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EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI MALATTIA
E NASCITA DELLA MEDICINA FUNZIONALE
RIASSUNTO:
In questo articolo si considera come l’aumentata capacità
di “vedere” abbia condizionato lo sviluppo della Medicina in Occidente e come
il progresso medico sia approdato al paradigma meccanicistico attraverso
l’esame sempre più dettagliato del corpo umano. Anche la visione
omotossicologica, che si propone come superamento della visione riduzionista
del meccanicismo, alla fine non riesce ad uscire dalla visione meccanicistica
della realtà. Si sottolinea la necessità di ricomporre tutti i dettagli in
unità per riappropiarsi della capacità di curare l’uomo nel suo complesso. In
dettagliate tabelle si forniscono le definizioni di alcune correnti filosofiche
che hanno influenzato la medicina e si riassumono le principali tappe della
storia della medicina in base alla prospettiva scelta dall’autrice.
PAROLE CHIAVE
Storia della Medicina.
Virchow. Medicina Funzionale. Omotossicologia.
ABRSTRACT
In this article the
author reviews how the increased capacity “to see” has influenced the
development of the western medicine. The medical progress has arrived to a mere
mechanistic paradigm through the more and more detailed analysis of the human
body. Homotoxicology is supposed to overcome this mechanistic vision, however it is not able to go out of this
mechanistic paradigm. Today we need to unify all the details of human body in
order to retrieveour ability to treat
the man as a whole.
Detailed tables
present some schools of philosophy
which influenced western medicine and summarize the major cornerstones in the
history of medicine, according to the
author's point of view
KEY-WORDS
History of the Medicine.
Virchow. Functional Medicine. Homotoxicology.
La mente umana è semplicemente troppo incline
ad
abbandonare la via faticosa del ragionamento scientifico
e a
sprofondare nella fantasticheria
Virchow
La Medicina Funzionale non è una branca della medicina, ma
è l’eredità della Medicina del passato che si proietta verso il futuro.
Nei testi di Omotossicologia ancora si legge, quale manifesto della Medicina Funzionale, la
nota frase “Noi proponiamo una visione di biologia dinamica contrapposta al
meccanicismo statico della teoria cellulare di Virchow”. Tuttavia ritengo che
ormai pochi conoscano esattamente il significato di tali parole, e cosa
rappresentino “meccanicismo” o “teoria cellulare di Virchow”. Ritengo anche che
in realtà l’Omotossicologia tenga in grande considerazione tale teoria.
Cercherò in questo lavoro di delineare rapidamente le tappe fondamentali della
storia della Medicina che hanno condotto allo sviluppo del meccanicismo e della
teoria cellulare, al fine di comprendere il contesto in cui tali teorie sono
sorte, e come ormai sia necessario svestirsi di ogni anacronistica diatriba,
avendo la Medicina cosiddetta “ufficiale” fatto notevoli progressi concettuali
dalla teoria di Virchow in poi, approdando attualmente a concezioni non
distanti da quelle proposte (a quel tempo profeticamente) dalla Medicina
Biologica attualmente nota come Medicina Funzionale.
Il punto di partenza è considerare che la Medicina
Funzionale rappresenta una sorta di bacino di raccolta di varie teorie mediche
esposte nei vari secoli, talvolta integrate nella scienza medica e talaltra
confutate o accantonate (Semizzi, 2000). In essa pertanto confluiscono vecchie
teorie umorali, l’attenzione e lo sviluppo di quelle che nel Secolo dei Lumi
furono felicemente chiamate “iatrofisica” e “iatrochimica” e l’attenzione per
la parte energetica “sottile” della materia. Alle spalle della Medicina
Funzionale e dell’Omeopatia ci sono perciò la tradizione alchemica (Caron et
al, 1962; Holimard, 1959), il vitalismo, la biologia dinamica olistica (Dürken,
1944), il meccanicismo positivista che considera anche i comportamenti morali
come frutto di variazioni omeostatiche acido/alcaline, il razionalismo che
invoca idee unificanti e all’opposto l’empirismo che si affida solo alla
sensazione, all’osservazione e raccolta dei dati (vedi Tabella I), e infine la teoria cellulare di Virchow,
che ha condizionato così profondamente la medicina del XX secolo, ma che ora è
sempre meno considerata fondamentale nella medicina accademica, la quale si sta
spostando sullo studio degli acidi nucleici da un lato e dei mediatori a
distanza (interconnessioni multisistemiche) dall’altro.
Tabella
I: CONTESTO
STORICO E PANORAMA SCIENTIFICO EUROPEO: DEFINIZIONE DELLE VARIE CORRENTI DI
PENSIERO (Enciclopedia Filosofica Garzanti, 1983; Dürken, 1944; Cosmacini,
1997).
- EMPIRISMO: designazione di quelle correnti di pensiero e
indirizzi filosofici che considerano l’esperienza come fonte fondamentale della
conoscenza e da essa fanno derivare i concetti. Presente in correnti di
pensiero dell’antica Grecia (scettici, epicurei) e nel medioevo (Occam), è
stato poi sviluppato come corrente filosofica dagli inglesi Bacon e Hobbes e
poi Locke, Berkeley e Hume. Derivano dall’empirismo il Positivismo e il
Neopositivismo (detto anche Empirismo logico)
- MECCANICISMO: la concezione meccanicistica della vita
ammette che la vita sostanzialmente risulti di una somma di processi
chimicofisici pari a quelli che si osservano nel mondo inorganico. E’ la logica
conseguenza del concetto analitico sommativo dell’organismo: si studiano le
singole parti dell’organismo, le si suddivide fino ad arrivare alle cellule, si
esaminano i meccanismi di funzionamento delle singole parti, si verifica che
ogni parte dell’organismo ha proprietà complesse determinate dalla somma dei
meccanismi dei singoli elementi costitutivi e così si riduce l’organismo a
“meccanismo complesso”. Le funzioni che non si possono spiegare solo attraverso
la fisica meccanica e la chimica sono ritenute non spiegabili per
l’inadeguatezza dei mezzi scientifici. La vita non risulta nel complesso avere
valore superiore alle cose inorganiche, ma solo maggiore complessità, e l’uomo
è considerato come una “mirabile macchina”.
