Castelli (TE) - Chiesa di San Donato. Particolare del soffitto in maiolica.

 

EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI MALATTIA
E NASCITA DELLA MEDICINA FUNZIONALE

Marialucia Semizzi


RIASSUNTO:

In questo articolo si considera come l’aumentata capacità di “vedere” abbia condizionato lo sviluppo della Medicina in Occidente e come il progresso medico sia approdato al paradigma meccanicistico attraverso l’esame sempre più dettagliato del corpo umano. Anche la visione omotossicologica, che si propone come superamento della visione riduzionista del meccanicismo, alla fine non riesce ad uscire dalla visione meccanicistica della realtà. Si sottolinea la necessità di ricomporre tutti i dettagli in unità per riappropiarsi della capacità di curare l’uomo nel suo complesso. In dettagliate tabelle si forniscono le definizioni di alcune correnti filosofiche che hanno influenzato la medicina e si riassumono le principali tappe della storia della medicina in base alla prospettiva scelta dall’autrice.

PAROLE CHIAVE

Storia della Medicina. Virchow. Medicina Funzionale. Omotossicologia.

ABRSTRACT

In this article the author reviews how the increased capacity “to see” has influenced the development of the western medicine. The medical progress has arrived to a mere mechanistic paradigm through the more and more detailed analysis of the human body. Homotoxicology is supposed to overcome this  mechanistic vision, however it is not able to go out of this mechanistic paradigm. Today we need to unify all the details of human body in order to retrieveour ability to treat  the man as a whole.

Detailed tables present some  schools of philosophy which influenced western medicine and summarize the major cornerstones in the history of  medicine, according to the author's point of view

KEY-WORDS

History of the Medicine. Virchow. Functional Medicine. Homotoxicology.


La mente umana è semplicemente troppo incline
ad abbandonare la via faticosa del ragionamento scientifico
e a sprofondare nella fantasticheria

Virchow


La Medicina Funzionale non è una branca della medicina, ma è l’eredità della Medicina del passato che si proietta verso il futuro.

Nei testi di Omotossicologia ancora si legge, quale manifesto della Medicina Funzionale, la nota frase “Noi proponiamo una visione di biologia dinamica contrapposta al meccanicismo statico della teoria cellulare di Virchow”. Tuttavia ritengo che ormai pochi conoscano esattamente il significato di tali parole, e cosa rappresentino “meccanicismo” o “teoria cellulare di Virchow”. Ritengo anche che in realtà l’Omotossicologia tenga in grande considerazione tale teoria. Cercherò in questo lavoro di delineare rapidamente le tappe fondamentali della storia della Medicina che hanno condotto allo sviluppo del meccanicismo e della teoria cellulare, al fine di comprendere il contesto in cui tali teorie sono sorte, e come ormai sia necessario svestirsi di ogni anacronistica diatriba, avendo la Medicina cosiddetta “ufficiale” fatto notevoli progressi concettuali dalla teoria di Virchow in poi, approdando attualmente a concezioni non distanti da quelle proposte (a quel tempo profeticamente) dalla Medicina Biologica attualmente nota come Medicina Funzionale.

 

Il punto di partenza è considerare che la Medicina Funzionale rappresenta una sorta di bacino di raccolta di varie teorie mediche esposte nei vari secoli, talvolta integrate nella scienza medica e talaltra confutate o accantonate (Semizzi, 2000). In essa pertanto confluiscono vecchie teorie umorali, l’attenzione e lo sviluppo di quelle che nel Secolo dei Lumi furono felicemente chiamate “iatrofisica” e “iatrochimica” e l’attenzione per la parte energetica “sottile” della materia. Alle spalle della Medicina Funzionale e dell’Omeopatia ci sono perciò la tradizione alchemica (Caron et al, 1962; Holimard, 1959), il vitalismo, la biologia dinamica olistica (Dürken, 1944), il meccanicismo positivista che considera anche i comportamenti morali come frutto di variazioni omeostatiche acido/alcaline, il razionalismo che invoca idee unificanti e all’opposto l’empirismo che si affida solo alla sensazione, all’osservazione e raccolta dei dati (vedi Tabella I), e infine la teoria cellulare di Virchow, che ha condizionato così profondamente la medicina del XX secolo, ma che ora è sempre meno considerata fondamentale nella medicina accademica, la quale si sta spostando sullo studio degli acidi nucleici da un lato e dei mediatori a distanza (interconnessioni multisistemiche) dall’altro.


Tabella I: CONTESTO STORICO E PANORAMA SCIENTIFICO EUROPEO: DEFINIZIONE DELLE VARIE CORRENTI DI PENSIERO (Enciclopedia Filosofica Garzanti, 1983; Dürken, 1944; Cosmacini, 1997).

- EMPIRISMO: designazione di quelle correnti di pensiero e indirizzi filosofici che considerano l’esperienza come fonte fondamentale della conoscenza e da essa fanno derivare i concetti. Presente in correnti di pensiero dell’antica Grecia (scettici, epicurei) e nel medioevo (Occam), è stato poi sviluppato come corrente filosofica dagli inglesi Bacon e Hobbes e poi Locke, Berkeley e Hume. Derivano dall’empirismo il Positivismo e il Neopositivismo (detto anche Empirismo logico)

- MECCANICISMO: la concezione meccanicistica della vita ammette che la vita sostanzialmente risulti di una somma di processi chimicofisici pari a quelli che si osservano nel mondo inorganico. E’ la logica conseguenza del concetto analitico sommativo dell’organismo: si studiano le singole parti dell’organismo, le si suddivide fino ad arrivare alle cellule, si esaminano i meccanismi di funzionamento delle singole parti, si verifica che ogni parte dell’organismo ha proprietà complesse determinate dalla somma dei meccanismi dei singoli elementi costitutivi e così si riduce l’organismo a “meccanismo complesso”. Le funzioni che non si possono spiegare solo attraverso la fisica meccanica e la chimica sono ritenute non spiegabili per l’inadeguatezza dei mezzi scientifici. La vita non risulta nel complesso avere valore superiore alle cose inorganiche, ma solo maggiore complessità, e l’uomo è considerato come una “mirabile macchina”.

