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Riassunto: si presenta una rilettura della fiaba di Pollicino
sottolineando i preziosi riferimenti simbolici e fenomenologici offerti. In
particolare si pone l’attenzione sugli atteggiamenti psicologici ed energetici
dei personaggi nei diversi passaggi della fiaba nel tentativo di correlare il
processo psichico di individuazione e i corrispondenti movimenti energetici.
ai nostri genitori,
al potere delle tradizioni
“Conoscere può essere solo cerebrale, allora non è più
amore. Se la conoscenza è anche amore, le mani sono soffio creatore!
Attraverso le cinque dita la mano
è collegata a precisi organi del corpo.
-Il pollice (dito di Venere) è legato alla
testa. I romani, che abbassavano il pollice in segno di condanna a morte, lo
sapevano. La storia di Pollicino, in quanto racconto simbolico, è una
meraviglia: ogni dettaglio è significante e racconta l’evoluzione parentale
fino alla sua liberazione totale, fuori dal condizionamento spazio-tempo: gli
stivali delle sette leghe hanno quest’ultimo ruolo” (Annick de Souzenelle) (1).
Cera una volta un taglialegna che
aveva sette figli. L’ultimo era nato così piccolo che il pover’uomo e sua
moglie gli avevano dato nome Pollicino.
Pollicino è il settimo di sette
fratelli. Il numero sette, secondo la numerologia cinese, risulta
particolarmente legato al mondo femminile. Nelle note ai primi undici capitoli
del So Wen troviamo inoltre: “Sette: gli scambi cosmici, di cui l’uomo è perno,
riposano sull’efficacia di questa organizzazione, di cui il numero sette è la
figura e la spiegazione. Più concretamente, nell’uomo, con i suoi sette orifizi
superiori dove brillano i sette sentimenti, indissolubilmente corporei e
spirituali, per analogia, vive l’universo centrato su noi, con il fulgore
stesso dei sette luminari del cielo (sole, luna, cinque pianeti)” (2). Sette
sono ancora i bracci del candelabro, menorah, che Mosè forgiò su istruzione
diretta di Dio; e sette sono i gradini della “scala ascensionale” rappresentata
in numerose icone cristiane. Ancora, nella tradizione cristiana si legge:
"E come Mosè eleva il serpente nel deserto, bisogna che il Figlio
dell'Uomo sia elevato..." (Giovanni, III, 14). Così come troviamo nei miti
la scala a pioli, la colonna o l’albero, nella tradizione cinese vi è il Tao,
la Via, via di riunificazione dei contrari, la quale condivide con la
tradizione indiana i sette principali chakra;
centri energetici, i chakra si
elevano dalla base della colonna vertebrale (o chakra fondamentale) alla sommità del capo (o chakra coronale); ritroviamo nuovamente i sephiroth "Fondamento" e "Corona" dell’albero
della Cabala.
Il sette rappresenta quindi in diverse culture il
compimento; nel caso di questa storia, il settimo figlio era piccolo, il
compimento non era ancora completo.
L’ultimo figlio di questa numerosa
famiglia portava il nome di “Pollicino”. Questo nome sembra particolarmente
importante: l’opponibilità del pollice alla mano e alle altre dita ha
rappresentato una delle più importanti soluzioni evolutive della specie (3).
L’arto superiore da organo di sostegno e locomozione divenne strumento di
prensione estremamente agile e preciso. L’ampia rappresentazione topografia
corticale motoria e sensitiva del pollice dimostra la notevole importanza
assunta da tale struttura durante la filogenesi.
Al pollice arrivano inoltre gli ultimi punti del meridiano
di polmone. Il polmone, appartiene alla loggia energetica del movimento metallo
e quindi all’autunno. Si scrive infatti di questa stagione: “L autunno segna
l’arresto dell’espansione, il limite di ciò che è giunto al suo estremo ed
inizia il ritorno verso l’interno, la concentrazione, il restringimento.... è
il tempo in cui lo yang si rifugia
nell’interno, protetto da uno yin,
una calma immobilità che protegge l’esterno.” (4)
Il polmone, maestro dei soffi, dirige e ritma la
respirazione e le circolazioni: ciò lo porta ad essere l’assistente del cuore,
uno dei suoi ministri. Il polmone attraverso la pelle e i peli trattiene la
vitalità. Dare un colpo di arresto e ricondurre all’interno è il movimento
proprio dell’autunno. Il polmone è la dimora della vita istintiva che si poggia
sulla memoria del passato, è colui che vigila, nel torace, sulla purezza indispensabile
alla vita degli spiriti. In ultimo è del metallo-polmone l’essere maestro delle
entrate e delle uscite, così come il legno-fegato lo è delle andate e venute.
Vedremo in seguito come Pollicino incarni e sviluppi
esattamente queste caratteristiche energetiche e psichiche.
Il taglialegna si dava un gran
daffare per sfamare tutte quelle creature, ma il lavoro non sempre andava bene
e a volte i ragazzi cenavano con una cipolla e una fettina di polenta
La madre faceva il possibile per
risparmiare qualche soldo, cucendo loro i vestiti e risuolando le scarpe col
cartone.
