Associazione Medica per lo Studio dell’Agopuntura
Presidente: C. Di Stanislao
Associazione Italiana di Fitoterapia e Fitofarmacologia
Presidente: O. Iommelli
Università Magna Graecia di Catanzaro
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Insegnamento di Terapia Alternativa
Incaricato: C. Di Stanislao
Reazioni avverse ad erbe cinesi: riflessioni dalla letteratura.
Carlo Di Stanislao
“Chiamiamo caso tutto ciò che è incomprensibile
in base a ciò che conosciamo.”J.L. Borges
“I medici senza clienti si chiamano scienziati”
Pitigrilli
“ I medici che terminarono la loro istruzione formale un quarto di secolo fa
e che non hanno costantemente partecipato ad attività educazionali
di aggiornamento sono un peso morto per la professione
ed una potenziale minaccia per il malato”.G.Pickering
“Non è importante il viaggio ma la nostra capacità di cambiare punto di vista”
H. Miller
“Non si può essere sicuri del successo di una cura
finché si sia ancora incerti sulla natura del male”.P.M. Latham
Riassunto: Attraverso l’analisi di alcune segnalazioni di reazione avverse a piante medicinali cinesi dalla letteratura più recente, gli AA. riflettono sull’importanza di un corretto approccio scientifico e farmacologico (oltre che tradizionale) alla medicina erboristica cinese.
Parole chiave: erboristeria cinese, reazioni avverse, precauzioni.
Summary: Through the analysis of some adverse signallings of side effects to Chinese medicinal plants from the more recent literature, the .AA it reflects on the importance of a corrected scientific and pharmacologycal approach (beyond that traditional) with the Chinese herbal medicine.:
Key words: Chinese herbal medicine, adverse reactions, precautions.
Nonostante un vivace e significativo incremento del mercato relativo all’impiego, fra gli “integratori dietetici” ed i “prodotti botanici”, di molte piante e formule tradizionali, sia negli USA che in Europa (Fisher et al., 1994, Lindle, 2001) si guarda ancora con molto sospetto e riserve all’impiego pratico dei derivati fitoterapici proposti dalla Medicina Tradizionale Cinese (MTC) (Upton, 1999, Gatto et al., 2000, Lindle et al., 2001). L’OMS ha raccomandato l’impiego di vari prodotti erboristici cinesi in corso di numerose affezioni di difficile gestione farmacologica (Dichroa ed Artemisia annua nel paludismo, ad esempio) (OMS et al., 1993), ma nonostante le ricerche cliniche e di laboratorio, sono ancora molte le resistenze da parte del mondo accademico (Bianchi 1999, Gatto et al., 2000.). Molte resistente derivano, in generale, dall’inapplicazione degli standard di controllo della purezza dei principi, le modalità di raccolta, stoccaggio e preparazione, gli esami microbiologici e tossicologi (Gatto et al., 1994, Fisher et al., 1994, Gatto et al., 2000). Anche il gran numero di reazioni avverse segnalate in letteratura ha prodotto un certo sospetto ed alimentato non pochi dubbi (Lazarou et al., 1998, Mc.Intrye, 1998, Lindle 2001).
Attraverso un esame attento dei dati internazionali un anno fa alcuni esperti italiani (Gatto et al., 2000) concludevano nel modo seguente e sottolineando i seguenti punti:
L’uso corretto delle droghe tradizionali mette al riparo da vari effetti collaterali.
L’efficacia (o la tossicità) d’ogni terapia si fonda sul dosaggio e sulle modalità di somministrazione.
La farmacoterapia cinese è atto medico che prevede una perfetta padronanza non solo tradizionale (natura, sapore, meridiano destinatario), ma farmacologica dei rimedi somministrati (principi attivi, assorbimento, biodisponibilità, interazioni, farmacocinetica, ecc.).
Se l’uso tradizionale indica sostanze dotate di gran tossicità, occorre sostituirle con analoghi meno tossici.
