Tiziano: Diana e Attenone 1558 (tela)

CRITERI GENERALI DI IMPOSTAZIONE DELLA STRATEGIA TERAPEUTICA

Dott.ssa Marialucia SEMIZZI

“Per trattare e curare le malattie si deve esplorare la loro origine (…) perché, sebbene possa essere di poco conto, una malattia può, nonostante tutto, diffondersi e sebbene possa essere grave, può, nonostante tutto, essere migliorata”

(So Wen Libro II, cap. 5)


Riassunto: In questo articolo si propone una possibile chiave di lettura dell’evoluzione di un evento morboso cronico attraverso la teoria dei sistemi complessi per tentare, comprendendo come si instaurino le malattie, di fornire le linee generali in base alle quali scegliere la strategia terapeutica migliore per ripristinare lo stato di salute nei singoli casi .

Parole chiave: Metodologia clinica. Complessità. Strategia terapeutica in generale.

Abstract: A possible key  to understand the development of chronic disease is given in the following article. By the the theory of complex systems it is possible to understand the way diseases develop and consequently provide a basis for choosing the best therapy to restore health in each single case.

Key-words: Clinical Methodology; Complexity, Therapeutic strategy.


Tiziano: Diana e Attenone 1558 (tela) - ParticolareLe medicine naturali sono ormai di moda e sono largamente richieste anche da parte dei pazienti che confidano in esse a causa della loro presunta assenza di effetti nocivi. Come medici però dovremmo non accontentarci del consenso dei pazienti, ma chiederci quale possa essere la base razionale di ciò che facciamo e il meccanismo d’azione dei rimedi che prescriviamo.

Recentemente la constatazione di quanto sia ormai diffuso il ricorso da parte della gente a “rimedi naturali” per i più svariati problemi di salute ha reso indispensabile confrontarsi con queste realtà e recensire le scuole e le fonti di sapere in questo campo da parte della Scienza biomedica moderna e degli Ordini professionali dei Medici in Italia e all’estero 1, 2, 3, 4. D’altra parte sta crescendo anche la consapevolezza che le terapie che il sapere medico “ufficiale” può consigliare sono spesso limitate e comunque non scevre da rischi (una delle principali cause di morte nei paesi industrializzati è quella iatrogena! 5, 6). Queste due sono le principali ragioni dell’interesse che le Medicine Complementari stanno suscitando a livello accademico e normativo: da un lato la volontà di disciplinare attività incontrollate e dall’altro la sana curiosità verso nuovi spunti terapeutici. Anche la recente revisione del Codice di Deontologia Medica (3 ottobre 1998) contempla questo fenomeno, concedendo facoltà al medico di ricorrere a presidi delle medicine complementari, pur fornendo indicazione dei limiti precisi in cui è lecito operare questa scelta (Titolo II, Capo IV, Articoli 12 e 13).

Vediamo dunque di soffermarci su questo nuovo ed eterogeneo panorama terapeutico.

Gli aspetti delle medicine complementari che stanno suscitando interesse nella Medicina ufficiale sono principalmente due:

1) l’aspetto economico (intorno alle cosiddette medicine naturali fiorisce un mercato estremamente redditizio ed in espansione)

2) il timore di omissione di cure efficaci nel caso si opti per il ricorso a medicine naturali.

Questi aspetti sono davvero importanti, tuttavia a mio avviso manca completamente l’attenzione all’aspetto della valutazione sia degli effetti terapeutici intrinseci ottenibili con gli approcci “alternativi” (è da dimostrare che si tratti solo di placebo!) sia delle possibili interazioni tra terapie convenzionali eventualmente in uso e terapie alternative eventualmente associate.

Ci sono vari elementi culturali ed errori di atteggiamento che ostacolano il confronto e quindi la possibile integrazione. Per esempio talvolta da parte di colleghi “alternativi” c’è espressione di pregiudizio nei confronti dei procedimenti terapeutici “convenzionali” e da parte di colleghi “convenzionali” c’è pregiudizio e acritica condanna di qualsiasi approccio non convenzionale. Il malinteso e il pregiudizio non hanno mai giovato alla verità e hanno sempre ostacolato il progresso della scienza. Pertanto il confronto onesto non può che giovare alla Medicina e aiutare chiunque lo voglia a “separare il grano dal loglio” come si dice.