- NEOPOSITIVISMO: detto anche “empirismo logico”, è un
indirizzo della filosofia (sorto nel 1930 col Circolo di Vienna) in cui si
considerano importanti l’empirismo radicale (regola fondamentale è il principio di verificazione secondo cui
gli enunciati che non corrispondono ad una realtà sperimentabile sono privi di
significato) e una logica formale (assunta nella sua forma logistica per cui si
esalta l’analisi logica del linguaggio scientifico). Durante il nazismo i
maggiori esponenti di questa corrente si trasferirono in America, dove il
neopositivismo assunse in sé elementi del Pragmatismo.
-
OLISMO: corrente di biologia organicista, sviluppatasi
all’inizio di questo secolo come contrapposizione al meccanicismo e in parte al
darwinismo, secondo la quale fondamentale è “il tutto rispetto alle parti” per
cui non è corretto pensare che l’organismo è formato da parti e da organi sviluppatisi
per conto loro e poi organizzatisi in un organismo intracomunicante, bensì
prima nasce il “tutto” e cioè l’organismo, che guida e forma i propri organi
secondo le sue esigenze. “Il tutto unitario dell’organismo non è il risultato
della somma e della coordinazione delle parti, ma è invece la premessa di
queste”. L’uovo fecondato contiene già l’organismo “totale” e si divide
secondariamente in cellule, organi e apparati, ma nonostante questa
suddivisione secondaria resta “un tutto unitario”. I metodi analitici
descrivono qualcosa, ma appaiono completamente insufficienti a rendere
l’unitarietà primitiva. Si tratta di una prospettiva generale di carattere
intuizionistico o anche mistica. Attualmente con “Olismo” si intende un
“approccio globale” alla persona, che tenga contemporaneamente conto dei vari
livelli di espressione della vita (somatico, funzionale, psichico e spirituale)
- POSITIVISMO: movimento filosofico europeo della seconda
metà del XIX secolo formulato da Auguste Comte e contrapposto all’idealismo
romantico. Propone un concetto di filosofia come sintesi delle scienze e un
metodo investigativo fondato sui fatti scientifici. Trasporta la teoria
dell’Evoluzione anche in campo morale, applicando anche alle scienze morali i
principi e i metodi delle scienze naturali. In politica portò al materialismo,
all’anticlericalismo e al progressismo.
- RAZIONALISMO: corrente filosofica che si contrappone
all’empirismo e al positivismo e che fa derivare la conoscenza non tanto
dall’esperienza (giudicata insufficiente e ingannatrice), bensì da principi che
ci sono noti a priori, cioè
connaturati alla nostra ragione. Il Razionalismo moderno è la corrente di
pensiero dominante in campo scientifico, che si rifà a Cartesio (metodo
cartesiano), e ad altri: la Ragione, analizzando le sue idee, ha il potere di
conoscere la realtà nella sua essenza: pertanto la realtà può essere compresa
dai nostri schemi logici. Si contrappone a scetticismo e irrazionalismo.
-
VITALISMO: fondato da Driesch (che proveniva da formazione
meccanicistica) nel 1891. Egli, studiando la meccanica dello sviluppo
embrionale del riccio, approdò al vitalismo, accorgendosi che il meccanicismo
era insufficiente a spiegare i fenomeni vitali: la vita non rappresenta la
somma dei fenomeni chimici e fisici da cui pure è caratterizzata, bensì è
qualcosa di particolare e diverso dai fenomeni del mondo inorganico. Invocò
come “principio unificatore” e partecipante alla costituzione e
caratterizzazione dell’organismo, l’”entelechia” (che “comprende in certo qual
senso le proporzioni normali della futura formula in se stessa” – sono parole
di Driesch – “e rappresenta tutto quanto c’è di autonomo e di irriducibile,
tutto quello che esiste in ordine di fatto della morfogenesi”). La entelechia
si sottrae ai metodi di studio naturalistici perché i processi vitali possono
essere esaminati solo in superficie, sfuggendo sempre nella loro essenza. La
teoria nel complesso “pecca” di poco rigore scientifico, per cui fu poco
seguita. Attualmente col termine “Vitalismo” si intendono le “Filosofie della
vita” ossia quelle dottrine che contro il freddo razionalismo esaltano le forze
istintive e gli aspetti irrazionali della vita.
EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI MALATTIA NEL
TEMPO
I progressi della Medicina nel tempo sono stati influenzati
(in senso positivo e no) dal contesto culturale e filosofico delle varie
epoche. Il XX secolo è stato il primo secolo in cui si è assistito
all’affrancamento della Scienza medica da qualsiasi esplicito riferimento
filosofico e religioso. Fino all’inizio del XX secolo la Medicina era intrisa
di aspetti filosofici e religiosi sull’origine della vita e dell’universo,
sull’espressione dell’anima e sulle nature costituenti l’essere umano
(Cosmacini, 1997; Sournia, 1994).