In effetti, sebbene si segnalino molte reazioni indesiderate (anche gravi e mortali) da contaminanti e pesticidi (Kakuk, 2000, Lee, 2000), in un gran numero di casi è l’uso non corretto di principi farmacologicamente attivi a rendere ragione degli effetti avversi registrati (Bensoussan, 2000, Mc.Intrye, 1998).Questo, naturalmente, non riguarda la sola erboristeria cinese ma tutta la fitoterapia più in generale, presa spesso per “innocua”, “dolce” e “maneggevole”, dimostrando così incompetenza e superficialità (Eskinazi, 1999, Buchanan et al., 2000, Formenti, 2000).
Oltre alle 18 incompatibilità (Shi Ba Fan) ed alle 19 controindicazioni (Shi Jiu Wei) descritte nei classici (Roi, 1955), occorre tenere conto delle reazioni che derivano da particolari combinazioni di piante fra loro (assorbimento, diffusione, distribuzione ed eliminazione) o di piante con farmici chimici. Si ritiene che più della metà delle reazioni tossiche da erbe cinesi (Chen, 1998) si debba alla non attenzione a tale principio di interazione farmacocinetica. Così, tanto per fare alcuni esempi, si dimentica che i procinetici e gli antiacidi riducono l’assorbimento di piante medicinali e che molte di esse, interagendo sui carrier proteici plasmatici, aumento l’indice farmacologico di antibiotici, barbiturici, dicumaroli e vitamine. (Chen, 1998). Scopo di questa ricerca è segnalare, dalla letteratura recente, una serie di gravi reazioni avverse ad alcuni principi erboristici della MTC, mettendo in evidenza l’importanza della perfetta conoscenza di principi attivi, meccanismo d’azione ed interazioni farmacologiche (Buchanan et al., 2000). Molte reazioni indesiderate in corso di interventi chirurgici con anestesia generale (sanguinamenti intra e post-operatori, crisi ipoglicemiche, lento recupero dello stato di coscienza, tachiaritmie, ecc.) si debbono a vari fitoprincipi e, fra le erbe cinesi, soprattutto all’uso non indagato di Efedra e Ginseng (Ang-Lee et al., 2001). Una condizione molto allarmante ed in continua crescita riguada le forme anafillatiche in atopici a causa di formule erboristiche autoassunte senza controllo medico. Molte piante cinesi, infatti, sono potenzialmente istaminoliberatrici e possono indurre reazione gravi IgE-mediate con forme cardiorespiratorie molto importanti (Fieri, 2001).
Comunque, per limitare il campo, esamineremo di seguito le reazioni avverse ad Aristolochia, Efedra, Gingko, Salvia milthiorrhiza e Ginseng che, nei mercati europei ed americani, sono principi largamente diffusi. Infine riferiremo di un caso recente di grave trombocitopenia da prodotto tradizionale cino-giapponese ipoglicemizzante definito Jui.
Aristolochia (Aristolochia cinese o Aristolochia Fung Chi Wu, Guang Fan Ji)
Il rimedio si considera analogo e intersostituibile con la Stephania tetranda (Fen Feng Ji o Han Fang Ji) ed il Cocculus tribolus (Mu Fang Ji).Si usa per sedare la tossa, svolgere effetto diuretico e combattere i dolori reumatici (in combinazione con semen Coicis, Talcum e Bombyx mori, nel decotto classico Xuan Bi Tang). La dose che si raccomanda è di 6-12 grammi al giorno in taglio tisana (Roi, 1955, Guillaume et al., 1987, Morandotti et al., 1996). Un’altra formula molto impiegata nei gravi vuoti di Energia è Huang Qi Tang, in cui il rimedio si combina con Astragalus membranaceus ed Atractylodes macrocephala (Auteroche et al., 1992). In varie combinazioni è usato anche per lenire gonfiore e dolore in corso di crisi emorroidali acute (Di Stanislao et al., 2001). Contiene un alcaloide tossico denominato aristolochina, che si presenta sotto forma di cristalli aghiformi, di colore dal bianco al giallo e molto idrosolubili. Questo alcaloide, a dosi elevate, risulta cardiotossico negli animali da esperimento (Tang et al., 1992, Eskinazi, 1999). Si ritiene, di solito, che rizomi e radici siano meno tossiche (Roi, 1955, Massarani, 1981), ma le ricerche scientifiche e sperimentali dimostrano che anche tali parti sono dotate, ad elevato dosaggio, di potenzialità