Per quanto riguarda l’obiettivo della salute del paziente (che fino a prova contraria resta l’interesse primario della medicina) c’è grave rischio nella reciproca ignoranza dei vari approcci terapeutici (che nel caso dei medici rigidamente accademici è “ignoranza primaria” in quanto non conoscono affatto altri approcci, nel caso di medici “fanaticamente” alternativi si assiste spesso ad una sorta di “analfabetismo di ritorno” in quanto dal loro agire non sembrano affiorare conoscenze sulle potenzialità terapeutiche cosiddette “ufficiali” che pure a loro tempo devono aver studiato).

Forse può pertanto risultare di qualche utilità offrire alcuni spunti di riflessione, sebbene siano cose già a tutti note, proponendo una possibile chiave di lettura dell’evoluzione di un evento morboso e ripassando sinteticamente le tappe che portano all’impostazione della strategia terapeutica.

 

DALLA DIAGNOSI ALLA TERAPIA

Una volta terminata la fase di raccolta ed elaborazione dei dati (anamnesi, esame obiettivo, ausili diagnostici di vario genere) si perviene ad una diagnosi, o quantomeno ad un sospetto diagnostico. A questo punto si deve decidere quale strategia terapeutica adottare, cioè quale percorso proporre al paziente per fargli recuperare la salute. Non per caso è stato scelto il termine militare “strategia”, che richiama una logica precisa: conoscere il nemico, studiare le sue abitudini, esplorare il territorio in cui si muove, preparare un piano di attacco e pensare anche un piano di difesa se compaiono imprevisti, non farsi sorprendere per quanto possibile e sapere esattamente cosa si sta facendo e perché.

Per prima cosa è indispensabile avere uno scopo terapeutico, e dopo aver deciso il percorso terapeutico occorre valutare con quali mezzi effettuarlo.

Per impostare una buona terapia, conoscendo la diagnosi di malattia, è indispensabile:

1) conoscere la storia naturale della malattia, cioè sapere esattamente cosa succede o cosa potrebbe succedere se si decide di non curarla;

2) conoscere tutte le possibilità terapeutiche disponibili per quella malattia, dalle più semplici alle più complesse, conoscendo per ciascuna terapia: principio attivo, meccanismi d’azione, durata d’azione, efficacia, limiti, effetti collaterali, controindicazioni, interazioni con altre cure, facilità di “compliance”, costi, rapporto rischio/beneficio (rischio e benefi­cio collegati sia alla prescrizione che alla non prescrizione di quella cura).

3) valutare la fase di malattia in cui si trova il paziente nel momento in cui lo vogliamo cu­rare e sapere che fasi diverse della stessa malattia possono richiedere approcci terapeutici differenti, per cui il monitoraggio clinico significa anche apertura a revisione radicale dell’impostazione terapeutica. Il paziente deve essere fatto consapevole che adottare un tipo di terapia non vuol dire scartare definitivamente approcci diversi e che una stessa malattia può avere bisogno in certi momenti di prescrizioni farmacologiche più aggressive e in altri momenti di approcci più “soft” e che questo deve essere concordato in base all’andamento clinico e al risultato degli esami specifici di monitoraggio della malattia.

4) valutare le caratteristiche del paziente e scegliere, compatibilmente con la ipotetica o prevista efficacia delle varie opzioni terapeutiche, il tipo di cura più congeniale al soggetto specifico da trattare (per esempio alcuni preferiscono le iniezioni, altri le rifuggono, alcuni preferiscono terapie fisiche, altri dichiarano di non avere tempo per eseguirle, alcuni tendono a dimenticarsi di assumere i farmaci per cui è meglio scegliere somministrazioni diradate, altri sono rassicu­rati da assunzioni frequenti, alcuni desiderano frequenti contatti col medico, altri li temono, eccetera). Inoltre considerare la possibilità di prescrivere inizialmente, qualora il paziente rifiuti di accettare l’approccio terapeutico più idoneo (pur se informato adeguatamente sulla necessità ed efficacia dei farmaci occorrenti), un approccio meno efficace ma sicuramente accettabile per il paziente, naturalmente monitorando la risposta terapeutica per valutare se comunque si sta obiettivamente perseguendo lo scopo terapeutico (per fare un esempio: prescrizione di iperico e floriterapia di Bach per trattare sindromi depressive che richiederebbero farmaci psicoattivi rifiutati però decisamente dal paziente, oppure dieta e fitoterapia per curare un’ipertensione arteriosa che il paziente non curerebbe in nessun altro modo). Qualora in un periodo di tempo considerato sufficiente per avere risposta terapeutica non si ottenessero risultati, va fatto ulteriore e convincente tentativo di proporre la terapia farmacologica più idonea (l’esperienza comune dice che normalmente, di fronte al fallimento della terapia più gradita, il Paziente si convince di dovere assumere un farmaco più “potente” e lo accetta).