Ma ci fu una stagione più
difficile del solito e la famiglia del taglialegna si trovò senza una lira.
“Così non possiamo continuare”
disse una sera la moglie al taglialegna. “I ragazzi crescono e hanno ogni
giorno più appetito. Quest’annata è stata misera e la prossima si preannuncia
anche peggiore.
Come faremo?”
Il taglialegna sospirò.
“Dovrò portarli nel bosco e
lasciarli lì” disse.
“Se restano con noi moriranno di
fame. Non potrei proprio sopportarlo...”
“Come puoi pensare di
abbandonarli?” disse la donna. “sono i nostri figli, lo hai dimenticato?”
“Non ho scelta” disse l’uomo.
“Pregherò Dio che li aiuti”
“e i ragazzi cenavano con cipolla e
mais”. Due alimenti che tonificano proprio il Polmone (il mais) e quell’organo
che agisce sui liquidi in maniera speculare al polmone in basso: il Rene (la
cipolla). I momenti di povertà richiedono infatti spesso un’iniziale movimento
di interiorizzazione (che richiede di rinforzare il Polmone) e di
tesaurizzazione (una delle funzioni del Rene), si devono raccogliere le forze
nello Yin.
Gli alimenti sono semplici, privi di lavorazione o contenuti
trasformativi; il nutrimento è spogliato da polarità relazionali. In tali
condizioni non è possibile attingere ad alcuna risorsa e non rimane che
risparmiare e sopravvivere.
Di fianco al taglialegna troviamo un
femminile che affronta la difficile situazione presente appoggiandosi sulle sue
potenzialità: il risparmio, il riciclo, la tesaurizzazione. E’ lo yin dell’acqua capace di conservare,
quello della terra capace di metabolizzare partendo da ciò che ha a
disposizione.
Lo sguardo del padre prevalentemente
rivolto al futuro, fa precipitare il presente; l’angoscia e la disperazione
portano il taglialegna all’abbandono. Egli abdica al suo ruolo di padre.
Il maschile si separa dal mondo infantile che esso stesso ha
generato, ma dal quale sembra non essersi rigenerato.
Il femminile si rivolta, il maschile
decide.
Il padre
affida il destino di questi ragazzi al “Dio” e alla “foresta”. Al Cielo, regno
della luce e della trascendenza e alla foresta, regno delle ”ombre”, dei
pericoli della vita.
Mentre parlavano il taglialegna e
la moglie non si erano accorti che Pollicino, nascosto dietro la porta della cucina,
stava ascoltando tutto.
Il ragazzo aspettò che il padre e
la madre fossero andati a dormire, poi, silenziosamente, aprì la porta di casa
e prese dal giardino una manciata di sassolini bianchi, li mise nella tasca dei
pantaloni e andò a dormire.
Ultimo figlio, Pollicino, rispetto agli altri fratelli è il
più distante per età dai genitori. Egli risulta maggiormente svincolato da
investimenti genitoriali e ricava da ciò una maggior possibilità di “movimento”
rispetto agli altri fratelli; egli si trova in una posizione privilegiata, da
cui può accorgersi delle intenzioni dei genitori. Ed è proprio Pollicino,
incompiuto più prossimo al compimento, che nascosto dietro la porta, a cavallo
tra dentro (cucina come luogo di trasformazione) e fuori (il soggiorno, lo
spazio della socializzazione), ascolta. Ascolta e basta, non interviene
impulsivamente, si appoggia probabilmente sulle sue fondamenta, su quei reni
(incompiuto dell’uomo) che unici, se sani, conducono all’ascolto più profondo e
da lì ottengono la forza necessaria per affrontare l’abbandono.
L’attesa, il silenzio; sono ancora lo yin del metallo e del rene; l’introversione segue il ritiro dei
Genitori. Quindi si apre la porta, quella che divide la casa da uno spazio
ancora protetto, ma meno dell’abitazione: il giardino; l’esterno della casa
verso il buio della notte permette un ampliamento delle possibilità. Qui
Pollicino raccoglie dei sassi, sassi bianchi, ancora un ennesimo richiamo alla
memoria del metallo, polmone che si rifà all’antico, a quelle conoscenze
arcaiche alle quali il bambino ha accesso diretto; questi sassi come fossero
dei ricordi serviranno a rientrare, a ritrovare la via del ritorno. Egli li
prende e li conserva tutta la notte. Non si alza prima al mattino per agire, lo
fa di notte prima di dormire. Quando si uscirà dal versante più yin della collina si agirà all’alba e
non nel profondo della notte.
Il giorno dopo il taglialegna
svegliò i figli e disse loro di prepararsi in fretta: dovevano accompagnarlo
nella foresta a far legna.
Qui compare la fretta. Fretta,
rigidità, disperazione e ambivalenza caratterizzano l’atteggiamento genitoriale
in tutta la prima metà del racconto, come a segnalarci la condizione nella
quale il padre e la madre di Pollicino si trovano a decidere e ad agire.
Si deve andare nella foresta a far legna, quella legna utile
per il fuoco-calore e luce, che si trova però in un luogo oscuro e rischioso.
