ancora pronto per incontrarlo. Scrive A. de Souzenelle in merito:
«La donna interviene nel mito greco nella persona di Pandora, nome che
significa "colei che ha tutti i doni".
In effetti, nata dalle mani di
Efesto per ordine di Zeus, Pandora porta il fuoco divino in potenza nel famoso
vaso che le è stato consegnato ma che non ha il diritto di aprire. Dono divino,
queste energie-fuoco saranno elementi di vita se l'Uomo saprà servirsene, di
morte se non conoscerà i poteri, con la conoscenza e la padronanza. Prometeo
non sa riconoscere in Pandora il frutto della misericordia divina che, tramite
la donna, gli invia il germe di fuoco
che desidera e di cui ha privato l'Umanità. «Cercando la soluzione al suo
problema soltanto nelle sue forze fisiche e psichiche, falso maschio, non
riconosce il dono divino.» (A. de Souzenelle, 1999, p. 279).
Inoltre Prometeo è l'immagine
dell'essere umano che non ha passato la «porta degli uomini»; il suo pensiero,
sebbene preveggente, striscia quindi a livello delle preoccupazioni dell'Avere,
e la sua coscienza addormentata non riesce a discernere il dono di vita e
intraprendere con Pandora il duro cammino della fucina, passando attraverso la
porta stretta.
Prometeo doveva sposare la sua
Isha e custodire con lei il vaso
sigillato. Essi non hanno avuto né la pazienza né l'obbedienza che viene
chiesta ai bambini e che supplisce alla loro ignoranza. Purtroppo mentre
Prometeo parte per rubare il fuoco della fucina, Pandora sposa Epimeteo ed
insieme aprono il vaso proibito (A. de Souzenelle, 1999, p.280).
Chissà se divenuto «immortale»
Prometeo riconoscerà la sua sposa ?.
In questo «percorso di
immortalità e compimento» sembra interessante l’analisi etimologica riportata
dalla stessa autrice a proposito delle parole «fegato» e «fico». Il fegato, in
ebraico Kavod, è una parola che
significa anche pesantezza, gravità, abbondanza, potenza; è il luogo del corpo
dove si ripone la luce del compiuto. A. de Souzenelle sottolinea infatti
l'aspetto "luce" della vocazione del fegato; esso ha potere di
visione. Diviene sede di una nuova intelligenza sugli avvenimenti, di una nuova
saggezza sulle decisioni da prendere. Questo potere era conosciuto nell'Antichità:
si leggeva allora l'avvenire nel fegato degli animali. Il simbolismo del
fegato-ficus-fico trova nel cristianesimo la sua conferma: è luogo della salita
delle energie. Energie giunte al compimento, come potenziale via di
realizzazione spirituale.
A. de Souzenelle riprende quindi
il tema del fico come riportato nel vangelo di Marco: “La mattina seguente,
mentre uscivano di Betania, -Cristo- ebbe fame. E avendo visto da lontano un
fico che aveva delle foglie, si avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche
cosa; ma giuntovi sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la
stagione dei fichi. E gli disse: «Nessuno possa mai mangiare i tuoi frutti»”
(Marco, 11, 12-14).
“La mattina seguente,
passando, videro il fico seccato fin dalle radici. (Marco, 11, 20).
Il fico simbolizza il
desiderio e le sue foglie la spinta del desiderio, il suo frutto ne è il
compimento. Colui che non spinge il suo desiderio verso la realizzazione
spirituale, ma verso il mondo, obbedisce alla legge delle stagioni:
"Finché durerà la terra, seme e messe, freddo e caldo, estate e inverno,
giorno e notte non cesseranno", Dio l'aveva promesso a Noè (Genesi 8, 22).
Colui che spinge il
suo desiderio verso la realizzazione spirituale, genera frutti in tutte le
stagioni. Cosi Dio maledice il fico del mondo, cioè quelle spinte vitali che
non portano al compimento del proprio potenziale.
Cristo infine paragona gli
avvenimenti della fine dei tempi - o fine dei giorni - all'evoluzione del fico
in una parabola: "Guardate il fico e tutte le piante; quando già
germogliano, guardandoli capite da voi stessi che l'estate è vicina; così pure,
quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è
vicino" (Luca, 21, 29-31) (A. de Souzenelle, 1999, pp. 223-226).