Da tutto questo si deduce che per impostare una buona terapia sono necessarie due qualità fondamentali: buona cultura medica e buona capacità di comunicare col paziente e di instau­rare un rapporto positivo con lui.

Prenderemo in considerazione la terapia così come può essere impostata secondo la logica della Medicina di Modulazione. Infatti le terapie comunemente considerate non convenzionali, e cioè agopuntura ed elettroagopuntura, omeopatia (unicista e altre scuole), terapia con oligoe­lementi, omotossicologia, floriterapia, terapie fisiche (mediante frequenze elettromagnetiche e bioelettroniche, terapie di biorisonanza fisica, ecc.) e di rieducazione comportamentale come il metodo Tomatis, Alexander, Fedelkreis, Meziéres eccetera si propongono come terapia di mo­dulazione, inducendo l’organismo ad attivare (o riattivare) tutti i meccanismi di riparazione del danno e di autoguarigione.

In un certo senso possono essere intese come una “rieducazione dell’organismo alla salute”.

Pur se sembra ovvio ribadirlo, si sottolinea che il trattamento omeopatico o “naturale” non può e non deve essere considerato alternativo rispetto alle terapie convenzionali (aut/aut), ma sempre complementare quand’anche utilizzato come unico trattamento terapeutico (vel/vel). Sembra una precisazione ovvia, ma l’esperienza comune dimostra che esistono ancora medici che pensano di curare il Lupus Eritematodes Sistemico o le leucemie soltanto con l’omeopatia e altre terapie di modulazione, senza considerare se l’organismo sia oppure no ancora “modulabile”.

CENNI SULLA COMPLESSITA’ COME CHIAVE DI LETTURA DELL’ETEREOGENEITA’ DI MANIFESTAZIONE DI UNA MALATTIA

Come possono funzionare i rimedi omeopatici, ad esempio, date le diluizioni? Oppure come possono degli aghi infitti nella pelle curare affezioni sistemiche? Quale percorso fanno per comunicare la loro informazione terapeutica al bersaglio? E’ davvero inconoscibile tutto questo? E sul versante diagnostico si può tentare di capire perché un paziente ammali proprio in quel modo e un altro no? A mio avviso nelle leggi della complessità e della biofisica possiamo cercare le risposte a queste domande. Infatti nello studio dei sistemi dinamici o complessi troviamo una eccellente base logica per spiegare i fenomeni variabili e imprevedibili che occorrono durante le malattie. Sono ormai numerosi i lavori scientifici e medici che si riferiscono a questa affascinante e unificante teoria per spiegare molti eventi fisiologici e patologici dell’organismo umano.

Cominciamo con la definizione di complessità (7,8,9). Diciamo subito cosa non è: non è sinonimo di complicatezza e non è impossibilità ad essere conosciuta.

La complessità è la caratteristica fondamentale dei sistemi viventi ed esprime in un certo senso la loro evoluzione nel tempo e nello spazio. I sistemi viventi possono essere concepiti come sistemi complessi perché in essi possiamo reperirne le caratteristiche fondamentali:

Queste caratteristiche come si vede sono dinamiche e per questo ho detto che la complessità può essere intesa come l’evoluzione dei sistemi viventi nel tempo e nello spazio; esse sono la conseguenza delle due peculiarità fondamentali dei sistemi complessi:

1) l’apertura

2) l’autorganizzazione

L’apertura fa sì che il sistema sia in continua relazione ed interscambio con l’esterno e con altri sistemi, dandogli la possibilità di acquistare continuamente nuova energia o di perderla.

L’autorganizzazione fa sì che i vari elementi del sistema stabiliscano tra loro relazioni stabili che conducono ad una forma ordinata e organizzata. Lo stato ordinato d’arrivo del sistema non è prestabilito; infatti come appena visto, una delle caratteristiche dei sistemi complessi è quella di permettere più di una configurazione per ogni livello di energia.

Pertanto il sistema complesso è molto duttile e modificabile e quindi è un sistema plastico, adattabile, ma è anche in un certo senso molto vulnerabile: qualsiasi perturbazione anche piccola ne alteri una variabile può indurre modificazioni di tutto il sistema 9.