Appena imboccato il sentiero che
si inoltrava in una fitta boscaglia, Pollicino iniziò a lasciar cadere dietro di
sè i sassolini che aveva nelle tasche.
“In questo modo traccerò il
percorso“ pensava “e per tornare a casa, non dovremo far altro che seguire i
sassi”.
Giunti nella fitta boscaglia, nello yin crescente, Pollicino comincia così a svuotare le sue tasche,
con un movimento di esteriorizzazione consapevole che (grazie ai piccoli
elementi mnemonici sparsi sulla terra) gli permetterà di ripercorrere a ritroso
il percorso tracciato. Il nostro piccolo amico utilizza quei sassi raccolti
“nel giardino di casa” per segnare la via indicata dal padre impiegando risorse
appartenute ad un passato utili per lasciare un segno nel presente e, in
futuro, per tornare sui propri passi.
Egli non si ribella alla decisione del padre, segue ancora
le sue indicazioni, ma con maggiore consapevolezza. A questo punto della fiaba
sembra aver inizio il difficile percorso di integrazione tra gli aspetti yin (i sassi raccolti nel cuore della
notte) e yang (segnare la propria
traccia) dell’essere.
Quando arrivarono in una radura,
il taglialegna si fermò. “Ecco” disse “questo mi sembra il posto adatto”.
L’uomo attese che i figli
cominciassero a raccogliere rami, poi, senza farsi notare, si allontanò in gran
fretta.
Quando i ragazzi si accorsero di
essere soli in mezzo alla foresta, si misero a piangere dalla paura.
Ma Pollicino li rassicurò.
Nella foresta si è soli, una
solitudine profonda e dolorosa, che lascia spazio solo alla disperazione di
fronte all’ineffabilità del destino.
Solo dopo il passaggio da questo stato, e non prima, Pollicino
tranquillizza i fratelli seguendo con loro il comune destino, così come
agiscono sinergicamente le singole dita della mano.
“Non abbiate timore” disse. “So
come tornare a casa. Venite con me.”
Pollicino cercò i sassolini
bianchi e, seguendone la traccia, condusse i fratelli a casa.
Questa traccia è solida, riporta a casa.
Colui che, tra i fratelli, è il più
consapevole svolge un ruolo di riferimento e li giuda verso il rientro.
Appena li videro, il padre e la
madre furono contenti di riabbracciare i figli.
Questi “genitori” prima abbandonano i figli, e poi sono
contenti di rivederli, così come vogliono molti dei dualismi della natura
umana. Essi sembrano essere i possibili genitori dei figli di oggi, ma non i
potenziali genitori dei figli di domani. Essi si fermano ai limiti dell’oggi
anticipando le possibili difficoltà future; essi hanno ancora di che nutrirsi e
coprirsi, hanno una casa ed il padre ha comunque un lavoro, eppure questi
genitori anticipano i tempi e decidono infatti di riabbandonare i bambini.
Ma la sera
stessa il taglialegna disse alla moglie che il giorno seguente avrebbe
riportato i ragazzi nella foresta
in un posto più lontano del primo.
Perché vi possa essere un ribaltamento di piani bisogna
addentrarsi ancora di più nell’oscura foresta, nello yin più lontano, i ragazzi ci verranno condotti dal genitore.
La donna scoppiò a piangere ma il
marito fu irremovibile.
Anche quella sera, Pollicino, che
stava all’erta, udì la conversazione dei genitori. Attese che andassero a
dormire, poi si avvicinò alla porta di casa per andare a prendere i sassolini
ma...
Oh, NO! Qualcuno aveva messo un
grosso catenaccio!
Pollicino è attento, all’erta; è
importante segnalare l’atteggiamento di ascolto che il racconto certamente non
trascura, come modalità d’approccio alle vicissitudini della vita, anche le più
impegnative. La vecchia via di salvezza non è più ripercorribile; il metallo
della famiglia (Pollicino) non può più liberamente entrare e uscire; lo blocca
un catenaccio, un lucchetto, una porta chiusa.
“La rigidità dell’autunno deve accompagnarsi alla serenità,
affinché la severità non divenga durezza, affinché l’implacabile e necessario
inizio del movimento di ritorno si compia senza brutalitá. I cambiamenti
bruschi, imprevisti minacciano la sicurezza, sono il pericolo della
stagione”(5), il metallo non possiede ancora, nel susseguirsi dei cinque
movimenti, l’elasticità propria del legno.
Il ragazzo se ne tornò
tristemente a letto, cercando però di farsi venire un’idea su come segnare la strada.
Pollicino è triste e preoccupato per l’indomani.
Il susseguirsi di momenti attivi e passivi, di eventi
imprevisti, incontri inaspettati, sembrano voler ricostruire la complessità
della vicenda umana. Ora più di prima Pollicino è costretto a porre maggior
ascolto al suo mondo interiore, quale unica risorsa per affrontare la realtà.
E’ forse a questo punto del racconto che i diversi aspetti
materici e simbolici vengono ulteriormente integrati in modo da permettere una
successiva tappa evolutiva.