- NEOPOSITIVISMO: detto anche “empirismo logico”, è un indirizzo della filosofia (sorto nel 1930 col Circolo di Vienna) in cui si considerano importanti l’empirismo radicale (regola fondamentale è il principio di verificazione secondo cui gli enunciati che non corrispondono ad una realtà sperimentabile sono privi di significato) e una logica formale (assunta nella sua forma logistica per cui si esalta l’analisi logica del linguaggio scientifico). Durante il nazismo i maggiori esponenti di questa corrente si trasferirono in America, dove il neopositivismo assunse in sé elementi del Pragmatismo.

- OLISMO: corrente di biologia organicista, sviluppatasi all’inizio di questo secolo come contrapposizione al meccanicismo e in parte al darwinismo, secondo la quale fondamentale è “il tutto rispetto alle parti” per cui non è corretto pensare che l’organismo è formato da parti e da organi sviluppatisi per conto loro e poi organizzatisi in un organismo intracomunicante, bensì prima nasce il “tutto” e cioè l’organismo, che guida e forma i propri organi secondo le sue esigenze. “Il tutto unitario dell’organismo non è il risultato della somma e della coordinazione delle parti, ma è invece la premessa di queste”. L’uovo fecondato contiene già l’organismo “totale” e si divide secondariamente in cellule, organi e apparati, ma nonostante questa suddivisione secondaria resta “un tutto unitario”. I metodi analitici descrivono qualcosa, ma appaiono completamente insufficienti a rendere l’unitarietà primitiva. Si tratta di una prospettiva generale di carattere intuizionistico o anche mistica. Attualmente con “Olismo” si intende un “approccio globale” alla persona, che tenga contemporaneamente conto dei vari livelli di espressione della vita (somatico, funzionale, psichico e spirituale)

- POSITIVISMO: movimento filosofico europeo della seconda metà del XIX secolo formulato da Auguste Comte e contrapposto all’idealismo romantico. Propone un concetto di filosofia come sintesi delle scienze e un metodo investigativo fondato sui fatti scientifici. Trasporta la teoria dell’Evoluzione anche in campo morale, applicando anche alle scienze morali i principi e i metodi delle scienze naturali. In politica portò al materialismo, all’anticlericalismo e al progressismo.

- RAZIONALISMO: corrente filosofica che si contrappone all’empirismo e al positivismo e che fa derivare la conoscenza non tanto dall’esperienza (giudicata insufficiente e ingannatrice), bensì da principi che ci sono noti a priori, cioè connaturati alla nostra ragione. Il Razionalismo moderno è la corrente di pensiero dominante in campo scientifico, che si rifà a Cartesio (metodo cartesiano), e ad altri: la Ragione, analizzando le sue idee, ha il potere di conoscere la realtà nella sua essenza: pertanto la realtà può essere compresa dai nostri schemi logici. Si contrappone a scetticismo e irrazionalismo.

- VITALISMO: fondato da Driesch (che proveniva da formazione meccanicistica) nel 1891. Egli, studiando la meccanica dello sviluppo embrionale del riccio, approdò al vitalismo, accorgendosi che il meccanicismo era insufficiente a spiegare i fenomeni vitali: la vita non rappresenta la somma dei fenomeni chimici e fisici da cui pure è caratterizzata, bensì è qualcosa di particolare e diverso dai fenomeni del mondo inorganico. Invocò come “principio unificatore” e partecipante alla costituzione e caratterizzazione dell’organismo, l’”entelechia” (che “comprende in certo qual senso le proporzioni normali della futura formula in se stessa” – sono parole di Driesch – “e rappresenta tutto quanto c’è di autonomo e di irriducibile, tutto quello che esiste in ordine di fatto della morfogenesi”). La entelechia si sottrae ai metodi di studio naturalistici perché i processi vitali possono essere esaminati solo in superficie, sfuggendo sempre nella loro essenza. La teoria nel complesso “pecca” di poco rigore scientifico, per cui fu poco seguita. Attualmente col termine “Vitalismo” si intendono le “Filosofie della vita” ossia quelle dottrine che contro il freddo razionalismo esaltano le forze istintive e gli aspetti irrazionali della vita.

EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI MALATTIA NEL TEMPO

I progressi della Medicina nel tempo sono stati influenzati (in senso positivo e no) dal contesto culturale e filosofico delle varie epoche. Il XX secolo è stato il primo secolo in cui si è assistito all’affrancamento della Scienza medica da qualsiasi esplicito riferimento filosofico e religioso. Fino all’inizio del XX secolo la Medicina era intrisa di aspetti filosofici e religiosi sull’origine della vita e dell’universo, sull’espressione dell’anima e sulle nature costituenti l’essere umano (Cosmacini, 1997; Sournia, 1994).