Funzione
bellicosa del movimento legno
«Il fegato, (è
rappresentato con un ideogramma raffigurante due elementi - il primo è
costituito da) un corpo di carne, (a significare la consistente materialità
dell’organo, il secondo è descritto come) un pestello diritto, pronto ad
attaccare, ma anche a sostenere o uno scudo conficcato in terra davanti a sé che difende e protegge. Chi sa meglio sferrare i
colpi sa anche meglio incassarli… Il fegato come la primavera o l’Est dove si
leva il sole, rappresenta lo slancio di vita. Essendo il primo a comparire è
anche il primo a cadere o a subire i colpi, perché si espone in prima linea…»
(C. Larre, E. Rochat de la Vallée, 1994, p.209).
Scrivono inoltre gli
antichi testi cinesi: «Il fegato ha l’incarico di comandante dell’esercito,
emana l’analisi della situazione e la progettazione dei piani».(E. Rochat de la
Vallée, C. Larre 1994, p.261). «La VB ha l’incarico del giusto e dell’esatto,
emana determinazione e decisione.» (E. Rochat de la Vallée, C. Larre 1994, p.
262).
Anche il solo ideogramma rende
bene l’idea sintetica della funzione del fegato per la cultura cinese: esso
rappresenta un organo di mediazione tra interno e esterno, Guardiano pronto ad
attaccare o incassare analogamente alla capacità di discernimento, elaborazione
e detossificazione degli alimenti e attività di serbatoio-diga viste
precedentemente.
Allo stesso modo il mito di
Prometeo si contraddistingue per il clima quasi costante di provocazioni,
attacchi, difese, alleanze.
Prometeo, generale non ancora
compiuto, deve agire, non è ancora in grado di stare fermo ad attendere il
momento propizio per muoversi. Egli agisce creando gli uomini, «ingannando»
Zeus, rubando il fuoco ecc. quasi
compulsivamente.
Prometeo non sopporta
l’ingiustizia ed è pronto a pagare qualsiasi prezzo, battendosi contro di essa.
E qui torna il costante sbilanciamento verso l’esterno. Egli usa la sua
capacità di previsione per aiutare gli altri, mentre non la utilizza per sé:
quel dare-dare-dare tipico del legno
sbilanciato, che arriva a consumare la propria acqua, quasi senza accorgersene, come lo rimprovera Corifea; un
grosso rischio per Prometeo «adolescente» è infatti quello di non saper
tutelare o mantenere adeguatamente il suo mezzo
interno favorevole anche attraverso il suo laboratorio biochimico, nel
quale mobilizza, trasforma e immagazzina le energie (come indicato dalla
funzione biochimica epatica su proteine e glucosio).
Anche quando Prometeo sembra
ingannare Zeus, in realtà, forse, sottolinea semplicemente la differenza
esistente tra il mondo più «materiale» della Terra e quello più «spirituale» del Cielo. Egli dirà infatti a Zeus
di scegliere con il Cuore ed il dio non sbaglierà, in quanto sceglierà grasso
bianco e ossa, tessuti che sappiamo essere entrambi fondamentali sia se guardati
da occidente che da oriente. E anche in questo caso la similitudine con la
tradizione cinese è veramente impressionante; scrivono infatti Y. Mollard e M.
Maiola: «E’ interessante, comunque, avvicinare gli ideogrammi che designano
l’osso, il grasso ed il midollo ... questo ci permette di notare come grasso e
midollo comprendano, al loro interno, la rappresentazione dell’ideogramma che
designa l’osso» (Y. Mollard, M. Maiola, 1996, p.106). Prometeo anche in questo
caso sembra quindi non rinunciare a combattere un’iniquità; egli inganna Zeus
solo esteriormente, ma in realtà forse la sua capacità di visione lo porta a
muoversi con profonda e lungimirante onestà: farà scegliere “con il cuore” al
dio le parti più ricche ed importanti dell’animale
Allo stesso modo Zeus in realtà,
incatenando Prometeo, non lo punisce, ma gli offre un’occasione evolutiva
importante; il nostro psichismo occidentale fa fatica a liberarsi delle nozioni
di giudizio e di punizione, legate alla penitenza. Lo psichico diviene
moralmente schiavo del giuridico. La visione spirituale scopre la finalità
liberatrice del potenziale energetico mobilizzato. Prometeo, attaccato ad una
roccia alla sommità del Caucaso, affronta in realtà le prove con cui ogni
essere, a questo punto del viaggio, deve misurarsi. Siamo di fronte ad una
legge fondamentale dell'evoluzione che comporta necessariamente una fase
d'involuzione preliminare che sarebbe falso definire punitiva, per quanto
difficile possa presentarsi per il vissuto umano.