Da un atteggiamento prevalentemente rivolto all’esterno
(ascolto dei genitori, uscita verso il giardino di casa) ad una modalità nella
quale ascolto, ragionamento e intuizione conducono verso il regno
dell’introspezione.
“Ci sono!” pensò ad un tratto.
“Prenderò il pane della colazione: farò delle briciole e le userò come
sassolini!”
E con quell’idea in testa si
addormentò serenamente.
Qui è la terra che forse viene a
mancare sotto i piedi, quella terra che nutre, che digerisce cibi e pensieri; e
dalla terra Pollicino trova la soluzione. Sacrificherà, mettendosi quindi
ancora un po’ più in gioco, il proprio cibo, per poter tornare a casa.
La mattina successiva invece di
mangiare il suo pane e latte, Pollicino nascose la pagnottina nelle tasche.
Tesaurizzare l’energia della terra,
il cibo, rappresenta un passaggio successivo di crescita importante: è il rene
(l’organo deputato a tesaurizzare) che si incontra con la terra, e i tre grandi
yin (metallo, acqua e terra) si
ritrovano a collaborare insieme. Il pane-terra, le tasche-rene, il ritorno a
casa-metallo. Ma è nel momento in cui lo yin
diviene completo che scatta la scintilla, quella scintilla che può bruciare
tutto attraverso la disperazione o illuminare le successive tappe del cammino,
invertendosi da massimo yin a yang. Ma non andiamo troppo oltre.
Il taglialegna portò i figli
nella foresta. Poi, come il giorno precedente li abbandonò.
Anche questa volta i ragazzi,
quando si accorsero della fuga del padre, si misero a piangere. E anche questa
volta Pollicino li consolò. “Non dovete piangere” disse ai fratelli. “Vi ho già
portato a casa una volta, no? Vi ci porterò anche adesso.”
Pollicino ha fiducia nel suo già
sperimentato percorso d’azione.
Ma quando cercò la traccia
lasciata dalle briciole di pane, ebbe un’amara sorpresa: gli uccellini del
bosco avevano mangiato tutto il pane e le tracce erano sparite.
La sorpresa è amara, come il sapore
del fuoco. Amara come la disillusione del fanciullo “tradito” dal “cielo”; gli
uccellini fatti di terra, di carne, “camminano” nel Cielo e sono loro a
determinare, quasi fossero mediatori tra lo yin
e lo yang, le condizioni per la
successiva evoluzione di Pollicino e i suoi fratelli.
Qui, forse, l’inizio della piena accettazione del destino.
I sette ragazzi si guardarono
attorno. Il sole stava calando dietro le montagne e presto sarebbe stato buio.
“Salirò su un albero e cercherò
di vedere se ci sono case qui vicino” disse Pollicino.
E da orizzontale, sul far della
sera, il cammino deve diventare verticale. L’aiuto viene da un albero, quel
legno, “il Generale” che riesce a veder oltre, che può alzare l’acqua verso il
fuoco, la terra al cielo. L’albero, che muta di forma a seconda delle stagioni,
che sa essere flessibile quando necessario. Albero espressione della vita che
si rigenera incessantemente; riflesso dell’uomo e del suo destino di dover
realizzare pienamente la sua forma. Sembra quasi di sentir recitare Pollicino
la splendida poesia di Rilke:
crescere
Guardo fuori
E l’albero
dentro di me cresce”
I fratelli lo aiutarono ad
arrampicarsi e Pollicino, dall’alto dell’albero, scorse una casa, dal cui
camino usciva del fumo. “C’è una casa da quella parte!” disse il ragazzo. “E
c’è del fumo! Significa che c’è gente. Andiamo a chiedere aiuto.” Scese
dall’albero e insieme ai fratelli si incamminò in quella direzione.
Arrivati al
cuore della foresta, al buio più fitto, bisogna potersi ergere oltre per vedere
più in là. A questo punto, diviene indispensabile l’aiuto dei fratelli, gruppo
dei pari fondamentale al passaggio dal protetto mondo dell’infanzia
all’ambivalente e instabile dimensione adolescenziale.
Dall’alto dell’albero Pollicino intravede una casa con del
fumo che esce dal camino. Il fumo, segno di un fuoco, di presenza di vita, di
calore, invita l’ingenuità incosciente del ragazzo non ancora compiuto,
portandolo a credere di poter, fiducioso, chiedere aiuto senza rischi. Come
spesso accade nella vita, non è possibile (o è meglio evitarlo) attraversare il
buio della foresta se non si è priva vista o almeno intravista una luce grazie
ad un’ascesa verticale.
Arrivarono e
bussarono alla porta. “Chi siete?” chiese la donna che venne ad aprire”. “Siamo
sette fratelli” disse Pollicino. “Ci siamo persi nella foresta. Puoi ospitarci
per una notte?”
La donna che apre la porta non
chiede ai ragazzi “cosa ci fate qui?”; chiede loro chi sono. E’ il momento
dell’inizio della differenziazione, della fuoriuscita dallo yin, del passaggio dall’uno al due;
integrazione delle energie psichiche inconsce, proprie del mondo magico
infantile dominio della relazione materna, con la presa di coscienza della
realtà. Processo questo, mai indolore, mai sicuro.