Tali quesiti hanno per secoli condizionato la concezione della vita e della malattia (si pensi alla lebbra) e hanno limitato e condizionato anche lo sviluppo del metodo scientifico. A titolo d’esempio, possiamo dire che la concezione giudaico-cristiana che ha influenzato la medicina occidentale e quella islamica che ha fatto da substrato alla medicina arabo-persiana erano accomunate dal concepire il corpo come un tempio sacro che non poteva in alcun modo essere profanato da mano d’uomo, per cui era proibito aprire i corpi sia in vita che post-mortem (per questa ragione dalla fine dell’epoca alessandrina – in cui era praticata sia la vivisezione che l’analisi autoptica - fino al XIV secolo il corpo umano era solo immaginato sulla base di quello animale – Cosmacini, 1997; Darmon, 1986). Dal XIV secolo in poi invece fu accettata l’autopsia, e la filosofia e la religione hanno convissuto con lo sviluppo dello studio materiale del corpo attraverso il paradigma morfologico dettato dallo studio anatomopatologico su cadavere e dall’avvento del microscopio che permetteva il nascere dell’istologia e la scoperta della cellula.

E’ estremamente difficile isolare dalla complessa e ricca storia della medicina solo gli elementi che si desiderano, dato che ogni progresso è il frutto di feconde interazioni tra vari studiosi o tra branche diverse del sapere o il risultato dell’influenza sulla medicina  dell’ambiente storico, politico, filosofico, religioso e culturale delle varie epoche. Anche l’avvento delle epidemie e davvero tante altre variabili hanno condizionato lo sviluppo della medicina. Ciò che vorrei sottolineare con il seguente rapidissimo excursus (parziale e riduttivo, grossolano e impreciso per scelta e per esiguità di spazio), è che la visione della malattia è stata modificata nel tempo dalla capacità progressiva di vedere sempre più “dentro” all’uomo. E’ la morfologia che ha dettato legge. E la morfologia, lo scoprire sempre maggiore complessità, ha determinato, in un certo senso inevitabilmente, l’affermarsi della visione meccanicista. E d’altra parte, altrettanto inevitabilmente, ha creato quella tragica dicotomia tra soma e psiche che ora fatichiamo tanto a ricomporre: aprendo i corpi la mente non si vede.

Volutamente tralascerò le componenti filosofiche e delle scienze naturali che pure hanno tanto condizionato lo sviluppo del concetto di persona umana e di salute e malattia (gli studi di medicina prevedevano obbligatoriamente studi classici di greco e latino, filosofia, teologia e morale, fisica e scienze naturali): mi limiterò a considerare la variabile dell’aumentata capacità di “vedere”. Non è l’unica, ma mi pare sia stata tra le più importanti. Procederò ora in modo meno rigoroso e più “suggestivo”: rimando alla bibliografia e alla Tabella II per i dettagli storici (Cosmacini, 1997, Sournia, 1994; Koelbink, 1989; Di Benedetto, 1983).


Tabella II SVILUPPO DELLA MEDICINA VERSO IL CONCETTO DI MESENCHIMA NEL TEMPO (Cosmacini, 1997; Koelbing, 1989;  Pischinger, 1996; Sournia, 1994; Exokos, 1998; Semizzi, 2000)

·         Già i Greci avevano scoperto le “vene bianche” cioè i vasi linfatici, poi però questa nozione era stata dimenticata.

·         1622: il pavese Gaspare Aselli descrive le “venae albae et lacteae”.

·         1628: Harvey pubblica Exercitatio anatomica de motu cordis et sanguinis in animalibus in cui presenta la rivoluzionaria scoperta della circolazione del sangue. La teoria sarà contrastata prima di essere accolta.

·         1630: Cartesio, nell’opera biomeccanicista L’Homme espone una teoria interessante sulla linfa. La linfa bianca (considerata al posto della bile nera galenica), sarebbe un umore diffuso circolante e ubiquitario, che coagulandosi in questa o quella sede darebbe luogo a tumori circoscritti in un organo o in un altro (teoria del tumore linfogenetico). Il tumore localizzato sarebbe pertanto un “guasto generale” che poi diventa localizzato (e non viceversa). Curare perciò i tumori con impiastri e altre terapie locali è scorretto in quanto significa curare il disturbo secondario e sono palliative, mentre è corretto curare l’affezione locale con cure generali che depurino la linfa (salassi, purghe, clisteri).

·         Pecquet (1622-1674) scopre la circolazione della linfa dall’intestino alla vena sottoclaveare sinistra attraverso la cisterna chilifera (che successivamente prenderà il suo nome) e il dotto toracico. Tale scoperta è contraria alle dottrine di Galeno, per cui la scuola parigina non accetta la scoperta.

·         Scuola Olandese del XVII secolo: “Unico libro il malato, unico codice il cadavere” (paradigma anatomopatologico). In questa scuola però Silvio ritiene che la morfologia su cadavere sia valida ma insufficiente per comprendere la complessità e la dinamica dei processi morbosi in vivo. Infatti per Silvio la malattia è la rottura dell’equilibrio vitale tra alcali e acidi (alterazione sistemica): la condizione cadaverica non consente di rilevare tali squilibri, anzi li altera e li accentua. Durante l’imperare del paradigma anatomo-clinico, questa è una delle poche intuizioni che la vita non è deducibile dalla morte e che le omeostasi chimiche avvengono in modo diverso in vita e post-mortem.