Per permettere al sistema di mantenere la propria identità anche in seguito alle perturbazioni perciò è necessario che accanto all’apertura ci sia la capacità di autoregolazione, che avviene attraverso i sistemi omeostatici. Il mantenimento dell’omeostasi è il principale lavoro del nostro organismo e consiste in incessanti cicli di azioni e controreazioni nel tentativo di mantenere l’equilibrio o di produrre condizioni stabili che permettano il miglior uso possibile delle varie funzioni fisiologiche. Questi cicli incessanti di reazioni e controreazioni hanno una caratteristica: il punto di arrivo (risultato) di un ciclo è il punto di partenza del successivo 7, 8.

Il sistema omeostatico, quindi, è rappresentato da un anello di retroazione (feed-back), in cui l’informazione sul risultato di un ciclo di attività viene rimandata, riveduta e corretta all’ingresso del ciclo successivo. Esprime una tipica proprietà dei sistemi caotici: l’estrema sensibilità alle condizioni iniziali ed a piccole perturbazioni. Una piccola variazione si amplifica rapidamente a tal punto che dopo alcune iterazioni si perde completamente la periodicità precedente. Questo effetto è anche noto come “effetto farfalla” (butterfly effect), così denominato da E. Lorenz, che propose un sistema di equazioni per definire un modello dei moti convettivi dell’atmosfera: tale modello dimostra che l’evoluzione dell’atmosfera viene radicalmente modificata da un cambiamento anche minimo della turbolenza dell’aria, come potrebbe essere quello prodotto dal battito d’ali di una farfalla (a questo fenomeno si deve l’estrema imprecisione delle previsioni del tempo) 8, 9.

Abbiamo visto che il sistema, tra le molte configurazioni possibili ad un dato livello di energia ne sceglie alcune piuttosto che altre. Queste configurazioni stabili preferenziali che il sistema esprime (che possiamo intendere come la configurazione migliore a quel livello di energia) in matematica le chiamiamo attrattori. Un sistema complesso come l’organismo contempla molte variabili e molti elementi costitutivi e pertanto le regole omeostatiche che determinano il comportamento dell’organismo generano sicuramente degli attrattori 7,9.

Lo studio degli attrattori fornisce spunti molto interessanti per comprendere le possibili conseguenze di una perturbazione e le possibili evoluzioni dinamiche del sistema.

Il sistema si trova in una certa condizione, che è il risultato dell’interazione tra i suoi vari elementi costitutivi e la risultante dell’interazione delle sue variabili. Questo comportamento (o configurazione) lo chiamiamo attrattore del sistema perché è la configurazione in cui il sistema è stato “attratto” tra le tante configurazioni possibili a quel livello di energia. Se adesso proviamo a provocare una piccola e transitoria perturbazione noi possiamo osservare più comportamenti possibili 8,9:

- il sistema avverte la perturbazione e l’attrattore si modifica, ma dopo un po’ di tempo si vede che il sistema torna spontaneamente all’attrattore iniziale (cambio transitorio di attrattore);

- il sistema cambia bruscamente condizione e dopo varie oscillazioni si stabilisce in una condizione differente (cambio permanente di attrattore);

- il sistema non viene modificato dalla perturbazione (attrattore stabile) e ne serve la ripetizione per provocare un effetto.

Soffermiamo l’attenzione sull’adattamento patologico 8. Esso è una evoluzione in un certo senso intermedia tra guarigione e continuo peggioramento auto-indotto, rappresentando un nuovo equilibrio, diverso dalla salute ma stabile, adattato alle mutate circostanze. Ad esempio possiamo pensare all’ipertrofia cardiaca e alle modificazioni della funzionalità renale in corso di ipertensione, all’iperinsulinemia nell’obeso, all’ipercheratosi cutanea a seguito di continuo sfregamento, ecc... L’economia generale dell’organismo è profondamente alterata, ma il sistema “tollera” questa situazione abnorme senza reagire (equilibrio apparente e provvisorio in quanto destinato a rompersi nel tempo). L’adattamento patologico è pertanto una fase della risposta dell’organismo in cui si verifica un momento “decisionale” molto critico, che scatta quando i sistemi reattivi non riescono a fronteggiare adeguatamente la noxa ed a ripristinare rapidamente lo stato originario.