lesiva cardio-renale. Di solito le foglie hanno azione balsamica e le parti del fusto e delle radici efficacia antipiretica, uricosurica, diuretica e febbrifuga (Massarani, 1981). Nella letteratura recente sono segnalati molti casi di nefrotossità anche grave e a volte fatale (Eskinazi, 1999). Il trattamento dei casi di nefrotossità da Aristolochia manshuriensinsis Kom prevede l’eliminazione del principio, una terapia idratante con diuretici e “plasmaexpander”, la correzione degli squilibri elettrolitici e l’impiego a dosi generose di corticosteroidi (Vanherweghen et al., 1996). Esistono sia condizioni acute che conducono a grave insufficienza renale necessitante di trattamento dialitico e spesso accompagnate da emottisi (Yu et al., 1998), sia forme croniche con fibrosi che, sovente, determinano coinvolgimento intestinale (Vanherweghen , 1996,Qiu et al., 1999). Di recente (Wang et al., 2001) sono stati descritti tre casi di grave insufficienza renale in neonati con ittero trattati, in Cina, con una formula tradizionale così composta: Aristolochia g 6, Milax glabra g 6, Artemisia scopariae g 10, Euphorbia helioscopia g 6. In tutti i casi l’interessamento renale è stato preceduto da nausea, vomito, diarrea ed ipereccitabilità. Gli studiosi cinesi hanno commentato queste recenti osservazione, risoltisi sempre con persistente difetto della funzione renale, considerando che l’impiego di Aristolochia in età pediatrica è molto pericoloso e pertanto dovrebbe essere vietato (Wang et al., 2001).
Va inoltre segnalato l’effetto mutageno in vitro dell’acido aristolochico, effetto che sembra collegato ad una anomalia nella via metabolica delle postaglandine. Si è recentemente dimostrato in vitro che l’acido lipoico riduce questo grave evento legato ad estratti di Aristolochia (Stibovara et al., 2001). Vi sono, inoltre, varie segnalazione sull’azione carcinogenetica di Fanji a livello uroteliale. Recentemente su New England Journal of Medicine è stato pubblicato un articolo che mette in relazione l'uso di un'erba cinese l'"Aristolochia fangchi" con l'insorgenza di cancro uroteliale in un gruppo di pazienti belgi (Nortier et al., 2000) . L'articolo non è che l'ultimo capitolo di una storia iniziata nei primissimi anni 90, quando per circa 2 anni in una clinica in Belgio venne somministrato a donne a scopo dimagrante, un trattamento costituito da 2 erbe cinesi, anoressizanti (fenfluramina e dipropione) e in qualche caso da cascara, belladonna e acetazolamide. A partire dal 1993, in dozzine di queste donne si è sviluppata una forma rapidamente progressiva di insufficienza renale (Depierreux et al., 1994).Il nesso causale tra la nefrotossicità e le piante usate fu presto ipotizzato, poichè la clinica, che in passato non aveva avuto problemi di questo genere, aveva da poco modificato il regime terapeutico dimagrante inserendo le erbe cinesi. I prodotti erboristici che avrebbero dovuto contenere estratti delle piante Stefania tetrandra e Magnolia officinalis, contenevano invece acido aristolocico, pirncipio attivo dell'Aristolochia fangchi, una pianta notoriamente nefrotossica. Attualmente sono stati identificati in Belgio più di 100 pazienti che, sottoposti a trattamento dimagrante contenente aristolochia, hanno sviluppato questo particolare tipo di nefropatia. Di questi, il 70% è stato costretto a richiedere un trapianto o a sottoporsi a dialisi.
La presenza dell'Aristolochia non era un fatto nuovo, poiché spesso era stata usata nelle preparazioni al posto della Stefania. I nomi in cinese sono simili e possono essere confusi inducendo in errore. A complicare ulteriormente le cose c'è il fatto che un gruppo di piante tra loro intercambiabili sono spesso denominate collettivamente con il nome "mu tong" (Further ban to protect public from aristolochia, 2000). Infine, la mancanza di controlli della qualità di questi prodotti fa sì che spesso il contenuto reale di prodotti erboristici e integratori dietetici non sia corrispondente a quello dichiarato.