Tali quesiti hanno per secoli condizionato la concezione
della vita e della malattia (si pensi alla lebbra) e hanno limitato e
condizionato anche lo sviluppo del metodo scientifico. A titolo d’esempio,
possiamo dire che la concezione giudaico-cristiana che ha influenzato la medicina
occidentale e quella islamica che ha fatto da substrato alla medicina
arabo-persiana erano accomunate dal concepire il corpo come un tempio sacro che
non poteva in alcun modo essere profanato da mano d’uomo, per cui era proibito
aprire i corpi sia in vita che post-mortem (per questa ragione dalla fine
dell’epoca alessandrina – in cui era praticata sia la vivisezione che l’analisi
autoptica - fino al XIV secolo il corpo umano era solo immaginato sulla base di
quello animale – Cosmacini, 1997; Darmon, 1986). Dal XIV secolo in poi invece
fu accettata l’autopsia, e la filosofia e la religione hanno convissuto con lo
sviluppo dello studio materiale del corpo attraverso il paradigma morfologico
dettato dallo studio anatomopatologico su cadavere e dall’avvento del
microscopio che permetteva il nascere dell’istologia e la scoperta della
cellula.
E’ estremamente difficile isolare dalla complessa e ricca
storia della medicina solo gli elementi che si desiderano, dato che ogni
progresso è il frutto di feconde interazioni tra vari studiosi o tra branche
diverse del sapere o il risultato dell’influenza sulla medicina dell’ambiente storico, politico, filosofico,
religioso e culturale delle varie epoche. Anche l’avvento delle epidemie e
davvero tante altre variabili hanno condizionato lo sviluppo della medicina.
Ciò che vorrei sottolineare con il seguente rapidissimo excursus (parziale e
riduttivo, grossolano e impreciso per scelta e per esiguità di spazio), è che
la visione della malattia è stata modificata nel tempo dalla capacità
progressiva di vedere sempre più “dentro” all’uomo. E’ la morfologia che ha
dettato legge. E la morfologia, lo scoprire sempre maggiore complessità, ha
determinato, in un certo senso inevitabilmente, l’affermarsi della visione
meccanicista. E d’altra parte, altrettanto inevitabilmente, ha creato quella
tragica dicotomia tra soma e psiche che ora fatichiamo tanto a ricomporre:
aprendo i corpi la mente non si vede.
Volutamente tralascerò le componenti filosofiche e delle
scienze naturali che pure hanno tanto condizionato lo sviluppo del concetto di
persona umana e di salute e malattia (gli studi di medicina prevedevano
obbligatoriamente studi classici di greco e latino, filosofia, teologia e
morale, fisica e scienze naturali): mi limiterò a considerare la variabile
dell’aumentata capacità di “vedere”. Non è l’unica, ma mi pare sia stata tra le
più importanti. Procederò ora in modo meno rigoroso e più “suggestivo”: rimando
alla bibliografia e alla Tabella
II per i
dettagli storici (Cosmacini, 1997, Sournia, 1994; Koelbink, 1989; Di Benedetto,
1983).
·
Già i Greci avevano scoperto le “vene bianche” cioè i vasi
linfatici, poi però questa nozione era stata dimenticata.
·
1622: il pavese Gaspare Aselli descrive le “venae albae et lacteae”.
·
1628: Harvey pubblica Exercitatio
anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus in cui presenta la
rivoluzionaria scoperta della circolazione del sangue. La teoria sarà
contrastata prima di essere accolta.
·
1630: Cartesio, nell’opera biomeccanicista L’Homme espone una teoria interessante
sulla linfa. La linfa bianca (considerata al posto della bile nera galenica),
sarebbe un umore diffuso circolante e
ubiquitario, che coagulandosi in questa o quella sede darebbe luogo a tumori circoscritti in un organo o in un
altro (teoria del tumore linfogenetico). Il tumore localizzato sarebbe pertanto
un “guasto generale” che poi diventa localizzato (e non viceversa). Curare
perciò i tumori con impiastri e altre terapie locali è scorretto in quanto
significa curare il disturbo secondario e sono palliative, mentre è corretto
curare l’affezione locale con cure generali che depurino la linfa (salassi,
purghe, clisteri).
·
Pecquet (1622-1674) scopre la circolazione della linfa
dall’intestino alla vena sottoclaveare sinistra attraverso la cisterna
chilifera (che successivamente prenderà il suo nome) e il dotto toracico. Tale
scoperta è contraria alle dottrine di Galeno, per cui la scuola parigina non
accetta la scoperta.
·
Scuola Olandese del XVII secolo: “Unico libro il malato,
unico codice il cadavere” (paradigma anatomopatologico). In questa scuola però Silvio
ritiene che la morfologia su cadavere sia valida ma insufficiente per
comprendere la complessità e la dinamica dei processi morbosi in vivo. Infatti per Silvio la malattia
è la rottura dell’equilibrio vitale tra alcali e acidi (alterazione sistemica):
la condizione cadaverica non consente di rilevare tali squilibri, anzi li
altera e li accentua. Durante l’imperare del paradigma anatomo-clinico, questa
è una delle poche intuizioni che la vita non è deducibile dalla morte e che le
omeostasi chimiche avvengono in modo diverso in vita e post-mortem.