·         1665 l’inglese Hooke per primo usa la parola “cellula” osservando al microscopio le cellette del sughero

·         1683. l’ottico Leeuwenhoeck (non medico, studiò gli spermatozoi e propose la teoria animaculista) scopre i microbi

·         1707: il chimico Stahl propone la teoria dell’animismo: la vita è dovuta ad un’anima sensibile che presiede a tutti gli scambi del corpo e ne permette la vita; pertanto la visione organicista e meccanicista è imprecisa e parziale.

·         Needham (1713-1781), in base ai suoi esperimenti, dichiara che infusi di carne putrefatta non contaminata da insetti e portata ad alte temperature sviluppano spontaneamente microrganismi, rilanciando così l’ipotesi della “generazione spontanea”

·         L’abate Spallanzani (1729-1791), professore di storia naturale all’Università di Pavia, lo confuta dimostrando la presenza di germi invisibili al microscopio (detti “infusori”) che esistono nelle sostanze organiche anche apparentemente non inquinate.

·         1759 Boissier de Sauvages pubblica il testo Pathologica Methodica in cui classifica le malattie in dieci grandi gruppi: il metodo classificativo inaugurato da Linneo (con cui Boissier de Sauvage è in contatto) per il mondo vegetale viene trasportato anche in medicina

·         1761 Morgagni pubblica De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis che rappresenta il primo testo di anatomia patologica: le malattie sono messe in correlazione con alterazioni degli organi.

·         1767: a Parigi Bordeau pubblica Recherches sur le tissu muqueux ou l’organ cellulaire sulla fisiologia dello stomaco e delle sue ghiandole secretive, dove sostiene che è riduttivo considerare il tessuto connettivo solo come un “riempitivo” degli spazi intercellulari con funzioni di sostegno, avendo in realtà importanti funzioni di supporto ma anche di nutrizione e di rigenerazione, oltre a fungere da collegamento interattivo con funzioni vascolari e nervose. Ogni organo coinvolgerebbe nelle sue attività peculiari anche il suo tessuto connettivo, che sarebbe tessuto “attivo”: ogni organo avrebbe una vita propria caratteristica della materia vivente in quanto tale e non dell’organismo nel suo complesso (è l’inizio di quello che poi diventerà il “vitalismo”, riesumazione della teoria antica del Pneuma).

·         1778 Cullen, (che aveva classificato le malattie secondo le separazioni di liquidi, solidi, pletora, eccetera) pubblica First Lines of the Practice of Physic, in cui propone che le malattie dipendano da alterzioni nervose (teoria dello spasmo), secondo quanto già proposto da Hoffmann (predominanza del sistema nervoso nella fisiopatologia generale).

·         1780: Brown (newtoniano che voleva applicare il metodo sperimenatle alla medicina) pubblica Elementa medicinae in cui attribuisce le malattie a squilibri nervosi, dividendole in malattie steniche e asteniche a seconda che la reazione delle terminazioni nervose sia in eccesso o in difetto. La teoria dell’eccitazione nervosa, semplice e pratica, ha grande successo.

·         1796: Hanehmann pubblica uno scritto che sancisce la nascita dell’omeopatia

·         1801 : Bichat pubblica a Parigi Anatomie générale appliquée à la physiologie et à la medicine, in cui conia il termine di tessuti (membranes) per identificare elementi costitutivi dell’organismo, ubiquitari ma studiabili con l’anatomia, ai quali fa risalire l’origine delle malattie. Afferma anche che la malattia è lo “spazio della morte all’interno della vita”

·         1802: Sertürner isola la morfina dall’oppio e si iniziano ad estrarre dalle piante i loro componenti chimici e ad analizzarli

·         1821: Magendie pubblica un formulario terapeutico contenente solo agenti chi­mici puri estratti da piante, e questa tappa segna il passaggio dalla fitoterapia empirica alla moderna farmacologia sintetica.

·         1845: in Germania Reichert, nel suo Vergleichende Beobacthungen über das Bindegewebe und die verwandten Gebilde considera il tessuto connettivo come un fondamentale mezzo legante dal punto di vista meccanico, ma anche come qualcosa di vitale dal punto di vista organico, e stabilisce che i nervi e i vasi entrano in contatto con le cellule attive solo attraverso il tessuto connettivo, il quale è il fattore di mediazione e la sede dei flussi nutrizionali e nervosi. Pertanto secondo Reichert solo il tessuto connettivo entra in contatto diretto con tutte le parti del corpo, però non sa spiegare la natura della mediazione che il tessuto connettivo eserciterebbe tra sangue, umori nervosi e cellule tessutali-bersaglio.

·         1858: in Germania Virchow, nel suo Cellularpatologie, individua l’origine delle malattie come una alterazione morfologica o funzionale a livello cellulare. Nega che l’individualità di una malattia sia identificabile nell’alterazione degli umori del corpo o in alterazioni della comunicazione del tessuto nervoso. Egli fonda l’istologia come elemento diagnostico. Con la teoria cellulare proposta da Virchow e l’affermarsi del meccanicismo la visione umorale, ritenuta valida per millecinquecento anni, venne definitivamente abbandonata.

·         Bechamp (1816-1908) osserva in tutte le cellule animali e vegetali minuscoli corpuscoli che sopravvivono dopo la morte del soggetto e danno vita ad altri corpuscoli uguali. Poiché tali corpuscoli sembrano ubiquitari (presenti in tutti gli organismi umani, animali e vegetali) e immortali (sopravviventi dopo la morte dell’organismo-ospite) sono ritenuti l’anello di congiunzione tra materia inorganica non vivente  e materia organica vivente. Secondo Bechamp in particolari condizioni microambientali tali corpuscoli possono originare batteri in grado di innescare processi putrefattivi o fermentativi e quindi originare le malattie interne: la teoria si chiama Pleiomorfismo.