L’adattamento consente di “convivere” con la malattia, ma rappresenta, in un certo senso, una rinuncia alla guarigione completa. È chiaro che nella strategia terapeutica che tenda a portare l’organismo del paziente verso la guarigione devono essere cercati interventi tesi a rimuovere o “by-passare” i blocchi costituiti dall’adattamento. La malattia cronica non è quindi in assoluto ed inevitabilmente irreversibile, ma la reversibilità è sempre molto difficile in assenza di corretti rimedi che aiutino il sistema a cambiare struttura e comportamento.

Occorre sottolineare un aspetto importante riguardante gran parte dei segni e sintomi della malattia e delle altre manifestazioni rilevabili mediante indagini laboratoristiche e strumentali: derivano non tanto dal danno diretto dell’agente eziologico quanto dalle reazioni dell’organismo, sia di tipo attivo (fasi acute) che adattativo (fasi croniche). I sintomi sono espressioni della malattia, ma non sono la malattia.

Un insulto patogeno di modesta entità induce un piccolo stress che provoca una reazione. Tale reazione minore decorre acutamente nel giro di poche ore o pochi giorni, mobilitando il sistema di difesa in modo sub-clinico, nel senso che si svolge prevalentemente senza provocare una “malattia”. Fenomeni di questo genere avvengono continuamente anche negli individui “sani”, per il semplice fatto che chiunque è esposto a stress ambientali. Anche le oscillazioni spontanee, più o meno caotiche, dell’omeostasi interna rappresentano un piccolo stress biologico perché costringono in ogni caso a continui sforzi di adattamento e di compensazione. Va sottolineato un concetto importante: senza stress non si ha neppure vita e si è dimostrato in molti modelli sperimentali che animali tenuti in condizioni omeostatiche ambientali ed endogene molto stabili, risparmiando qualsiasi sforzo adattativo, risultano talmente fragili da soccombere per un qualsiasi stimolo 10.

In sintesi, quindi, partendo da un ideale stato di salute, si ha un primissimo stadio in cui un iniziale disordine, per lo più non apparente ad eccezione di sintomi molto sfumati o variazioni di parametri molto fini, rende l’organismo più suscettibile a perturbazioni indotte da agenti esterni. In seguito a stimolo patogeno adatto può a questo punto instaurarsi una malattia acuta. Se le “decisioni strategiche” dei sistemi omeostatici sono ottimali, la malattia “clinica” viene stroncata sul nascere e non si manifesta neppure, oppure viene facilmente superata.

Dove stanno le “decisioni” dei punti di biforcazione, sensibili quindi a piccoli ma determinanti fattori di regolazione? Esse risiedono fondamentalmente nella fase delle reazioni dei sistemi biologici omeostatici. Tali sistemi, soprattutto quello infiammatorio ed immunitario, ma anche i sistemi di detossificazione del fegato ed il sistema emostatico, e molti altri, hanno una “doppia faccia”, fanno guarire ma anche possono provocare danno 7,8,9.

Spostandoci a considerare una patologia cronica, bisogna precisare che non tutte le malattie croniche si manifestano inizialmente come malattie acute, ma spesso si manifestano con lunghe fasi di fluttuazioni omeostatiche a livello sub-clinico. Molte malattie genetiche sono prevalentemente di questo tipo.

La malattia cronica potrebbe essere vista come il risvolto negativo delle capacità di auto-organizzazione della materia vivente.  Il sistema si riorganizza in un “nuovo ordine”, con le sue regole, i suoi controlli multipli e incrociati, una sua relativa stabilità. Questo nuovo ordine non trova in sé stesso l’energia per un ritorno allo stato di salute originario ma, anzi, dopo una perturbazione tende a ritornare al comportamento patologico 7,9.

Rimuovere l’adattamento patologico in questa fase rimane comunque un obiettivo che il medico può prendere in seria considerazione, perché ciò consentirebbe all’organismo di ritornare allo stato di salute ideale.

 

Vediamo ora di richiamare un esempio clinico che ci aiuti a capire meglio questi concetti: l’infezione da Streptococco beta-emolitico. Come sappiamo il decorso di questa infezione può essere molto variabile: può trattarsi di una banale infezione (prevalentemente delle prime vie aeree, ma non solo) che guarisce in breve tempo senza lasciare reliquati oppure può essere la prima tappa di patologie più gravi come reumatismo articolare acuto, pancardite e valvulopatia mitralica, glomerulonefrite acuta detta appunto post-streptococcica, vasculiti e altri disordini da immunocomplessi, meningiti ed encefaliti, ascessi, eccetera. Da cosa dipende questa varietà di comportamento?