“Oh poveretti! Come vorrei
aiutarvi! Ma siete capitati nel posto sbagliato. Questa è la casa di un orco
che mangia bambini. Se dovesse arrivare e trovarvi qui, per voi sarebbe la
fine! dovete andarvene.”
“Poveretti”, ecco qui questo termine
impiegato per la seconda volta (la prima descriveva il babbo dei ragazzi), il
richiamo alle proprie origini, alla loro situazione di partenza. Ne avranno
bisogno nel momento della maggiore difficoltà. Come quando si è costretti a
dare un “colpo di reni” che altro non significa che appoggiarsi sulle proprie
forze, richiamandole tutte a partire da quelle originarie.
Un orco che mangia i bambini: cosa può esser più pericoloso
per un bambino?
L’Orco, una figura dall’identità alquanto non univoca; così
viene anche descritta dal Dizionario
della fiaba (6): “…sull’effettiva natura umana di questo personaggio si possono
avanzare dei dubbi già a partire dall’aspetto fisico, poiché talvolta le
descrizioni insistono sui caratteri mostruosi tanto da spostare l’orco
nell’ambito dell’animalità;”.
Quindi, l’orco come un essere ibrido non completamente umano
nè animale, al contempo evoluto ed involuto. La particolare voracità per la
carne di bambino sembra esprimere l’enorme e mostruosa aggressività per un
possibile salto evolutivo non realizzato (per un futuro possibile che non c’è
stato). E ancora, perché tale voracità dell’orco è indirizzata verso la carne
di bambino? Alimento quest’ultimo (non unica e obbligata fonte di
sostentamento) simbolo dell’ancora indifferenziato, dell’ingenuità
inconsapevole dell’infanzia, cioè contenuto di potenzialità necessarie alla
differenziazione e all’integrazione degli opposti.
Ecco il pericolo che
Pollicino e i suoi fratelli devono affrontare; essere fagocitati
dall’aggressività orale dell’orco vuol dire venir privati della possibilità di
realizzare il potenziale evolutivo proprio dell’essere umano.
“Se ce ne andiamo ci mangeranno i
lupi della foresta” disse Pollicino. “Tanto vale restare qui e sperare che
l’orco stanotte non torni.”
…ancora un richiamo alla voracità
animale come rischio e pericolo. E, ancora un richiamo alla notte; questa è la
terza notte che Pollicino è chiamato a valutare alcuni pericoli. Come abbiamo visto nella prima notte, egli cerca
all’esterno della casa le soluzioni; nella seconda, impedito dalle circostanze,
fa appello alle risorse interiori (medita un’idea su come segnare la
strada); in questo caso, la decisione
di rimanere nella casa dell’orco sembra, da un lato una scelta ponderata (nella
foresta verrebbero mangiati dai lupi), da un altro colpisce l’ingenua speranza
e l’intrepido coraggio rivolti ad una condizione di estremo pericolo. E’ forse
un atteggiamento di estrema fiducia in se stesso al quale Pollicino fa appello
per affrontare quella che potrebbe diventare la fine del viaggio?
“Tornerà!” disse la donna
sconsolata. “E’ puntuale come un orologio e fiuta i bambini come un cane da
caccia fiuta le sue prede, ma vedrò cosa posso fare. Venite dentro.”
La moglie dell’orco fece entrare
i bambini, diede loro da mangiare e da bere, poi li fece sedere al caldo,
vicino al camino.
Lo Yin, che spesso assume il ruolo
di far tornare ad un principio di realtà l’irruenza dello yang ancora incompiuto, si impone; per quanto orchessa si tratta
comunque di una madre e “la terra” non può “lasciar fuori casa”, tanto più dei
bimbi e non può non nutrirli. Paradossalmente, i sette fratelli qui trovano il
nutrimento e il calore che scarseggiavano nella casa di origine e che fu motivo
del loro abbandono.
BUM BUM BUM. A un tratto si
udirono tre colpi alla porta.
“E’ lui, è tornato! Oh Dio,
adesso che facciamo?” disse la povera donna. “Venite, nascondetevi sotto il
letto....Arrivo, marito, un attimo!”
Dopo un attimo di suspance ecco che il pericolo diviene
realtà e nell’urgenza l’unico scampo è nascondersi sotto il letto.
L’orco entrò in cucina, si guardò
attorno fiutando un odore che gli era familiare e disse: “MMM, che cos’è
quest’odorino? Sembra carne di bambino!”
“E’ la tua fame, marito mio” gli
disse la donna. “Ti fa prendere per odore di bambino, il profumo di questo
montone appena cotto. Vieni, assaggialo e dimmi se non è squisito!”
Eccoci di fronte ad una possibile
qualità del femminile, dello yin
subdolo che vuole quietare l’orco con carne di montone. Il montone potrebbe
rappresentare una “carne” più consona all’animalità dell’orco. Ma questo yin che si sgancia dallo yang del marito come viceversa avverrà
per lo yang dell’orco che si sgancerà
dalla moglie, pagheranno un duro prezzo. Sarà infatti con il percorso inverso
di profondo incontro tra yin e yang che i nostri giovani
cresceranno...ma ciò accadrà più avanti nel racconto.