·         Negli stessi anni la teoria del pleiomorfismo viene contestata da Pasteur (1822-1895) il quale sostiene che anche le malattie interne originano da batteri esterni, i quali non derivano da altre forme, ma sono sempre uguali a se stessi: è la teoria del Monoformismo, secondo la quale ogni battere è morfologicamente definito ed origina sempre l’identica malattia qualora penetri in un organismo. Tale teoria è stata confermata vera e ha fatto cadere quella pleiomorfista

·         1880-84: grazie al microscopio vengono scoperti da vari scienziati il palsmodio della malaria, la salmonella Typhi, lo pneumococco, il mycobacterium leprae, il bacillo responsabile della tubercolosi, il vibrione responsabile del colera. Inizia il paradigma microbiologico che induce ad individuare nei microrganismi la causa delle malattie di cui l’anatomia patologica descrive gli effetti. Si afferma “il microbo è tutto”, Cohnheim afferma “tutto dipende dalla proprietà dei virus e dai suoi effetti. Sarà tubercoloso colui nel cui corpo il bacillo della tubercolosi troverà sede “.

·         Besnier (1831-1909) inizia la pratica della biopsia su vivente per la diagnosi istologica delle malattie. Nasce il paradigma istologico cellulare.

·         1905: il fisiologo inglese Starling presenta le sue “Correlazioni chimiche delle funzioni corporee” e propone il termine di ormoni (dal greco “stimolare”) per le sostanze secrete dalle ghiandole con azioni di stimolazione importanti a livello sistemico. La teoria ormonale si contrappone in un certo senso a quella cellulare.

·         Si afferma il paradigma biochimico che porta a identificare le malattie come alterazioni di processi chimici all’interno del corpo.

·         1925: Enderlein pubblica Ciclogenia, in cui ripropone, in nuova veste, la teoria pleiomorfista di Bechamp. Non ha seguito

·         1945: Pischinger e i suoi collaboratori intuiscono che “Essenzialmente il concetto di cellula è un’astrazione morfologica. Considerato dal punto di vista biologico, non può essere accettato senza l’ambiente vitale della cellula”. Riprendono la teoria umorale intuendo che i filtrati organici fisiologici devono contribuire al mantenimento delle condizioni di stabilità del mezzo interno, condizioni che si attuano attraverso un complesso sistema che denominano “Sistema di regolazione fondamentale”. Nasce così quella “prospettiva” che attualmente è nota come Medicina Funzionale, che dà particolare importanza alle situazioni di accumulo di tossine o scorie metaboliche in determinati tessuti o distretti (con conseguente alterazione del pH locale) come fonte di disturbi e di malattie.

·         1952: Reckeweg, omeopata tedesco, pubblica “Effetto di vicariazione, omotossine e fasi delle malattie nei tre foglietti blastodermici” in cui riassume le convinzioni maturate in trent’anni di lavoro e propone correlazioni tra evoluzione delle malattie e derivazione tissutale dai foglietti embrionari

·         1953: Watson e Crick descrivono la struttura del DNA: inizia l’era genica, che porta alla biologia molecolare e all’ingegneria genetica. Le malattie sono viste come alterazioni di funzioni degli acidi nucleici

·         1970: Singer propone un nuovo modello descrittivo della membrana citoplasmatica cellulare (doppio strato fosfolipidico con immerse le proteine transmembrana: sostanzialmente il modello è ancora riconosciuto valido). La membrana appare porosa e duttile. E’ l’inizio degli studi recettoriali di membrana

·         1989: Tsong dimostra per la prima volta che opportuni stimoli elettromagnetici possono attivare le pompe ioniche transmembrana. Le cellule pertanto non rispondono solo a stimoli chimici, ma anche fisici. 

  • Gli Studi accademici della seconda metà del XX secolo riscoprono la morfologia tissutale intercellulare e scoprono l’importanza dei mediatori a distanza. Vengono analizzate la struttura e le funzioni delle cellule immunitarie. Nasce la Psiconeuroendocrinoimmunologia, che attribuisce sempre maggiore importanza ad una visione sistemica dell’organismo, allontanandosi sempre di più dalla teoria cellulare. Il mesenchima viene studiato approfonditamente (Per es.: Prockop 1995, Trelstad, 1997; Poole, 1995; Castor, 1995; Williams, 1997; Rosemberg, 1997) e gli si attribuisce sempre maggiore importanza per comprendere le dinamiche di malattia.

·         1998-2000: vengono pubblicati alcuni studi su riviste ufficiali che sostengono che alcuni microrganismi contengono antigeni in grado di innescare reazioni autoimmunitarie nell’ospite, se l’ospite ha caretteristiche genetiche favorevoli a ciò (Per es.: Harrington, 1998; Wollenhaupt, 1998; Ike, 1998; Lunardi, 1998; Lunardi, 2000): si riaffaccia implicitamente il concetto di “terreno” e di persistenza di informazioni biologiche sbagliate come innesco di malattia, concetti empiricamente affermati da alcuni decenni dai cultori della medicina biologica funzionale, retaggio del XIX secolo.