Dipende da molte variabili:

Prendiamo in considerazione il sistema costituito da ambiente - flora batterica - presenza di streptococco beta emolitico - suscettibilità dell’organismo ospite - variabili omeostatiche dell’ospite. Analizzando questo sistema complesso secondo le leggi della complessità e variando una variabile omeostatica in modo che si abbia interazione tra organismo e streptococco noi troveremo, pur senza conoscere nulla di microbiologia e di patologia medica, che devono essere possibili vari comportamenti del sistema in seguito all’interazione streptococco-organismo, e che questi comportamenti possono condurre più o meno lontano dall’equilibrio della salute ed in modo più o meno consistente, alterando una o più variabili del sistema. Riusciamo perciò, lavorando soltanto su un piano astratto, a comprendere che l’infezione da streptococco può dare problemi molto diversi e su più livelli omeostatici. E l’osservazione clinica conferma questo ragionamento.

Pertanto lo studio dei sistemi complessi ci risulta fondamentale per capire le dinamiche delle malattie e della guarigione.

Nota di terapia - Cosa fa “pendere la bilancia” verso l’azione finalisticamente positiva rispetto a quella non necessaria e francamente patologica? L’esito della reazione può dipendere da una informazione che sia significativa sul piano del coordinamento dei sistemi di reazione. Poiché un simile coordinamento è garantito dalle reti cibernetiche quali i sistemi nervoso ed emato-ormonale, ma anche da fini regolazioni di natura elettromagnetica e probabilmente da un sistema di regolazione che può essere assimilato ai meridiani descritti dall’antica tradizione cinese, ne deriva che una informazione, piccola ma ben indirizzata, che raggiunga e venga de-codificata da tali sistemi potrebbe essere utile nella “scelta” ottimale della reazione al danno 7,8,9. Ecco quindi nuovamente l’importanza di una disciplina, quale la biodinamica, che concentri la propria attenzione a tracciare quadri fisiopatologici più completi possibile (servendosi di tutti i mezzi utilizzati dalle varie tradizioni mediche) ed a cercare i più adatti rimedi a livello individuale in considerazione delle fasi della malattia e della situazione globale del paziente.

La guarigione può essere infatti provocata o favorita se noi riusciamo a provocare una pur piccola perturbazione che riporti il sistema (l’organismo) verso l’equilibrio di salute 8,9. La perturbazione non può essere una perturbazione qualsiasi, ma deve essere quella “giusta”, l’unica che riesca ad agire sul sistema riequilibrandolo. Questa perturbazione, la più piccola e la più specifica possibile, viene scelta tra le molte possibili in base alle condizioni del sistema in quel momento .

VALUTAZIONE DELLA FASE DI MALATTIA

Secondo quanto si è potuto finora studiare e valutare nella pratica, l’impostazione di una tera­pia di modulazione è delicata, potendo risultare persino nociva qualora sbagliata. Infatti si pensa consista in generale nel provocare una reazione dell’organismo con deboli stimoli fisici, frequenziali e magnetici, al fine di “manipolarlo” per ottenere la cancellazione di informazioni patogene e il ripristino di informazioni biologiche corrette. Occorre conoscere esattamente le informazioni patogene che si vogliono annullare e conoscere il momento opportuno per in­tervenire.

Infatti, come già si accennava, è fondamentale conoscere la fase in cui si trova la malattia nella quale interveniamo, essendoci fasi in cui lo stimolo terapeutico può essere efficacemente assimilato e utilizzato, fasi in cui lo stimolo terapeutico risulterà con molta probabilità inefficace e fasi nelle quali lo stimolo terapeutico somministrato può teoricamente determinare, anziché la guarigione, uno spostamento di livello di malattia (per cui magari scompaiono i sintomi che volevamo curare ma ne possono comparire altri prima non presenti e non sempre espressione di danno più benigno). Infatti proprio nelle fasi iniziali di malattia (fasi pre-cliniche o sub-cliniche) si situano quelle “biforcazioni” di comportamento che decidono della salute del resto della vita 8.

Va sottolineato come la presenza o meno di danno organico non sia valido criterio di scelta sull’approccio terapeutico più opportuno; infatti anche malattie croniche con evidente danno organico possono avvantaggiarsi di terapia di modulazione, nell’intento di spostare il livello di malattia a grado più lieve e meglio tollerabile, mentre all’opposto malattie croniche senza danno organico evidente possono richiedere aggressività nel trattamento per impedire evoluzione sfavorevole.