Dell'acido aristolocico non è nota solo la nefrotossicità, ma è stata dimostrata la sua capacità di causare la formazione di cancro negli animali da laboratorio (Mengs, 1988). Un caso di carcinoma della vescica nella donna era già stato riportato in Belgio nel 1994. Più recentemente, sempre in Belgio, è stato dimostrato, attraverso controlli effettuati sulle donne che avevano sviluppato nefropatia, che le stesse risultano essere a rischio per l'insorgenza di cancro. Più esattamente è stato osservato come sia prevalente la comparsa di carcinoma uroteliale nelle pazienti con nefropatia da Aristolochia.
L'associazione tra aristolochia e carcinoma uroteliale è la più tragica manifestazione di tossicità da piante usate a scopo medicinale. Essa è stata recentemente ripresa da un editoriale pubblicato sempre sul New England Journal of Medicine (Kessler, 200). Tale editoriale auspica che eventi come questo servano a promuovere iniziative legislative tese ad assicurare la sicurezza e l'efficacia di sostanze che introdotte come integratori dietetici (o alimentari) possono risultare pericolosi per la popolazione.
Efedra (Ephedrae sinicae herba, Mahuang)
Il principio attivo più interessante è l’efedrina, un alcaloide presente nelle foglie e nella corteccia in concentrazioni medie dell’1% e con quantità variabili di isomeri (Massarani, 1981). Agisce come vasocostrittore simpaticotonico, rilascia la muscolatura liscia bronchiale, riduce la congestione delle mucose delle vie respiratorie (Massarani, 1981, Buchanan et al., 2000). Sia nella tradizione che secondo la ricerca scientifica moderna è un efficace rimedio in corso di rinopatia vasomotoria ed asma bronchiale (Sampson et al., 1999). Tuttavia aumenta l’eccitabilità e la frequenza di contrazione miocardica e determina stimolazione corticale ed ipereccitabilità nervosa (Iommelli et al., in press). Fra il 1997 ed il 1999 sono state segnalate all’FDA ben 140 reazioni avverse per l’impiego di questa droga tradizionale (Haller et al., 2000). I 140 casi presi in considerazione sono stati così elaborati:
43 (31%) sicuramente o probabilmente correlati
44 (31%) possibilmente correlati
24 (17%) non correlabili
Per 29 casi (21%) le informazioni disponibili erano insufficienti per stabilire un nesso di causalità. Circa la tipologia dell’evento avverso si sono registrate:
Apparato cardiovascolare: 47% (l'ipertensione è stata la reazione avversa più frequente, seguita dalle palpitazioni, tachicardia o entrambe contemporaneamente).
Sistema nervoso centrale: 18% (ictus e crisi convulsive come reazioni più frequenti)
L’esito dell’evento (fra parentesi la percentuale) è stato:
Esito
ADR certe o probabili (n.43)
ADR possibili (n. 44)
Totali (n.87)
Morte
3 (7)
7 (169)
10 (11)
Invalidità permanente
7 (16)
6 (14)
13 (15)
Trattamento medico in corso
4 (9)
4 (9)
8 (9)
Guarigione completa
29 (67)
13 (30)
42 (48)
Esito ignoto
0
14 (32)
14 (16)
Fra i deceduti vengono considerati anche un neonato ed un nato morto (feto).
Nove casi si sono verificati in persone che assumevano dosi di alcaloidi dell'efedra relativamente basse (da 12 a 36 mg/die) e che non presentavano importanti fattori di rischio. In molti altri casi vi erano errori o superficialità di prescrizione relativamente al dosaggio, alle associazioni farmacologiche o alle condizioni cliniche generali del paziente.
La Federal Drugs Administration ha promulgato, in conclusione, alcune importanti note (F.D.A., 2000).
L'efedrina e gli alcaloidi correlati sono stati associati ad eventi avversi cardiovascolari, quali infarto acuto del miocardio, ipertensione severa, miocardite da vasocostrizione e aritmie cardiache letali, riduzione del periodo refrattario. Essa inoltre può predisporre i pazienti sia ad una emorragia che ad una ischemia cerebrale. L'emorragia subaracnoidea sarebbe il risultato o dell'effetto ipertensivo dell'efedrina, che può essere di breve durata, o di una vasculite cerebrale, che è stata descritta come associata a numerosi simpaticomimetici. L'ictus trombotico è presumibilmente correlato alla vasocostrizione delle grandi arterie cerebrali, che determina trombosi locali come risultato della stasi e dell'attivazione piastrinica indotta dai simpaticomimetici.