·
1665 l’inglese Hooke per primo usa la parola “cellula”
osservando al microscopio le cellette del sughero
·
1683. l’ottico Leeuwenhoeck (non medico, studiò gli
spermatozoi e propose la teoria animaculista) scopre i microbi
·
1707: il chimico Stahl propone la teoria dell’animismo: la
vita è dovuta ad un’anima sensibile che presiede a tutti gli scambi del corpo e
ne permette la vita; pertanto la visione organicista e meccanicista è imprecisa
e parziale.
·
Needham (1713-1781), in base ai suoi esperimenti, dichiara
che infusi di carne putrefatta non contaminata da insetti e portata ad alte
temperature sviluppano spontaneamente microrganismi, rilanciando così l’ipotesi
della “generazione spontanea”
·
L’abate Spallanzani (1729-1791), professore di storia
naturale all’Università di Pavia, lo confuta dimostrando la presenza di germi
invisibili al microscopio (detti “infusori”) che esistono nelle sostanze
organiche anche apparentemente non inquinate.
·
1759 Boissier de Sauvages pubblica il testo Pathologica Methodica in cui classifica
le malattie in dieci grandi gruppi: il metodo classificativo inaugurato da
Linneo (con cui Boissier de Sauvage è in contatto) per il mondo vegetale viene
trasportato anche in medicina
·
1761 Morgagni pubblica De
sedibus et causis morborum per anatomen indagatis che rappresenta il primo
testo di anatomia patologica: le malattie sono messe in correlazione con
alterazioni degli organi.
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1767: a Parigi Bordeau pubblica Recherches sur le tissu muqueux ou l’organ cellulaire sulla
fisiologia dello stomaco e delle sue ghiandole secretive, dove sostiene che è
riduttivo considerare il tessuto connettivo solo come un “riempitivo” degli
spazi intercellulari con funzioni di sostegno, avendo in realtà importanti
funzioni di supporto ma anche di nutrizione e di rigenerazione, oltre a fungere
da collegamento interattivo con funzioni vascolari e nervose. Ogni organo
coinvolgerebbe nelle sue attività peculiari anche il suo tessuto connettivo,
che sarebbe tessuto “attivo”: ogni organo avrebbe una vita propria caratteristica della materia vivente in quanto tale e
non dell’organismo nel suo complesso (è l’inizio di quello che poi diventerà il
“vitalismo”, riesumazione della teoria antica del Pneuma).
·
1778 Cullen, (che aveva classificato le malattie secondo le
separazioni di liquidi, solidi, pletora, eccetera) pubblica First Lines of the Practice of Physic,
in cui propone che le malattie dipendano da alterzioni nervose (teoria dello
spasmo), secondo quanto già proposto da Hoffmann (predominanza del sistema
nervoso nella fisiopatologia generale).
·
1780: Brown (newtoniano che voleva applicare il metodo
sperimenatle alla medicina) pubblica Elementa
medicinae in cui attribuisce le malattie a squilibri nervosi, dividendole
in malattie steniche e asteniche a seconda che la reazione delle terminazioni
nervose sia in eccesso o in difetto. La teoria dell’eccitazione nervosa,
semplice e pratica, ha grande successo.
·
1796: Hanehmann pubblica uno scritto che sancisce la
nascita dell’omeopatia
·
1801 : Bichat pubblica a Parigi Anatomie générale appliquée à la physiologie et à la medicine, in
cui conia il termine di tessuti (membranes) per identificare elementi
costitutivi dell’organismo, ubiquitari ma studiabili con l’anatomia, ai quali
fa risalire l’origine delle malattie. Afferma anche che la malattia è lo
“spazio della morte all’interno della vita”
·
1802:
Sertürner isola la morfina dall’oppio e si iniziano ad estrarre dalle piante i
loro componenti chimici e ad analizzarli
·
1821:
Magendie pubblica un formulario terapeutico contenente solo agenti chimici
puri estratti da piante, e questa tappa segna il passaggio dalla fitoterapia
empirica alla moderna farmacologia sintetica.
·
1845: in Germania Reichert, nel suo Vergleichende Beobacthungen über das Bindegewebe und die verwandten
Gebilde considera il tessuto connettivo come un fondamentale mezzo legante
dal punto di vista meccanico, ma anche come qualcosa di vitale dal punto di
vista organico, e stabilisce che i nervi e i vasi entrano in contatto con le
cellule attive solo attraverso il tessuto connettivo, il quale è il fattore di
mediazione e la sede dei flussi nutrizionali e nervosi. Pertanto secondo
Reichert solo il tessuto connettivo entra in contatto diretto con tutte le
parti del corpo, però non sa spiegare la natura della mediazione che il tessuto
connettivo eserciterebbe tra sangue, umori nervosi e cellule
tessutali-bersaglio.
·
1858: in Germania Virchow, nel suo Cellularpatologie, individua l’origine delle malattie come una
alterazione morfologica o funzionale a livello cellulare. Nega che
l’individualità di una malattia sia identificabile nell’alterazione degli umori
del corpo o in alterazioni della comunicazione del tessuto nervoso. Egli fonda
l’istologia come elemento diagnostico. Con la teoria cellulare proposta da
Virchow e l’affermarsi del meccanicismo la visione umorale, ritenuta valida per
millecinquecento anni, venne definitivamente abbandonata.