Qualora si tratti di malattie con danno organico recidivante (come ulcera peptica oppure cistiti o vaginiti ricorrenti) l’approccio con terapia di modulazione può essere talvolta da solo risolutivo per il problema.

In linea generale, il criterio di valutazione per decidere se prescrivere utilmente terapia di modulazione dovrebbe essere lo studio della fase di malattia e della suscettibilità dell’organismo a stimoli di modulazione (il che spesso non è facile da capire prima di aver tentato).

Nella maggior parte dei casi un disturbo cronico è preceduto molto tempo prima da “segnali di allarme” di fronte ai quali generalmente il paziente non prende alcun provvedimento.

Distinguiamo grossolanamente: una fase preclinica, una fase “borderline” e una fase clinica. Nelle affezioni croniche possono alternarsi fasi sintomatiche o cliniche, fasi asintomatiche o di remissione e fasi “borderline” o paucisintomatiche. Questa complessità e variabilità impedisce di fare qualsiasi generalizzazione sull’approccio terapeutico migliore.

Va sottolineato, pur se ovvio, che la stessa malattia può avere contemporaneamente compo­nenti diverse in fasi diverse che rispondono a diversi trattamenti. Per questa ragione consigli dietetici, sedute di agopuntura o la prescrizione di rimedi omeopatici possono trovare indica­zione anche in situazioni nelle quali si sa già che non saranno risolutivi, ma possono fungere da adiuvanti. Logicamente il paziente andrà reso consapevole della necessità di altri tratta­menti e della parzialità degli effetti ottenibili con trattamento di modulazione, per essere li­bero di scegliere se effettuare o no la cura.

Per prima cosa pertanto occorre decidere, in base alla diagnosi e analisi del caso, a quale delle seguenti tre categorie il paziente che si ha di fronte appartiene:

1) Quadro clinico di tipo “funzionale” (normalmente a prognosi talvolta grave quoad valetu­dinem, ma sempre favorevole quoad vitam) per il quale sono possibili vari approcci tera­peutici, ma non sono disponibili terapie convenzionali risolutive o sicuramente efficaci; possiamo pensare alle cefalee o all’emicrania essenziale, alla sindrome dispeptica o a quella del colon irritabile, alla discinesia biliare, alla dismenorrea o all’algomenorrea. In questo caso può essere prescritta terapia non convenzionale come unico approccio tera­peutico.

2) Quadro clinico configurante una malattia organica acuta o cronica per la quale è prevista terapia convenzionale efficace e necessaria e per la quale l’omissione di terapia convenzio­nale può far prevedere peggioramento irreversibile del paziente (prognosi quoad vitam o quoad valetudinem dipendenti dallo stadio di malattia, potenzialmente anche molto gravi o letali. Esempi: infezioni batteriche acute, nefropatie, cardiopatie, ipertensione arteriosa, di­slipidemia, diabete, connettivopatie, epilessie, neoplasie, asma bronchiale, malattie in­fiammatorie intestinali, glaucoma, eccetera). In questi casi deve sempre essere prescritta la terapia necessaria convenzionale, ma può essere presa in considerazione la terapia non convenzionale come adiuvante, con la prospettiva di ridurre (o sospendere gradualmente) i farmaci convenzionali in uso. Il trattamento non convenzionale eventualmente prescritto va all’inizio associato alla terapia convenzionale senza modificarla (cortisone compreso). Sa­ranno soltanto l’andamento clinico e il risultato delle analisi di follow-up a determinare la riduzione o sospensione di farmaci convenzionali.

Qualora il paziente giunga all’osservazione prima di aver iniziato terapie convenzionali, occorrerà particolare perizia per decidere, in base alla tranquillità o meno del quadro clinico, alla presenza o meno di fattori di rischio e in base allo studio della letteratura più recente sulle potenziali conseguenze di un ritardo di inizio di una cura con­venzionale efficace, se tentare prima un trattamento non convenzionale da solo, se intra­prendere in prima battuta solo terapia convenzionale e associare un trattamento non con­venzionale in un secondo tempo o se iniziare contemporaneamente un trattamento conven­zionale e uno non convenzionale. Vanno comunque programmati controlli clinici conven­zionali di follow-up.

Si ricorda inoltre che si può anche decidere di prescrivere trattamento non convenzionale non tanto per trattare la malattia di base (che può essere non più sensibile a modulazione), ma per rendere più tollerabile e meno tossica la terapia convenzionale necessaria. Naturalmente anche in tutti questi casi la terapia segue il consenso informato del paziente.