La caffeina è presente in numerosi prodotti a base di alcaloidi dell'efedra, e coloro che assumono tali prodotti potrebbero anche assumere contemporaneamente considerevoli quantità di caffeina dal caffè, tè o soft drinks. La caffeina è in grado di potenziare gli effetti cardiovascolari e sul sistema nervoso centrale dell'efedrina. La caffeina determina il restringimento dei vasi sanguigni antagonizzando competitivamente i recettori dell'adenosina che provoca vasodilatazione. In tal modo essa aumenta la pressione arteriosa. Essa inoltre stimola il rilascio di catacolamine. Quest'utlimo effetto, combinato con quello causato dall'efedrina, potrebbe portare ad una aumentata stimolazione del sistema nervoso centrale e cardiovascolare.
La fenilpropanolamina (altro alcaloide dell'efedra) era venduto assieme alla caffeina in vari prodotti per dimagrire fino al 1983, quando tale combinazione venne messa al bando dalla FDA dopo numerose segnalazioni di eventi avversi. Diversi studi hanno dimostrato che la caffeina e la fenilpropanolamina hanno un effetto additivo sulla pressione sanguigna.
Le interazioni tra la fenilpropanolamina e la caffeina avvalorano l'ipotesi che l'associazione, in un integratore dietetico, di efedrina e caffeina potrebbe aumentare il rischio di reazioni avverse.
La quantità di efedrina all'interno degli integratori dietetici, come riportato sull'etichetta, è in genere di circa 20 mg per dose, e la quantità abituale assunta è di due tre dosi al giorno. Questi prodotti potrebbero contenere quantità maggiori o minori di alcaloidi dell'efedra rispetto a quelle indicate sull'etichetta. Ad esempio, 11 dei 20 integratori testati da Gurley et al. o non indicavano in etichetta il contenuto in alcaloidi o avevano una differenza di più del 20% tra il quantitativo di alcaloidi indicato in etichetta e l'effettiva quantità presente.La dose di efedrina (20 mg) associata ad un evento avverso risultava spesso inferiore a quella indicata per la broncodilatazione (25-50 mg), dosi quest'ultime che, negli studi sperimentali, hanno influenzato solo moderatamente il lavoro cardiaco e la pressione sanguigna. La discrepanza tra questi dati e le segnalazioni sopra riportate di gravi reazioni avverse, associate all'uso di integratori dietetici contenenti alcaloidi dell'efedra, potrebbe essere dovuta alla suscettibilità individuale, all'effetto additivo stimolante della caffeina, alla variabilità di contenuto dei composti farmacologicamente attivi o a patologie preesistenti.
Altre segnalazioni di reazioni avverse da integratori contenenti alcaloidi dell'efedra, anche fatali o causanti invalidità permanente, sono comparse in letteratura recente (Haller., 2000). E' noto che l'underreporting è una caratteristica della segnalazione spontanea. Inoltre, una ulteriore limitazione al loro utilizzo come indicatori della sicurezza, è che si ignora il numero di persone esposte (Eskinazi, 1999). Le aziende produttrici di integratori dietetici contenenti alcaloidi dell'efedra hanno riferito di aver venduto 3 miliardi di dosi nel 1999 (Haller, 2000). Il numero di dosi effettivamente consumate è difficile da determinare. Assumendo che i prodotti siano stati consumati alle dosi consigliate (tre dosi al giorno per 12 settimane) circa 12 milioni di persone hanno assunto questi integratori nel 1999. Conseguentemente, la frequenza di reazioni avverse gravi, associate all'impiego di integratori contenenti alcaloidi dell'efedra, non può essere determinata con precisione usando i sistemi di segnalazione attualmente disponibili (Haller, 2000).