“Donna, non m’inganni!” disse
l’orco. “Questo è odore di carne viva!”
Si alzò e andò a frugare per
tutta la casa. Poi si avvicinò al letto...
“Ah! Lo sapevo!” urlò vedendo i
sette bambini.
La
carne “viva” è la carne in cui ancora scorre il Sangue. La morte
sopraggiunge quando infatti questa preziosa sostanza smette di muoversi, quando
non porta più Shen fino alle cellule più remote di un organismo. Questi bambini
sono e saranno molto “vivi” perchè in continuo movimento.
Uno alla volta li tirò fuori e
poi disse alla moglie di cucinarli.
“Per la verità avevo pensato di
farli ingrassare un po’, per stasera c’è tutto quel montone!” ribatté la donna.
Altro ruolo dello Yin è l’accumulo e
l’amministrazione parsimoniosa della realtà concreta; sarà grazie a questo
ruolo che la donna dissuaderà il marito.
“Forse hai ragione” ammise
l’Orco. “Ingozzali di cibo e preparameli per domani.” Poi si sedette a tavola e
iniziò a mangiare il montone.
La trasformazione rappresenta una specificità dell’essere
umano e soprattutto di quella fase in cui si struttura l’identità; i fratelli
ricevono nutrimento proveniente dal regno animale e vegetale che attraverso
processi di elaborazione viene trasformato e assimilato nel regno umano. Grazie
a questo potenziale trasformativo le energie arcaiche e inconsce divengono
energie umane a servizio della consapevolezza. Ma, di tale potenziale, come
abbiamo visto, l’orco è privo. Egli accecato dalla voracità orale, vuole
ingrassare i ragazzi, inconsapevole di fornire loro le energie e il tempo per
compiersi.
Il forte richiamo all’attività orale (aggressività,
voracità), al nutrimento (carne animale o umana), al passaggio
dall’indifferenziato al differenziato, suggeriscono dimensioni riconducibili,
almeno in parte, alla fisiologia del fegato come organo metabolicamente
interposto tra intestino e cuore. E quale altro organo, se non il fegato così
bene rappresenta la fase adolescenziale della vita umana ?!
Dovete sapere che l’orco aveva
sette figlie, o meglio, sette orchessine, e stravedeva per le sue bambine.
Aveva regalato a ognuna di loro una coroncina, che le piccole tenevano sempre
sul capo. Le orchessine, come il loro padre, erano golose di carne di bambino e
avevano tutte denti appuntiti e mascelle forti. Da grandi sarebbero state delle
vere orchesse!
E sette sono le figlie femmine
dell’orco.
Queste sette orchessine, che
potremmo definire yin in quanto
femmine, ma yang in quanto
orchessine, regaleranno molto ai nostri eroi. Esse sono incoronate: indossano
una corona d’oro intorno alle “cento riunioni” (20VG) come possedessero un
prezioso aiuto in direzione del cielo.
In quel momento le figlie
dell’orco dormivano nel grande lettone della loro stanza.
La moglie dell’orco portò i
ragazzi a dormire nella camera delle orchessine, dove c’era un altro grande
letto per sette: il loro vecchio letto.
Sette di fronte a sette, maschi di
fronte a femmine. Lo Yang incompleto di fronte allo yin completo. “sette, nel Libro dei Mutamenti, è il numero che
esprime lo sprizzo dello yang: è il
giovane yang (shaoyang). Essendo la riproduzione umana
sessuata, quando la donna che è yin,
raggiunge il numero sette, lo yang
sale in potenza e può operare in seno allo yin;
qualcosa della congiunzione yin-yang si rivela ancora in essa. Ogni
sette anni, appare una nuova tappa della fecondità.” (7).
Inoltre i sette fratelli andranno a
dormire nel vecchio letto delle sette sorelle. Dove riposò lo yin precedente delle sette orchessine.
Il momento è cruciale.
I sette si infilarono sotto le
coperte e si addormentarono. Tutti, tranne Pollicino, che non si fidava
dell’orco.
Ulteriore passaggio di crescita del
nostro eroe; dalla speranza e dall’estrema fiducia mostrata precedentemente,
ora, avendo preso atto della realtà, compare il dubbio.
Pollicino raccoglie le forze della notte, ma non si
abbandona al sonno, stiamo virando infatti dal pigro conforto dello yin all’intraprendenza dello yang.
Appena i ragazzi furono
addormentati, scese dal letto, tolse le coroncine dal capo delle orchessine e
le pose sulla testa dei suoi fratelli e sulla sua. Poi mise alle orchessine i
berretti di lana dei suoi fratelli e se ne tornò a dormire.
Pollicino e i suoi fratelli si
appropriano degli attributi regali dello yin.
Solo dopo si abbandonerà al sonno.