·
Bechamp (1816-1908) osserva in tutte le cellule animali e
vegetali minuscoli corpuscoli che sopravvivono dopo la morte del soggetto e
danno vita ad altri corpuscoli uguali. Poiché tali corpuscoli sembrano
ubiquitari (presenti in tutti gli organismi umani, animali e vegetali) e
immortali (sopravviventi dopo la morte dell’organismo-ospite) sono ritenuti
l’anello di congiunzione tra materia inorganica non vivente e materia organica vivente. Secondo Bechamp
in particolari condizioni microambientali tali corpuscoli possono originare
batteri in grado di innescare processi putrefattivi o fermentativi e quindi
originare le malattie interne: la teoria si chiama Pleiomorfismo.
·
Negli stessi anni la teoria del pleiomorfismo viene
contestata da Pasteur (1822-1895) il quale sostiene che anche le malattie
interne originano da batteri esterni, i quali non derivano da altre forme, ma sono
sempre uguali a se stessi: è la teoria del Monoformismo, secondo la quale ogni
battere è morfologicamente definito ed origina sempre l’identica malattia
qualora penetri in un organismo. Tale teoria è stata confermata vera e ha fatto
cadere quella pleiomorfista
·
1880-84: grazie al microscopio vengono scoperti da vari
scienziati il palsmodio della malaria, la salmonella Typhi, lo pneumococco, il
mycobacterium leprae, il bacillo responsabile della tubercolosi, il vibrione
responsabile del colera. Inizia il paradigma microbiologico che
induce ad individuare nei microrganismi la causa delle malattie di cui
l’anatomia patologica descrive gli effetti. Si afferma “il microbo è tutto”,
Cohnheim afferma “tutto dipende dalla proprietà dei virus e dai suoi effetti. Sarà
tubercoloso colui nel cui corpo il bacillo della tubercolosi troverà sede “.
·
Besnier (1831-1909) inizia la pratica della biopsia su
vivente per la diagnosi istologica delle malattie. Nasce il paradigma istologico
cellulare.
·
1905: il fisiologo inglese Starling presenta le sue
“Correlazioni chimiche delle funzioni corporee” e propone il termine di ormoni
(dal greco “stimolare”) per le sostanze secrete dalle ghiandole con azioni di
stimolazione importanti a livello sistemico. La teoria ormonale si contrappone
in un certo senso a quella cellulare.
·
Si afferma il paradigma biochimico che porta a identificare
le malattie come alterazioni di processi chimici all’interno del corpo.
·
1925: Enderlein pubblica Ciclogenia, in cui ripropone, in nuova veste, la teoria pleiomorfista
di Bechamp. Non ha seguito
·
1945: Pischinger e i suoi collaboratori intuiscono che
“Essenzialmente il concetto di cellula è un’astrazione morfologica. Considerato
dal punto di vista biologico, non può essere accettato senza l’ambiente vitale
della cellula”. Riprendono la teoria umorale intuendo che i filtrati organici
fisiologici devono contribuire al mantenimento delle condizioni di stabilità
del mezzo interno, condizioni che si attuano attraverso un complesso sistema
che denominano “Sistema di regolazione fondamentale”. Nasce così quella
“prospettiva” che attualmente è nota come Medicina Funzionale, che dà
particolare importanza alle situazioni di accumulo di tossine o scorie
metaboliche in determinati tessuti o distretti (con conseguente alterazione del
pH locale) come fonte di disturbi e di malattie.
·
1952: Reckeweg, omeopata tedesco, pubblica “Effetto di vicariazione, omotossine e fasi
delle malattie nei tre foglietti blastodermici” in cui riassume le
convinzioni maturate in trent’anni di lavoro e propone correlazioni tra
evoluzione delle malattie e derivazione tissutale dai foglietti embrionari
·
1953: Watson e Crick descrivono la struttura del DNA:
inizia l’era genica, che porta alla biologia molecolare e all’ingegneria
genetica. Le malattie sono viste come alterazioni di funzioni degli acidi
nucleici
·
1970: Singer propone un nuovo modello descrittivo della
membrana citoplasmatica cellulare (doppio strato fosfolipidico con immerse le
proteine transmembrana: sostanzialmente il modello è ancora riconosciuto
valido). La membrana appare porosa e duttile. E’ l’inizio degli studi
recettoriali di membrana
·
1989: Tsong dimostra per la prima volta che opportuni
stimoli elettromagnetici possono attivare le pompe ioniche transmembrana. Le
cellule pertanto non rispondono solo a stimoli chimici, ma anche fisici.
·
1998-2000:
vengono pubblicati alcuni studi su riviste ufficiali che sostengono che alcuni
microrganismi contengono antigeni in grado di innescare reazioni
autoimmunitarie nell’ospite, se l’ospite ha caretteristiche genetiche
favorevoli a ciò (Per es.: Harrington, 1998; Wollenhaupt, 1998; Ike, 1998;
Lunardi, 1998; Lunardi, 2000): si riaffaccia implicitamente il concetto di
“terreno” e di persistenza di informazioni biologiche sbagliate come innesco di
malattia, concetti empiricamente affermati da alcuni decenni dai cultori della
medicina biologica funzionale, retaggio del XIX secolo.
Si dice comunemente che le progressive conoscenze
scientifiche ci portano a modificare la “visione della malattia” ed è vero.
Alla base di una visione sta la capacità di “vedere”. E’ il poter “vedere cose
nuove” che ha aperto nuove prospettive.