3) Quadro clinico configurante una malattia organica per la quale non esiste ancora tratta­mento efficace (nel senso di trattamento capace di promuovere la guarigione): virosi acute benigne, osteoartrosi, sclerosi multipla, neoplasia refrattaria a chemio e radioterapia, neurodermite, eczemi, intossicazioni chimiche, radioattive ed elettromagnetiche, anomalie del comportamento non configuranti psicosi sensibili a neurolettici, eccetera. In questo caso può essere proposto un tentativo terapeutico non convenzionale, come unica ipotesi terapeutica percorribile verso la guarigione, riservando a trattamenti convenzionali, spesso comunque necessari, un ruolo di tipo palliativo o soppressivo dei sintomi più indesiderati.

Un ultimo concetto va tenuto in considerazione: il malato, attraverso la terapia, riceve dei “messaggi” che inducono l’attivazione di complessi sistemi di regolazione e controregola­zione che aiuteranno l’organismo a reimboccare la strada di quell’equilibrio dinamico tra tutte le funzioni fisiche e psichiche che definisce lo stato di salute. Non è possibile decodificare troppi stimoli terapeutici contemporaneamente, per cui è necessario, oltre a stabilire il tipo di approccio terapeutico più adatto per quel malato in quel momento, stabilire anche una “gerarchia” di informazioni terapeutiche da somministrare e cercare di stabilirlo con una lo­gica: “adesso questo, dopo quest’altro infine si cercherà di sbloccare quel meccanismo là”.

In linea generale, poiché l’organismo decodifica meglio poche informazioni che molte in­formazioni, occorrerà fornire ogni volta il minimo numero di informazioni terapeutiche sufficiente, senza fretta di conseguire risultati eclatanti, ma sapendo cosa si vuole ottenere.

Una volta valutate queste cose, si potrà impostare la terapia “secondo scienza e coscienza”.

Riepilogo:

  1. Le terapie non convenzionali vengono interpretate come terapie di modulazione. Sono state considerate Omeopatia, Omotossicologia, Terapie bioelettroniche e Cromoterapia, Floritera­pia e Aromaterapia, Agopuntura e Medicina Tradizionale Cinese, Medicina Maharishi Ayurvedica, Terapia nutrizionale, Terapie riflessologiche e di Rieducazione posturale.
  2. Occorre valutare se l’organismo si trova in quel momento in grado di decodificare uno stimolo terapeutico di modulazione e di utilizzarlo per guarire
  3. Poiché l’organismo decodifica ed assimila meglio pochi stimoli che molti stimoli, occorrerà fornire all’organismo il numero di stimoli minimo efficace.

 

Bibliografia

  1. Ordine dei Medici e Chirurghi di Roma, marzo 1998: documento di delibera sulle medicine non convenzionali del 4 marzo 1998.
  2. FNOMCeO, comunicazione n° 56 del 12/4/1999: documento del 26 marzo 1999 sulle partiche cosiddette alternative.
  3. Eisenberg D: Unconventional medecine in the United States. The New Engl. Journ. of Med.; jan, 28, 1993
  4. Eisenberg DM et al: Trends in alternative medecine use in the United States, 1990-97. JAMA, 11 nov. 1998
  5. Bonn D: Adverse drug reactions remain a major cause of death. The Lancet; 1998; 351: 1183
  6. Philips DP: Increase in US medication-error deaths between 1983 and 1993. The Lancet; 1998; 351: 643-644
  7. Bellavite P.; Andrighetto G.; Zatti M.: Omeostasi, complessità e Caos. pp 103. FrancoAngeli, Milano, 1995
  8. Bellavite P: Biodinamica. Basi fisiopatologiche e tracce di metodo per una Medicina Integrata. pp 363. Tecniche Nuove Editrice. Milano, 1998
  9. Bellavite P; Semizzi M; Lussignoli S; Andrioli G; Bartocci U: A computer model of “five elements” theory of Chinese medicine. Compl. Ther. in Med.; 1998: 6: 133-140
  10. Pancheri P: Lo stress. In: Trattato di medicina psicosomatica. USES, Firenze, 1984, pp 151-175
  11. Semizzi M: Medicina Complementare e impostazione della strategia terapeutica. Verona Medica; 1999; 4: 31-34
  12. Comitato scientifico Exokos. Criteri generali di terapia. Dispense del I° Corso di formazione in medicina funzionale, 1999 (policopie)