Questo scambio di copricapi sembra particolarmente
importante in questo senso. Fermiamoci un po’ su cosa può evocare una coroncina
d’oro e un ruvido berretto di lana. Da una parte la corona, immagine
dell’accesso al cielo, della luce, del fuoco, dall’altra il berretto, la grezza
protezione calda della terra.
Le coroncine sono state date alle orchessine dall’orco, i
berretti sono stati tessuti dalla madre dei sette fratelli. Possiamo essere di
fronte a due diversi tipi di investimento genitoriale: uno del Padre verso la proprie
figlie femmine, l’altro della Madre verso i propri pargoli maschi. Entrambi
questi genitori sembrano voler fornire la propria discendenza di potenzialità
mancate a loro stessi: la raffinatezza luminosa da parte del grezzo-animale
orco e la sicura cura nutritiva da parte della madre povera.
Sarà quindi cruciale questo passaggio di scambi di attributi
e investimenti essenzialmente yang ed
essenzialmente yin perché i nostri
eroi possano sfruttare al meglio la magia degli stivali delle sette leghe per la
loro evoluzione.
Pollicino aveva visto giusto:
durante la notte l’orco, per timore che potessero scappare, entrò furtivamente
nella stanza, tastò al buio le loro teste e, sentendo le coroncine sul capo,
andò verso l’altro letto. Tastò nuovamente le teste e, sentiti i ruvidi
berretti sotto le dita, a una a una uccise le orchessine.
L’orco agisce nel buio. Siamo ancora
nel regno dell’inconscio, dell’acqua, “l’acqua, …anche quando non ha connotati
magici, può essere fonte di grandiose distruzioni, o di morte, preludio a
rinascite miracolose” (8).
L’orco uccide le figlie perché le
scambia per i sette fratelli grazie ai ruvidi berretti che, posti sulla testa,
coprono il 20 VG rendendo difficile quel dinamico e reciproco passaggio dal
cammino orizzontale a quello verticale.
Pollicino, che aveva seguito in
silenzio la scena, attese che l’orco se ne fosse andato e poi svegliò i
fratelli, che si vestirono in fretta per scappare. Ma prima di partire,
Pollicino aprì i sette bauli delle orchessine, che contenevano oro e pietre
preziose, e riempì sette sacchi di diamanti, perle, rubini, monete d’oro e
smeraldi.
Ed ecco il premio, luminoso come il
fuoco, per aver saputo appoggiarsi sullo yang
quanto sullo yin, integrando le
proprie ed altrui potenzialità. Ma il lungo cammino mai terminato verso il
compimento richiede anche in questa fase che i sette giovani si mettano in
salvo e risolvano il problema di partenza.
I fratelli uscirono dalla casa
dell’orco portando ciascuno un sacco sulle spalle.
E’ necessario che ognuno trasporti
da sè il peso dei suoi tesori
La mattina seguente l’orco si
accorse di quello che era successo e quasi impazzì dal dolore.
Urlò tanto forte che persino
Pollicino e i suoi fratelli ormai lontani, lo sentirono.
“Qui si mette male” disse
Pollicino. “Arrampichiamoci su quest’albero. Il profumo dei suoi fiori confonderà
l’orco e forse non riuscirà a fiutarci”.
Ecco di nuovo l’albero che torna in aiuto; questa volta la
sua funzione è difensiva. Difenderà i nostri eroi dal naso (la cui sensibilità
si collega alla porzione più arcaica dell’encefalo) e quindi dalle ire
dell’orco mangia-bambini.
E
saranno i fiori a difendere i ragazzi, con la dolcezza e la delicatezza proprie
dei fiori degli alberi in primavera, e non la violenza, dalla bruta e grezza
forza dell’avversario. Sarà un albero al massimo delle sue potenzialità
primaverili di mediazione tra l’oscuro gelo invernale e il fruttuoso calore
estivo a “sorreggere” questa fase di crescita dei nostri fratellini.
L’orco, nel frattempo, si era
infilato gli stivali delle sette leghe.
Sapete cosa sono, vero? Stivali
fatati!
E con quelli ai piedi potete
balzare da un paese all’altro, attraversare fiumi e montagne in men che non si
dica.
Gli stivali delle sette leghe, la
magia che dà all’orco la velocità, o meglio la possibilità di intraprendere
lunghi viaggi, di vincere i limiti spaziali. Ritorna in conclusione la
numerologia iniziale della fiaba, il sette. Il numero dell’espansione nello
spazio e nel tempo. Al termine del racconto sette sono le leghe degli stivali.
Lega come misura di uno spazio ma chissà, magari anche come unione alchemica
dei metalli, nella ricerca di trascendere la materia.
L’orco corse di qui e di là,
saltò sù e giù, cercò e ricercò, finché, esausto, andò a sdraiarsi proprio
sotto l’albero su cui erano saliti Pollicino e i suoi fratelli.
Pochi minuti dopo si addormentò e
iniziò a russare. Pollicino e i suoi fratelli, allora, scesero piano piano
dall’albero, sfilarono gli stivali all’orco, e vi entrarono dentro.