Partiamo da Ippocrate. Nasce, con Ippocrate, la metodologia
clinica. Capisaldi di questa medicina sono l’osservazione pignola dei fenomeni,
la raccolta precisa dell’anamnesi, la catalogazione dei sintomi e il confronto
tra vari casi clinici con finale raggruppamento di casi simili e
“repertorizzazione”. Nascono così le descrizioni delle malattie come entità
nosologiche. (Di Benedetto, 1983)
Successivamente incontriamo Galeno (medico del II secolo
d.C.). Egli fondamentalmente è scettico, naturista in quanto invocante una
forza benevola naturale che tende a ripristinare la salute (vis medicatrix naturae), sprezzante
verso tutte le teorie mediche del tempo, anche se ad esse si rifà
(ippocratismo, teoria pneumatica dei soffi). Utilizza l’interpretazione dei sogni
e l’astrologia, ma inizia anche il metodo sperimentale, studiando su cani e
scimmie anatomia e fisiologia (ma le scimmie sono diverse dall’uomo, da cui
deduzioni anatomiche errate). Sistematizza varie intuizioni e rielabora il
Corpus Hippocraticum , dando avvio ad una visione medica che sopravviverà
incontestata per millecinquecento anni, la famosa teoria umorale, conosciuta
come galenica appunto, in cui la salute è vista come armonico equilibrio di
quattro umori principali e la malattia come rottura di tale equilibrio (i
quattro umori, derivati da Ippocrate, sono: bile gialla, bile nera, sangue,
flegma). Tale teoria è organicista: ogni malattia è riconducibile
all’alterazione di un organo, che causa la rottura dell’equilibrio degli umori
(Sournia, 1994)
Quello che si vuole sottolineare è che in questa epoca
della medicina il medico poteva solo osservare il malato dall’esterno,
scrutarne le modificazioni, palparne il corpo, tastarne il polso, esaminarne i
secreti. E dalle modificazioni dell’esterno immaginava cosa poteva succedere
all’interno, dai cambiamenti delle secrezioni immaginava cosa poteva essere in
atto a livello viscerale. Tale impostazione durò per molti secoli, e pur
modificandosi nel tempo, restò sostanzialmente valida anche in ambiente arabo-persiano
(scuole di Avicenna e Averroè) fino al XIV secolo dopo Cristo (Avicenna, 1991),
quando iniziò lo studio autoptico dei corpi. Non erano ignote neppure prima
nozioni di anatomia: già la civiltà sumera aveva nozioni di anatomia, che poi
confluirono in quelle babilonesi ed egizie; e poi nozioni di anatomia giunsero
attraverso gli scritti alessandrini (notevoli furono gli studi alessandrini di
neuroanatomia e anche di neurofisiologia umana. - Cosmacini, 1997; Sournia,
1994). Inoltre si studiava l’anatomia animale (maiale, scimmia, cane) e da essa
si deduceva per somiglianza come doveva essere l’interno degli uomini.
Ma a partire dal XIV secolo d.C. la possibilità di aprire i
corpi dette una prima svolta decisiva.
Proviamo ad immaginare cosa possa aver significato “aprire
un corpo umano”. L’immaginazione che si confronta con la realtà, scopre organi,
alcuni peculiari dell’uomo. Si dissezionano muscoli, tendini, nervi, ossa, si
trovano vasi sanguigni, si scopre come il sangue dopo la morte si rapprende…. Tutto
ciò che a noi oggi sembra scontato e banale, deve essere suonato come
incredibile. Proviamo ad immaginare l’emozione, e il turbinio di
considerazioni, di domande, di dubbi. Pensiamo a cosa abbia rappresentato la
teoria della circolazione di Harvey: le sue osservazioni e deduzioni, di una
logica rigorosa e stringente, mettono in crisi le concezioni correnti che le arterie portino l’aria
(soffi), che il bacino di raccolta e diffusione del sangue sia il fegato, che
le vene siano a fondo aperto, percorse dal sangue in andata e ritorno dal
cuore: Harvey illumina sul fatto che le vene portano il sangue solo verso il
cuore, che il cuore e non il fegato è il bacino di raccolta e diffusione del
sangue, che il cuore sinistro spinge il sangue nelle arterie, le quali non
contengono aria, ma sangue, e il sangue ha una sola direzione nelle arterie e
nelle vene. E’ talmente sconvolgente che ben si capiscono i contrasti cui la
teoria è andata incontro prima si essere accettata (Sournia, 1994).
Poi si confrontano gli interni dei vari corpi. Si
cominciano a scoprire cose sorprendenti: per esempio tutti quelli morti di una
data morte hanno lo stesso organo alterato in modo simile tra loro e diverso da
quello di soggetti morti per altre cause. Si ha l’esigenza di verificare se è
vero, se può mai essere possibile che ciascuna malattia alteri in modo
caratteristico un dato organo rispetto ad altri. Allora nasce l’esigenza di
avere a disposizione tanti cadaveri di morti per malattia simile. Questa è la
nascita delle cliniche come noi le intendiamo, luoghi dove vengono ricoverati
pazienti per poterli studiare in vivo e confrontare poi la storia clinica con i
riscontri autoptici dopo l’inevitabile morte. Nascono le scuole moderne di
medicina, le cliniche, la repertorizzazione di sintomi. Vengono riconcepiti nel
loro ruolo gli ospedali: non più lazzaretti assistenziali (gestiti per lo più
da ordini religiosi), bensì luoghi gestiti dalle Accademie e Università dove
raccogliere pazienti selezionati a
seconda delle patologie studiate dalle varie scuole. A tale scopo
nascono anche le cartelle cliniche come noi le concepiamo, redatte
meticolosamente e aggiornate quotidianamente annotando tutte le più piccole
variazioni cliniche oggettive e le caratteristiche dei sintomi, perché nulla sfugga
e si riesca poi ad assegnare ad ogni alterazione anatomica riscontrata durante
l’autopsia un quadro clinico plausibile (tale metodo non è più stato
abbandonato e ha permesso l’identificazione di quasi tutte le lesioni di
partenza delle varie sindromi cliniche note) (Cosmacini, 1997).