Si trova un’ultima osservazione a
proposito della giustizia di questo
mito, nel già citato diluvio: Zeus scelse Deucalione (figlio di Prometeo) e
Pirra (moglie di Deucalione e figlia di Epimeteo) come i due giusti che dovevano salvarsi dal diluvio
aiutati dai consigli preveggenti del padre di lui.
Un’emozione tanto utile quanto
controproducente, se mal gestita, per il generale, e ancor più per il giudice,
è certamente la collera, sia espressa sia inespressa.
L’influenza delle impressioni
emotive sul fegato è una nozione acquisita per esperienza da tutti i popoli
dell’antichità, tanto che sono numerosissime le espressioni atte a definirla.
Già negli scritti cuneiformi dell’antica Babilonia una forma di preghiera per
evitare la collera, recitava: «Possa il tuo fegato ammorbidirsi». Ancora oggi
chi ha tendenza alla collera, al cattivo umore, a manifestare eccessive
preoccupazioni circa la propria salute, viene apostrofato come «fegatoso» o
talvolta ipocondriaco, (parola che letteralmente significa sottocostale).
Similmente si dice di chi è in collera che gli «trabocca la bile» o che è
«giallo di collera». Il colorito giallo dell’invidioso o del collerico è un
modo di dire derivato dall’esperienza che insegna come sia possibile diventare
gialli per invidia o per un attacco di collera. Itterizia è il termine usato
per descrivere la tinta giallo-verdastra assunta dalla cute e dalle sclere
degli occhi. Uno stato d’animo lieto aumenta moderatamente il flusso della
bile, mentre uno stato di tristezza lo eleva considerevolmente; nella collera il
deflusso si arresta. Se una persona prova un forte ribrezzo, tutto il sistema
biliare (il grosso dotto cistico, che porta la bile all’intestino, la vescica
biliare e, nel fegato stesso, i piccoli dotti biliari) si contrae
spasticamente. La bile viene sospinta indietro, invertendo la direzione del
flusso fino a riversarsi nei vasi sanguigni epatici e poi nella circolazione
generale. L’individuo assume il colorito giallo (una volta superata una certa
quantità di bile nel sangue), poiché la bile ha la tendenza a depositarsi nel
sottocute e nelle sclere oculari. Tutte le condizioni, oltre alle emozioni che
su base spastica o meccanica ostacolino il normale fluire della bile
nell’intestino, possono portare all’itterizia. (Kahn F., 1940).
Ancora, nel capitolo
ottavo del Lingshu, troviamo
corrispondenze inaspettate tra l’antica Medicina Tradizionale Cinese e la
nostra tradizione occidentale; la collera, sia quella che scoppia che quella
che resta nascosta, ritirata, corrisponde al fegato. Quando la pressione accumulata
esplode, sangue e soffi sono spinti verso l’alto in massa. Quando è trattenuta,
l’agitazione e l’insoddisfazione generano blocchi non risolvibili, situazioni
senza uscita che ci rodono. «Quando essa (la collera) esprime la normalità, è
l’impetuosità stessa della vita, soprattutto nella potenza degli inizi: la forza del vento che soffia o della pianta che
buca il suolo ancora gelato, la violenza della nascita che espelle l’essere
alla luce del giorno e poi lo fa crescere e svilupparsi o, ancora, lo sforzo
che tende i muscoli. Quando l’impetuosità diviene patologica, rompe i sui
ormeggi, abbandona le sue radici, perde il controllo: è l’impeto d’ira, il
furore scatenato, la rabbia irragionevole.» (Larre C., Rochat de la Vallée,
1994, p. 201).