 

Si dice comunemente che le progressive conoscenze scientifiche ci portano a modificare la “visione della malattia” ed è vero. Alla base di una visione sta la capacità di “vedere”. E’ il poter “vedere cose nuove” che ha aperto nuove prospettive.

Partiamo da Ippocrate. Nasce, con Ippocrate, la metodologia clinica. Capisaldi di questa medicina sono l’osservazione pignola dei fenomeni, la raccolta precisa dell’anamnesi, la catalogazione dei sintomi e il confronto tra vari casi clinici con finale raggruppamento di casi simili e “repertorizzazione”. Nascono così le descrizioni delle malattie come entità nosologiche. (Di Benedetto, 1983)

Successivamente incontriamo Galeno (medico del II secolo d.C.). Egli fondamentalmente è scettico, naturista in quanto invocante una forza benevola naturale che tende a ripristinare la salute (vis medicatrix naturae), sprezzante verso tutte le teorie mediche del tempo, anche se ad esse si rifà (ippocratismo, teoria pneumatica dei soffi). Utilizza l’interpretazione dei sogni e l’astrologia, ma inizia anche il metodo sperimentale, studiando su cani e scimmie anatomia e fisiologia (ma le scimmie sono diverse dall’uomo, da cui deduzioni anatomiche errate). Sistematizza varie intuizioni e rielabora il Corpus Hippocraticum , dando avvio ad una visione medica che sopravviverà incontestata per millecinquecento anni, la famosa teoria umorale, conosciuta come galenica appunto, in cui la salute è vista come armonico equilibrio di quattro umori principali e la malattia come rottura di tale equilibrio (i quattro umori, derivati da Ippocrate, sono: bile gialla, bile nera, sangue, flegma). Tale teoria è organicista: ogni malattia è riconducibile all’alterazione di un organo, che causa la rottura dell’equilibrio degli umori (Sournia, 1994)

Quello che si vuole sottolineare è che in questa epoca della medicina il medico poteva solo osservare il malato dall’esterno, scrutarne le modificazioni, palparne il corpo, tastarne il polso, esaminarne i secreti. E dalle modificazioni dell’esterno immaginava cosa poteva succedere all’interno, dai cambiamenti delle secrezioni immaginava cosa poteva essere in atto a livello viscerale. Tale impostazione durò per molti secoli, e pur modificandosi nel tempo, restò sostanzialmente valida anche in ambiente arabo-persiano (scuole di Avicenna e Averroè) fino al XIV secolo dopo Cristo (Avicenna, 1991), quando iniziò lo studio autoptico dei corpi. Non erano ignote neppure prima nozioni di anatomia: già la civiltà sumera aveva nozioni di anatomia, che poi confluirono in quelle babilonesi ed egizie; e poi nozioni di anatomia giunsero attraverso gli scritti alessandrini (notevoli furono gli studi alessandrini di neuroanatomia e anche di neurofisiologia umana. - Cosmacini, 1997; Sournia, 1994). Inoltre si studiava l’anatomia animale (maiale, scimmia, cane) e da essa si deduceva per somiglianza come doveva essere l’interno degli uomini.

Ma a partire dal XIV secolo d.C. la possibilità di aprire i corpi dette una prima svolta decisiva.

Proviamo ad immaginare cosa possa aver significato “aprire un corpo umano”. L’immaginazione che si confronta con la realtà, scopre organi, alcuni peculiari dell’uomo. Si dissezionano muscoli, tendini, nervi, ossa, si trovano vasi sanguigni, si scopre come il sangue dopo la morte si rapprende…. Tutto ciò che a noi oggi sembra scontato e banale, deve essere suonato come incredibile. Proviamo ad immaginare l’emozione, e il turbinio di considerazioni, di domande, di dubbi. Pensiamo a cosa abbia rappresentato la teoria della circolazione di Harvey: le sue osservazioni e deduzioni, di una logica rigorosa e stringente, mettono in crisi le concezioni  correnti che le arterie portino l’aria (soffi), che il bacino di raccolta e diffusione del sangue sia il fegato, che le vene siano a fondo aperto, percorse dal sangue in andata e ritorno dal cuore: Harvey illumina sul fatto che le vene portano il sangue solo verso il cuore, che il cuore e non il fegato è il bacino di raccolta e diffusione del sangue, che il cuore sinistro spinge il sangue nelle arterie, le quali non contengono aria, ma sangue, e il sangue ha una sola direzione nelle arterie e nelle vene. E’ talmente sconvolgente che ben si capiscono i contrasti cui la teoria è andata incontro prima si essere accettata (Sournia, 1994).

Poi si confrontano gli interni dei vari corpi. Si cominciano a scoprire cose sorprendenti: per esempio tutti quelli morti di una data morte hanno lo stesso organo alterato in modo simile tra loro e diverso da quello di soggetti morti per altre cause. Si ha l’esigenza di verificare se è vero, se può mai essere possibile che ciascuna malattia alteri in modo caratteristico un dato organo rispetto ad altri. Allora nasce l’esigenza di avere a disposizione tanti cadaveri di morti per malattia simile. Questa è la nascita delle cliniche come noi le intendiamo, luoghi dove vengono ricoverati pazienti per poterli studiare in vivo e confrontare poi la storia clinica con i riscontri autoptici dopo l’inevitabile morte. Nascono le scuole moderne di medicina, le cliniche, la repertorizzazione di sintomi. Vengono riconcepiti nel loro ruolo gli ospedali: non più lazzaretti assistenziali (gestiti per lo più da ordini religiosi), bensì luoghi gestiti dalle Accademie e Università dove raccogliere pazienti selezionati a  seconda delle patologie studiate dalle varie scuole. A tale scopo nascono anche le cartelle cliniche come noi le concepiamo, redatte meticolosamente e aggiornate quotidianamente annotando tutte le più piccole variazioni cliniche oggettive e le caratteristiche dei sintomi, perché nulla sfugga e si riesca poi ad assegnare ad ogni alterazione anatomica riscontrata durante l’autopsia un quadro clinico plausibile (tale metodo non è più stato abbandonato e ha permesso l’identificazione di quasi tutte le lesioni di partenza delle varie sindromi cliniche note) (Cosmacini, 1997).