Tuttavia, a causa della gravità delle reazioni avverse riportate, e in particolare di eventi che hanno causato disabilità permanente o morte, è possibile concludere che gli integratori dietetici contenenti alcaloidi dell'efedra pongono a serio rischio la salute di coloro che li utilizzano e vanno prescritto dopo accurata ed attenta valutazione medica (F.D.A., 2000, Haller et al., 2000). L’assunzione di Efedra può creare, inoltre, problemi perioperatori. Nella sottostante tabella questi vengono riassunti (Kay, 2000):
Effetti farmacologici
Problemi perioperatori
Raccomandazioni
Aumento di frequenza cardiaca e pressione arteriosa attraverso effetti simpaticomimetici diretti e indiretti
1. rischio di ischemia miocardica e stroke da tachicardia ed ipertensione;
2. aritmia ventricolare con alotano;
3. l'uso prolungato riduce le catecolamine endogene e può causare instabilità emodinamica intraoperatoria;
4. interazione pericolosa per la vita con inibitori delle MAO
Nessun dato sulla necessità o meno di sospensione dell'erba medicinale
Salvia cinese (Salvia methiorrhiza, Danshen)
Il danshen (Salvia milthiorrhiza) è un'erba cinese comunemente utilizzata per il trattamento di patologie cardiovascolari e cerebrovascolari (Mashour et al., 1998, Gong et al., 1999). Nella medicina tradizionale cinese, si ritiene che il danshen riduca la stasi ematica e favorisca il flusso sanguigno, stimoli il sanguinamento mestruale, diminuisca il dolore e l'infiammazione e riduca lo stress (Tang et al., 1992, Tu, 1992). Esso è utilizzato nel trattamento dei disturbi mestruali, angina pectoris e altre patologie del sistema circolatorio, artrite ed insonnia.
E' stato dimostrato che sia il danshen che i suoi componenti attivi (tanshiononi) (Lei et al., 1986) causano vasodilatazione delle arterie coronarie nei ratti e nei conigli.
Risultati di studi in vitro (Yang et al., 1993) hanno suggerito che il danshen può ridurre la viscosità ematica e che i suoi componenti idrosolubili (ac. salvianolico A, ac. salvianolico B, acido rosmarinico) hanno notevoli effetti antiossidativi in vitro (Huang et al., 1992) e che la riduzione dell'aterosclerosi che esso opera dipende non solo dal suo effetto ipocolesterolemizzante, ma soprattutto dal suo potenziale effetto antiossidante.
Studi in vitro hanno dimostrato che il danshen ha effetti anticoagulanti (Wu et al., 1998), ma che gli effetti variano notevolmente a secondo della specie e del luogo di origine.
Dal danshen sono stati isolati anche potenti inibitori dell'aggregazione piastrinica (Shi et al., 1986) Nei ratti, è stato dimostrato che una componente idrosolubile del danshen (acido rosmarinico) ha una moderata azione antitrombotica, che è stata attribuita all'inibizione dell'aggregazione piastrinica e alla promozione dell'attività fibrinolitica. Gli acidi grassi isolati dal danshen (acidi linolenico, linoleico ed oleico) possono legarsi al fattore VIIa e conseguentemente prevenire il legame del fattore tissutale solubile al fattore VIIa.
E' stato descritto che in pazienti con cuore polmonare il danshen ha attività simile all'antitrombina-III (Yu et al., 1994) e per questo aumenta l'azione anticoagulante dell'eparina (Zhou et al., 1993). In pazienti con coronaropatia, è stato dimostrato che il danshen ha effetti antiossidanti e può inibire l'aggregazione piastrinica, ridurre la viscosità ematica e migliorare l'ischemia miocardica (Izzat, 1998).Le reazioni avverse riguardano principalmente l’emorraggia in corso di associazione con warfarin. Alcune forme di sanguinameno sono risultate gravi e molto difficili da trattare (Tam et al., 1995; Yu et al., 1997).
Di recente sono stati descritti i casi di 3 pazienti che da lungo tempo erano in terapia con warfarina e che furono ricoverati in ospedale con complicazioni emorragiche e aumentato INR dopo assunzione di danshen. In tali pazienti non è stato possibile conoscere la dose del danshen presente nel decotto impiegato (Chang, 2001).