E Prometeo risulta inizialmente
impetuoso e irruento; Ermete gli dice infatti:
«Sei come un puledro
quando si doma, che mastica il
morso,
si ribella e combatte con le
redini».
(Eschilo, 1991, p.133).
E il fegato con cui si dovrà
confrontare Prometeo è infatti nero, scuro.
E’ interessante vedere in ultimo
come alcuni testi[6] mostrino
Prometeo aiutato proprio da Atena, dea della guerra, della ragione e di diverse
arti nel furto del fuoco al carro del
Sole nonché nel soffiare la vita durante la creazione degli uomini.. Di Atena
si dice che invento’ il flauto, la tromba, il vaso di terracotta, l’aratro, il rastrello, il giogo per i buoi, la briglia
per i cavalli, il cocchio e la nave. Fu la prima a insegnare la scienza dei
numeri e tutte le arti femminili, come il cucinare, il filare e il tessere.
Benché dea della guerra, essa non gode delle sanguinose battaglie, come invece
accade per Ares e Eris, ma preferisce appianare le dispute e far rispettare la
legge con mezzi pacifici. Non porta armi in tempo di pace e, qualora ne abbia
bisogno, le chiede in prestito a Zeus. La sua misericordia è grande. Se nei
processi che si svolgono all’Areopago i voti e i giudici sono pari, essa di
solito aggiunge il proprio per ottenere l’assoluzione dell’accusato. Ma se si
trova impegnata in guerra non perde mai una battaglia, sia pure contro lo
stesso Ares, perché più esperta di lui nell’arte strategica; i capitani accorti
si rivolgono sempre a lei per avere consiglio (Graves, 1999, p. 87).
Il
cruciale rapporto con il tempo da parte del movimento legno.
Per quanto riguarda la coppia di
opposti complementari Spazio-Tempo, il movimento del legno, come Prometeo, si trova maggiormente in difficoltà nel
confronto con il tempo.
Questo movimento si
contraddistingue per la caratteristica di «andare e venire», e infatti l’unica
stasi esistente nel mito di Prometeo è quella imposta dalle catene e dalla
roccia del Caucaso; per il resto del mito siamo di fronte ad un continuo
movimento. Se leggiamo Eschilo, nel Prometeo
incatenato, anche quando il nostro eroe si trova legato alla roccia, si ha
un continuo andirivieni: lo scorrere delle giornate e delle notti si impone
come l’andare e venire dell’aquila, ma anche numerose altre figure incarnano
quel movimento esterno che Prometeo può attuare solo interiormente.
Forse
non a caso è Zeus, figlio di Cronos, a punirlo o, secondo l’interpretazione qui
riportata, a fornirgli questa importante occasione. Nello scorrere ripetitivo
di notti gelide, ma rigeneranti, e di giorni torridi e distruggenti risiede la
prova con cui Prometeo si deve confrontare per uscire da quella condizione in
cui: “Prometeo non può generare che servi del Tempo, esseri legati alla ruota
dei reinizi, tagliati dalle loro radici divine. Creatore di questi "uomini
in caduta" privati del loro fuoco divino.” (A. de Souzenelle, 1999, p.
278)
Legata alla
terra ed all'acqua,
privata del fuoco, di ogni fonte di
luce, questa umanità in esilio (al piano dell’avere) si nutre di frutti che
nessun sole, simbolicamente, fa maturare, che nessun fuoco può cuocere.
Questi uomini hanno fame e
freddo. Prometeo, loro padre, è preso da compassione per essi.
Egli vuole dare subito ai figli
un cielo che non conosca gli inferi, una vita che non passi per la croce.
Prometeo è impaziente. E' fortemente tentato di andarlo a rubare, questo fuoco,
per riscaldare i suoi. (A. de Souzenelle, 1999, pp. 278-279). Queste poche
righe evidenziano forse ancora meglio degli antichi testi cinesi, come il
problema-potenzialità principale del movimento legno nel confronto diretto con il tempo, sia rappresentato dalla
«ruota dei reinizi» da un lato e dall’ansia anticipatoria con il relativo
sfasamento verso il futuro dall’altro.