Perciò abbiamo un procedimento simile a quello ippocratico (osservazione, repertorizzazione dei sintomi), ma cambia l’osservazione: Ippocrate osservava i malati, i vivi, e correlava i sintomi con quadri clinici; la scuola medica rinascimentale invece correlava i sintomi con alterazioni morfologiche interne.

Questo cambiamento di visuale ha poi condotto inevitabilmente al meccanicismo: si pensa che il malato abbia un sintomo perché ha una alterazione ad uno o più organi. Si comincia così a ritenere che ad ogni sintomo debba corrispondere una alterazione morfologica e da questa si risale alla funzione corretta dei vari organi: se l’alterazione di questo dato organo causa questi sintomi, significa che quest’organo presiede le funzioni che alterandosi provocano questi sintomi. Si va verso la visione meccanicistica.

Altro impulso nella direzione morfologica viene dal diffondersi nella scuola olandese dell’uso delle lenti prima e poi del microscopio. Siamo alla fine del XVII/inizi del XVIII secolo. (Cosmacini, 1997, Sournia, 1994).

La concezione della malattia si sposta dagli umori agli organi (Morgagni) e ai tessuti (Bichat).

In particolare Morgagni fonda l’anatomia patologica. Docente a Padova, anatomista, concentra l’attenzione non tanto sulla morfologia normale degli organi, ma sulle loro peculiari modificazioni in corso di malattia. Arriva anzi a sostenere che la modificazione della costituzione e morfologia degli organi determina le varie malattie.

Il francese Bichat, morto giovanissimo di tisi, studiando appunto la tisi propone una concezione ardita della malattia, sostenendo che la “vita è è l’insieme delle funzioni che resistono alla morte, perciò la malattia è la morte resa possibile nella vita” (Recherches physiologique sur la vie et la mort, Parigi, 1800). Bichat individua la malattia nell’alterazione dei tessuti (“membranes”) dai quali è costituito l’organismo: i tessuti sono ubiquitari (come gli umori), ma sono identificabili e studiabili attraverso l’anatomia patologica e la fisiologia (Anatomie générale appliquée à la physiologie et à la medicine, Parigi, 1801). L’occhio appassionato di Bichat gli permetteva di riconoscere i vari tessuti senza neppure l’ausilio di lenti (Sournia, 1994).

Nella seconda metà dell’800 si ha un’ulteriore svolta grazie al microscopio: viene individuata la cellula. Ogni tessuto è costituito da cellule peculiari. Proviamo ad immaginare ancora cosa abbia significato scoprire che i tessuti sono costituiti da microscopiche e complesse unità semplici, a loro volta costituite da organuli subcellulari. Impossibile non pensare che fosse l’alterazione di queste unità la causa ultima delle malattie. Se sono alterate le cellule nelle loro funzioni, sarà alterato anche il tessuto che formano le cellule insieme, l’organo che si costituisce, l’organismo che ospita quell’organo.

Il poter “vedere” cose nuove, condiziona inevitabilmente la visione che si ha della malattia.

Ma si ha un’ulteriore svolta verso gli anni ’80 del XIX secolo: vengono individuati i microrganismi e si passa dal paradigma anatomopatologico a quello microbiologico (tuttora imperante). Infatti se i microbi erano stati individuati in Olanda già nel XVII secolo e nel XVIII si era assisitito a dispute sull’origine del brulicare di microrganismi da carni putrefatte (da queste dispute sarebbe nata la teoria pleiomorfista di Bechamp che avrebbe condotto alla concezione della visione ciclogenetica di Enderlein), non si era riusciti a comprendere la natura e il ruolo dei microrganismi fino al XIX secolo, quando vennero correlati con sicurezza germi e precisi quadri clinici da essi provocati.

Un ulteriore passo in avanti si deve allo sviluppo della chimica e alla nascita della biochimica che individua le reazioni chimiche intracellulari (cicli metabolici e respiratori) che avvengono a livello mitocondriale e intracitoplasmatico, il ruolo e la costituzione degli ormoni e dei mediatori: nasce il paradigma biochimico che, oltre a guidare la ricerca speculativa verso la comprensione dei meccanismi patogenetici delle malattie, ha dato rapido e notevole impulso alla ricerca farmacologica e ha condotto alla messa a punto della maggior parte dei farmaci oggi a disposizione.

Infine la scoperta del DNA e la sua decodificazione hanno condotto alla conoscenza dei meccansimi genici di malattia.

Pertanto l’angolo di visuale si è ristretto come uno zoom che ha permesso di guardare nel tempo dentro al corpo, dentro agli organi, dentro ai tessuti, dentro alla cellula, dentro agli organuli subcellulari, dentro al nucleo e infine dentro agli acidi nucleici.