Perciò abbiamo un procedimento simile a quello ippocratico
(osservazione, repertorizzazione dei sintomi), ma cambia l’osservazione:
Ippocrate osservava i malati, i vivi, e correlava i sintomi con quadri clinici;
la scuola medica rinascimentale invece correlava i sintomi con alterazioni
morfologiche interne.
Questo cambiamento di visuale ha poi condotto
inevitabilmente al meccanicismo: si pensa che il malato abbia un sintomo perché
ha una alterazione ad uno o più organi. Si comincia così a ritenere che ad ogni
sintomo debba corrispondere una alterazione morfologica e da questa si risale
alla funzione corretta dei vari organi: se l’alterazione di questo dato organo
causa questi sintomi, significa che quest’organo presiede le funzioni che
alterandosi provocano questi sintomi. Si va verso la visione meccanicistica.
Altro impulso nella direzione morfologica viene dal
diffondersi nella scuola olandese dell’uso delle lenti prima e poi del
microscopio. Siamo alla fine del XVII/inizi del XVIII secolo. (Cosmacini, 1997,
Sournia, 1994).
La concezione della malattia si sposta dagli umori agli
organi (Morgagni) e ai tessuti (Bichat).
In particolare Morgagni fonda l’anatomia patologica.
Docente a Padova, anatomista, concentra l’attenzione non tanto sulla morfologia
normale degli organi, ma sulle loro peculiari modificazioni in corso di
malattia. Arriva anzi a sostenere che la modificazione della costituzione e
morfologia degli organi determina le varie malattie.
Il francese Bichat, morto giovanissimo di tisi, studiando
appunto la tisi propone una concezione ardita della malattia, sostenendo che la
“vita è è l’insieme delle funzioni che resistono alla morte, perciò la malattia
è la morte resa possibile nella vita” (Recherches
physiologique sur la vie et la mort, Parigi, 1800). Bichat individua la
malattia nell’alterazione dei tessuti (“membranes”) dai quali è costituito
l’organismo: i tessuti sono ubiquitari (come gli umori), ma sono identificabili
e studiabili attraverso l’anatomia patologica e la fisiologia (Anatomie générale appliquée à la physiologie
et à la medicine, Parigi, 1801). L’occhio appassionato di Bichat gli
permetteva di riconoscere i vari tessuti senza neppure l’ausilio di lenti
(Sournia, 1994).
Nella seconda metà dell’800 si ha un’ulteriore svolta
grazie al microscopio: viene individuata la cellula. Ogni tessuto è costituito
da cellule peculiari. Proviamo ad immaginare ancora cosa abbia significato
scoprire che i tessuti sono costituiti da microscopiche e complesse unità
semplici, a loro volta costituite da organuli subcellulari. Impossibile non
pensare che fosse l’alterazione di queste unità la causa ultima delle malattie.
Se sono alterate le cellule nelle loro funzioni, sarà alterato anche il tessuto
che formano le cellule insieme, l’organo che si costituisce, l’organismo che
ospita quell’organo.
Il poter “vedere” cose nuove, condiziona inevitabilmente la
visione che si ha della malattia.
Ma si ha un’ulteriore svolta verso gli anni ’80 del XIX
secolo: vengono individuati i microrganismi e si passa dal paradigma
anatomopatologico a quello microbiologico (tuttora imperante). Infatti se i
microbi erano stati individuati in Olanda già nel XVII secolo e nel XVIII si
era assisitito a dispute sull’origine del brulicare di microrganismi da carni
putrefatte (da queste dispute sarebbe nata la teoria pleiomorfista di Bechamp
che avrebbe condotto alla concezione della visione ciclogenetica di Enderlein),
non si era riusciti a comprendere la natura e il ruolo dei microrganismi fino
al XIX secolo, quando vennero correlati con sicurezza germi e precisi quadri
clinici da essi provocati.
Un ulteriore passo in avanti si deve allo sviluppo della
chimica e alla nascita della biochimica che individua le reazioni chimiche
intracellulari (cicli metabolici e respiratori) che avvengono a livello
mitocondriale e intracitoplasmatico, il ruolo e la costituzione degli ormoni e
dei mediatori: nasce il paradigma biochimico che, oltre a guidare la ricerca
speculativa verso la comprensione dei meccanismi patogenetici delle malattie,
ha dato rapido e notevole impulso alla ricerca farmacologica e ha condotto alla
messa a punto della maggior parte dei farmaci oggi a disposizione.
Infine la scoperta del DNA e la sua decodificazione hanno
condotto alla conoscenza dei meccansimi genici di malattia.
Pertanto l’angolo di visuale si è ristretto come uno zoom che ha permesso di guardare nel
tempo dentro al corpo, dentro agli organi, dentro ai tessuti, dentro alla
cellula, dentro agli organuli subcellulari, dentro al nucleo e infine dentro
agli acidi nucleici.
Adesso sta nascendo l’esigenza di ricomporre in unità i
frammenti, cercando di ricollegare tutte le evidenze accumulate nell’arco dei
secoli e di superare nel contempo la dicotomia psiche/soma che il paradigma
visivo ha creato.