E sarà ancora dalla metodicità e
dall’abitudinarietà ricorrente della terra
e dalla capacità di tornare indietro, di interiorizzare e aprire e chiudere del
«metallo», che il legno troverà l’equilibrio necessario
per valorizzare la sue specificità senza che divengano limite per sé e per gli
altri.
Solo in seguito a questa gravosa
esperienza, vedremo Prometeo utilizzare nel migliore dei modi la sua capacità
di pre-visione che si può immaginare ancora più potente per la maggior
robustezza delle basi a cui si ancora.
Bibliografia.
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et al. Anatomia Umana Vol. 2, Edi-Ermers,
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Eschilo,
Tutte le tragedie, trad. it., Newton,
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Teogonia, trad. it., BUR, Milano, 1998
Granet M., Il
pensiero cinese, Adelphi, Milano, 1987.
Graves R.,
I miti greci, trad. it., Longanesi,
Milano, 1999
Grimal P.,
Enciclopedia dei miti, trad. it.,
Garzanti, Milano, 1990
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Larre C., Rochat de la Vallée E. (a cura di),
Lingshu, trad. it., Jaca Book, Milano,
1994
Mollard Y., Maiola M.,
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prima della nascita, Jaka Book, Milano, 1996.
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Fisiopatologia
Generale, Piccin, Padova, 1990, Vol. 2.
Rochat de la Vallée E., Larre C. ( a cura di),
Suwen, trad. it., Jaca Book, Milano,
1994
Souzenelle A. de,
Il
simbolismo del corpo umano, trad. it., Servitium editrice, Sotto il Monte
(Bg), 1999
Indrizzo per
chiarimenti
Micaela Montaldo
Presso Sowen
Via Soperga, 36, 20127 Milano
E-mail: [email protected]
[1] A. de
Souzenelle sottolinea in particolare come «Il pancreas secerne il succo
necessario alla digestione, cioè al lavoro della fucina. Fabbrica l'insulina,
agente fondamentale del metabolismo degli zuccheri. Gli zuccheri sembrano
simbolizzare le energie che passano dall'incompiuto nel pancreas al compiuto nel
fegato, la cui funzione glicogenica concretizza la vocazione più sottile.» (A
de Souzenelle, 1999, pp.228-230).
[2] Nella
Teogonia di Esiodo si legge : «’O figlio
di Iapeto, illustre tra tutti i signori, amico mio caro, con quanta ingiustizia
facesti le parti’. Così disse Zeus beffardo che sa eterni consigli, ma a lui
rispose Prometeo dai torti pensieri, ridendo sommesso, e non dimenticava le sue
ingannevoli arti: ‘O Zeus nobilissimo, il più grande
degli Dei sempre esistenti, di queste scegli quella che il cuore nel petto ti
dice’» (Esiodo, 1988, 542-548).
[3] «Le
tradizioni differiscono sul nome della madre. Viene citata Asia, figlia di
Oceano, o Climene, anch’ella un’Oceanina». (Grimal P., 1990, alla voce
Prometeo).
[4] «Chirone è il
più celebre, il più saggio e il più sapiente dei Centauri. E’ figlio del dio
Crono e di Filira, una fliglia di Oceano. Perciò appartiene alla stessa
generazione divina di Zeus e degli Olimpici. Per generarlo Crono si era unito a
Flira sotto forma di un cavallo, ciò che spiega la sua doppia natura. (…) Il
suo insegnamento era basato sulla musica, l’arte della guerra e della caccia,
la morale e la medicina, poiché Chirone era un celebre medico, e praticava
anche la chirurgia (…).» (Grimal, 1990, alla voce Chirone).
[5] Per quanto
concerne i regali di Prometeo all’umanità bisogna ricordare come egli
«conosceva le scienze e le arti per ammaestramento di Atena» (F Colombo, MR
Fiz, 1993, p.104).
[6] «Prometeo si
alleò con Atena e penetrò nella dimora degli dei. Accese una torcia al carro del
Sole ne staccò una brace e la nascose nel gambo di un finocchio. Così ridonò il
fuoco agli uomini» (F Colombo, MR
Fiz, 1993, p.104).