Gli stivali fatati portano l’orco esattamente dove voleva,
ma bisogna essere preparati a riconoscere il fato, il caso, per poterlo
integrare nel proprio destino. Il nostro orco invece non discernerà l’odore
della carne dal profumo dei fiori e si addormenterà esausto, esaurito nelle sue
immobili forze.
I nostri eroi, arricchiti del tesoro-energia, utilizzano
quindi l’attesa e gli stivali dell’orco, attributi dell’avversario per trovare
e percorrere la via del ritorno. Dopo aver preso coscienza dei loro limiti (non
sarebbero mai potuti scappare lontano con le sole loro gambe) sarà il ricorso a
stivali magici, rappresentazione dell’umana potenzialità trascendente, a
salvare il gruppo di ragazzi.
Nella Storia
meravigliosa di Peter Schlemihl di A. Von Chamisso, benché il protagonista
si trovi a possedere gli stivali dalle sette leghe, non riuscirà a compiere il
passo decisivo di approdare alla nuova vita, alla “Nuova Olanda” (Australia).
Diversamente da Pollicino e dai suoi fratelli, Peter Schlemihl pur di evitare
le prove del destino cede la sua parte d’ombra al diavolo in cambio di beni
materiali. Dal punto di vista evolutivo, vuol dire privarsi del contatto con le
parti profonde di sé, rinunciare e perdere la possibilità di integrare energie
di segno opposto e complementare. Significa appunto, come è rappresentato nel
racconto, “restare trattenuti da venti contrari con la nave in vista del
porto”, nonostante il ricorso a stivali
fatati (9).
Con due balzi furono a casa.
Abbracciarono i genitori, raccontarono le loro avventure e svuotarono i sacchi
sul tavolo della cucina.
E non al centro della sala ma sul
tavolo della cucina, luogo dalla cui porta Pollicino sentì i suoi genitori
confabulare all’inizio dell’avventura, i nostri sette amici riportano i loro
tesori.
E l’orco?
“ A quello ci penso io” disse il
taglialegna. “Se fa l’atto di avvicinarsi, lo abbatto come un albero!”
Ma l’orco non si avvicinò mai
alla casa del taglialegna.
Aveva perso i suoi stivali! Dove
poteva andare, lento e pesante com’era? Camminare non gli piaceva e non
riusciva più a rincorrere i bambini.
Le sue malefatte erano ormai alla
fine.
Pollicino e la sua famiglia,
invece, conobbero giorni di grande felicità. Tutto il paese narrava le
avventure dei sette fratelli e persino il re andò a far loro visita.
Cosa volete che vi dica? Era un
re curioso e moriva dalla voglia di provare gli stivali delle sette leghe....
I
figli portano quindi ai genitori i loro tesori; riportano quelle risorse che a
loro mancavano per manifestare un sano investimento genitoriale su di loro.
L’orco invece, privo di quegli stivali che gli permettono di
trascendere l’umano rimane chiuso nella sua animalità e non può riuscire così a
rincorrere la ricchezza potenziale del fanciullo. La sua peculiarità
distruttiva, incapace di integrare le forze peggiori lo conduce alla fine delle
sue malefatte.
I sette fratelli adulti invece potranno portare la loro
famiglia nel mondo esterno, arricchendo la struttura sociale in cui sono
inseriti dei loro attributi e addirittura il re, portatore ufficiale della
corona, simbolo di integrazione tra le forze celesti e quelle terrene, andrà a
far loro visita.
Questa storia, che ricordiamo provvista di lieto fine,
sembra quindi incarnare molto bene simbolicamente il difficile e doloroso
percorso dell’individuazione. Grazie al reciproco dialogo di “opposti” vissuti
e sperimentati fin nella buia profondità delle loro fondamenta,
l’individuazione conduce infatti alla maturità; a quello stadio di crescita
grazie al quale siamo in grado di conoscere e quindi di vivere e amare vincendo
quella paura di perdersi che troppe volte limita le potenzialità dell’essere
umano e del medico stesso.
Bibliografia.
1)
Annick
de Souzenelle, Il simbolismo del
corpo umano,
Servitium ed., Bergamo, 1999, p.271.
2)
Rochat de la Vallée
E., Larre C. (a cura di), Suwen,
trad. it., Jaca Book, Milano, 1994, p.29.
3)
André Leroi-Gourhan, Meccanica vivente, ed. Jaca Book,
Milano, 1986
4)
Rochat de la Vallée
E., Larre C. (a cura di), Suwen,
trad. it., Jaca Book, Milano, 1994, p.60.
5)
Rochat de la Vallée
E., Larre C. (a cura di), Suwen,
trad. it., Jaca Book, Milano, 1994, p.61.
6)
Caprettini et al., Dizionario della fiaba, ed. Meltemi, Roma, 1998.
7)
Rochat de la Vallée
E., Larre C. (a cura di), Suwen,
trad. it., Jaca Book, Milano, 1994, p.37.
8)
Caprettini et al., Dizionario della fiaba, ed. Meltemi, Roma, 1998, p.53.
9)
Von Chamisso A., Storia
meravigliosa di Peter Schlemihl, Milano, Rizzoli, 1995, p.85.