Riepilogando i paradigmi imperanti in medicina nel tempo,
potremmo riassumerli schematicamente così (Tabella III)
Tabella
III: PARADIGMI SCIENTIFICI NEL TEMPO
·
umorale (fino al XIV secolo)
·
anatomopatologico (dal XIV al XVII sec.)
·
organico (XVIII secolo)
·
tissutale (XVIII secolo)
·
cellulare (1858)
·
istologico (XIX sec.)
·
microbiologico (1880-84)
·
biochimico (1905)
·
genico (1953)
·
fusione di tutti i precedenti (XXI secolo)
VIRCHOW
Data l’importanza attribuita alla teoria cellulare di
Virchow, ritengo utile soffermarmi più approfonditamente su questo scienziato e
sulla sua teoria (Sournia, 1994, Cosmacini, 1997).
Virchow è un medico eclettico: si occupa di anatomia, di
antropologia, di politica, di igiene preventiva (partecipando ai lavori per la
rete fognaria di Berlino), dell’educazione delle donne, va a combattere
epidemie in Siberia. E’ un materialista, concreto e razionale, e cerca di
lavorare con metodo rigoroso, opponendosi ai sostenitori dei “sistemi”. Viene
contestato dai suoi contemporanei (Claude Bernard, per esempio), ma ha anche
molti sostenitori e forma gran numero di allievi, fondando l’anatomia
microscopica e dando l’impronta alla famosa Scuola anatomica tedesca. Egli
sostiene (non del tutto a torto) che non può essere un buon medico chi non
riesca a collocare la malattia in un punto del corpo, per cui fondamentali sono
l’osservazione e lo studio dell’anatomia patologica.
Deve la sua fama alla Teoria cellulare, esposta nel suo Cellularpatologie, pubblicato nel 1858.
Essa, proseguendo sull’intuizione di Bichat che l’origine delle malattie doveva
essere ricercata nelle alterazioni dei tessuti, sostiene che i tessuti sono
formati da peculiari cellule, origine del “guasto” che provoca la malattia. La
cellula è “la forma elementare di vita, l’unità organica”. Ogni cellula ha una
sua peculiare funzione, garantita dalla sua stessa struttura, poiché funzione e
struttura sono intimamente collegate e rendono la cellula specifica.
L’alterazione della struttura oppure della funzione provoca la “patologia cellulare”
che può indurre malattia dell’organismo (Sournia, 1994). Ogni organo ha un suo
proprio tessuto, costituito dalle sue peculiari cellule. Le cellule hanno vita
propria, sono raggiunte dal sangue che porta loro nutrimento e producono scorie
che rigettano. Ogni cellula nasce da un’altra cellula simile: omnis cellula a cellula. Fonda
l’Istologia (studio dei tessuti) e si dedica all’istologia patologica,
individuando e caratterizzando le lesioni cellulari proprie di ogni malattia;
descrive inoltre la metastatizzazione tumorale attraverso la migrazione di
cellule alterate che danno poi origine a cellule a loro simili (perciò
alterate) in altri posti del corpo. Con Virchow si potenzia l’uso dei
microscopi al punto che l’esame autoptico non avrà più valore se non completato
con l’esame istologico delle lesioni al microscopio. Questa linea di condotta
condurrà Besnier a ideare il prelievo di frammenti di tessuto dal vivente (la
“biopsia”) per lo studio delle alterazioni cellulari e la diagnosi delle
malattie attraverso l’istologia.
Lascio ora al lettore il piacere di tradurre in
considerazioni le suggestioni che la storia della medicina offre.
Sottolineo soltanto alcune cose:
1) l’Omotossicologia, che si concentra sulle alterazioni
biochimiche intracellulari e sull’accumulo di scorie o alterazioni del
microcircolo a livello intercellulare, in realtà tiene in grande considerazione
la teoria di Virchow: senza teoria cellulare non sarebbe nata neppure
l’Omotossicologia.
2) L’Omotossicologia, che riconosce in ogni espressione di
malattia una causa “omotossinica” con ripercussioni a livello cellulare ed
istologico, dimostra di non uscire dall’impostazione del Meccanicismo. Infatti,
anche per l’Omotossicologia (e poi per la Medicina Funzionale) alla base della
malattia c’è una alterazione “organica” seppure subclinica: senza
microrganismi, senza “omotossine” e senza alterazioni dei cicli biochimici
intracellulari, non si avrebbe malattia.
3) La teoria del mesenchima di Pischinger, quando nacque,
in realtà si opponeva alla visione di Virchow, che si poneva come visione
statica, non sistemica, oggettiva e parcellare. Tuttavia al giorno d’oggi,
sfumati i toni di diatribe non più attuali, deve essere vista (come mi pare
sia) come una integrazione della teoria cellulare in un contesto biologico più
vasto.
Chi segue il cammino della medicina nel tempo, non può non
cogliere un progressivo e rapido confluire di tutte le teorie del passato in
un’unica visione che considera importante la cellula, il contesto mesenchimale,
il vissuto psichico e le caratteristiche ambientali in cui l’uomo singolo vive.
La Medicina Funzionale può fungere da “serbatoio di esperienza” e da stimolo
per la Medicina tutta.
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Indirizzo per chiarimenti
Dott.ssa Marialucia Semizzi
Verona
E-mail: [email protected]
[1] Articolo tratto dalla Rivista “Aggiornamenti di Medicina
Integrata”. Anno 8. 2° Semestre 2000: 36-43