Adesso sta nascendo l’esigenza di ricomporre in unità i frammenti, cercando di ricollegare tutte le evidenze accumulate nell’arco dei secoli e di superare nel contempo la dicotomia psiche/soma che il paradigma visivo ha creato.

Riepilogando i paradigmi imperanti in medicina nel tempo, potremmo riassumerli schematicamente così (Tabella III)

 

Tabella III: PARADIGMI SCIENTIFICI NEL TEMPO

·         umorale (fino al XIV secolo)

·         anatomopatologico (dal XIV al XVII sec.)

·         organico (XVIII secolo)

·         tissutale (XVIII secolo)

·         cellulare (1858)

·         istologico (XIX sec.)

·         microbiologico (1880-84)

·         biochimico (1905)

·         genico (1953)

·         fusione di tutti i precedenti (XXI secolo)

 

VIRCHOW

Data l’importanza attribuita alla teoria cellulare di Virchow, ritengo utile soffermarmi più approfonditamente su questo scienziato e sulla sua teoria (Sournia, 1994, Cosmacini, 1997).

Virchow è un medico eclettico: si occupa di anatomia, di antropologia, di politica, di igiene preventiva (partecipando ai lavori per la rete fognaria di Berlino), dell’educazione delle donne, va a combattere epidemie in Siberia. E’ un materialista, concreto e razionale, e cerca di lavorare con metodo rigoroso, opponendosi ai sostenitori dei “sistemi”. Viene contestato dai suoi contemporanei (Claude Bernard, per esempio), ma ha anche molti sostenitori e forma gran numero di allievi, fondando l’anatomia microscopica e dando l’impronta alla famosa Scuola anatomica tedesca. Egli sostiene (non del tutto a torto) che non può essere un buon medico chi non riesca a collocare la malattia in un punto del corpo, per cui fondamentali sono l’osservazione e lo studio dell’anatomia patologica.

Deve la sua fama alla Teoria cellulare, esposta nel suo Cellularpatologie, pubblicato nel 1858. Essa, proseguendo sull’intuizione di Bichat che l’origine delle malattie doveva essere ricercata nelle alterazioni dei tessuti, sostiene che i tessuti sono formati da peculiari cellule, origine del “guasto” che provoca la malattia. La cellula è “la forma elementare di vita, l’unità organica”. Ogni cellula ha una sua peculiare funzione, garantita dalla sua stessa struttura, poiché funzione e struttura sono intimamente collegate e rendono la cellula specifica. L’alterazione della struttura oppure della funzione provoca la “patologia cellulare” che può indurre malattia dell’organismo (Sournia, 1994). Ogni organo ha un suo proprio tessuto, costituito dalle sue peculiari cellule. Le cellule hanno vita propria, sono raggiunte dal sangue che porta loro nutrimento e producono scorie che rigettano. Ogni cellula nasce da un’altra cellula simile: omnis cellula a cellula. Fonda l’Istologia (studio dei tessuti) e si dedica all’istologia patologica, individuando e caratterizzando le lesioni cellulari proprie di ogni malattia; descrive inoltre la metastatizzazione tumorale attraverso la migrazione di cellule alterate che danno poi origine a cellule a loro simili (perciò alterate) in altri posti del corpo. Con Virchow si potenzia l’uso dei microscopi al punto che l’esame autoptico non avrà più valore se non completato con l’esame istologico delle lesioni al microscopio. Questa linea di condotta condurrà Besnier a ideare il prelievo di frammenti di tessuto dal vivente (la “biopsia”) per lo studio delle alterazioni cellulari e la diagnosi delle malattie attraverso l’istologia.

Lascio ora al lettore il piacere di tradurre in considerazioni le suggestioni che la storia della medicina offre.

Sottolineo soltanto alcune cose:

1) l’Omotossicologia, che si concentra sulle alterazioni biochimiche intracellulari e sull’accumulo di scorie o alterazioni del microcircolo a livello intercellulare, in realtà tiene in grande considerazione la teoria di Virchow: senza teoria cellulare non sarebbe nata neppure l’Omotossicologia.

2) L’Omotossicologia, che riconosce in ogni espressione di malattia una causa “omotossinica” con ripercussioni a livello cellulare ed istologico, dimostra di non uscire dall’impostazione del Meccanicismo. Infatti, anche per l’Omotossicologia (e poi per la Medicina Funzionale) alla base della malattia c’è una alterazione “organica” seppure subclinica: senza microrganismi, senza “omotossine” e senza alterazioni dei cicli biochimici intracellulari, non si avrebbe malattia.

3) La teoria del mesenchima di Pischinger, quando nacque, in realtà si opponeva alla visione di Virchow, che si poneva come visione statica, non sistemica, oggettiva e parcellare. Tuttavia al giorno d’oggi, sfumati i toni di diatribe non più attuali, deve essere vista (come mi pare sia) come una integrazione della teoria cellulare in un contesto biologico più vasto.

Chi segue il cammino della medicina nel tempo, non può non cogliere un progressivo e rapido confluire di tutte le teorie del passato in un’unica visione che considera importante la cellula, il contesto mesenchimale, il vissuto psichico e le caratteristiche ambientali in cui l’uomo singolo vive. La Medicina Funzionale può fungere da “serbatoio di esperienza” e da stimolo per la Medicina tutta.

 

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Indirizzo per chiarimenti

Dott.ssa  Marialucia Semizzi

Verona

E-mail: [email protected]



[1] Articolo tratto dalla Rivista “Aggiornamenti di Medicina Integrata”. Anno 8. 2° Semestre 2000: 36-43