Il primo caso è rappresentato da un uomo di 66 anni, affetto da fibrillazione atriale, stenosi reumatica della valvola mitrale ed embolia cerebrale, che presentò melena per due giorni. Il paziente aveva assunto warfarina (2 - 2.5 mg/die) negli ultimi 14 mesi, con un INR di circa 2.0. Inoltre assumeva cronicamente digossina (250 µg/die) e propranololo (5 mg BID). Il paziente sviluppò dolore toracico aspecifico dal lato sinistro che, per nove giorni prima del ricovero, automedicò con 2-3 applicazioni topiche di un olio a base metil-salicilato al 15%. Inoltre bevve un decotto a base di danshen 3-5 giorni prima del ricovero. L'INR al momento del ricovero risultò > 5.5 e la concentrazione di emoglobina pari a 7.6 g/dL. I test di funzionalità epatica risultarono nella norma, eccetto una riduzione della concentrazione plasmatica dell'albumina (2.5 g/dL). La concentrazione plasmatica di salicilato 9 ore dopo il ricovero risultò inferiore ai limiti di rilevazione (0.3 mmol/L). Fu sospesa la warfarina e furono somministrate 12 unità di plasma fresco refrigerato per due giorni prima che l'INR si normalizzasse (2.0-2.5), nello stesso periodo furono inoltre trasfuse 7 unità di eritrociti. La gastroscopia e l'esame istologico confermarono la presenza di carcinoma gastrico. In questo paziente, l'assenza di altri fattori precipitanti e la correlazione temporale fra la somministrazione dell'olio e del danshen, l'esordio del sanguinamento dal carcinoma gastrico e l'associato aumento dell'INR hanno suggerito un'interazione fra questi due agenti e la warfarina.
Il secondo caso è relativo ad una donna di 48 anni che stava assumendo warfarina per fibrillazione atriale e stenosi mitralica reumatica. Nei primi due mesi dopo la valvuloplastica mitralica transvenosa percutanea, l'INR variava fra 1.5 e 3.0 e la dose di warfarina era 2.5-3.5 mg/die. La paziente inoltre assumeva furosemide (20 mg/die) e digossina (125 µg/die). Durante il terzo mese, l'INR era 1.4 e la dose di warfarina fu successivamente aumentata a 4 mg/die. Tre settimane dopo, la paziente iniziò ad assumere quotidianamente danshen ed altre erbe per circa un mese a causa di sintomi persistenti di malessere, cefalea e febbricola. Quattro settimane dopo il ricovero, la paziente ricevette acido mefenamico (250 mg tre volte al dì) e teofillina (200 mg BID per due giorni). Successivamente la donna manifestò aumento del malessere, febbre, ridotta tolleranza all'esercizio e dispnea. Inoltre era pallida e sviluppò un episodio di fibrillazione atriale. La pressione della vena giugulare era elevata, ma non era presenta edema delle caviglie. L'INR era > 5.5, l'emoglobina 5.3 g/dL e la saturazione plasmatica di ferro era 10%. Una radiografia toracica evidenziò cardiomegalia con consolidazione nella zona inferiore destra. L'anemia fu attribuita a sanguinamento gastrointestinale occulto. La warfarina fu sospesa e furono somministrati plasma fresco refrigerato e cefuroxima. L'alterazione della coagulazione persistette per più di 5 giorni. Quattro mesi dopo, l'emoglobina era normale e l'INR si stabilizzò a 2.5 con una dose di warfarina di 3 mg/die. Il danshen venne identificato come unico possibile fattore causale dell'effetto anticoagulante esagerato e delle complicazioni emorragiche in tale paziente. Sebbene anche i FANS possano interagire con la warfarina, l'acido mefenamico fu assunto solo per due giorni e l'INR rimase elevato fino a quattro settimane dopo, quando la donna si presentò in ospedale.
Il terzo caso fa riferimento ad un uomo di 62 anni con fibrillazione atriale e stenosi mitralica reumatica cui era stata sostituita la valvola cardiaca. A seguito di ciò era in terapia con warfarina (5 mg/die) e i valori di INR erano stabili (circa 3,0), fino a 2-4 settimane dalla dimissione. Il paziente assumeva anche digossina (125 µg/die), captopril (25 mg 3 volte al dì) e furosemide (40 mg/die). Sei settimane dopo la dimissione ospedaliera, comparvero versamento pleurico destro e versamento pericardico. L'INR era 5,5 e l'emoglobina era 7,6 g/dl. Il paziente confermò che stava assumendo la dose prescritta di warfarina. Ammise inoltre che, prima che si verificasse tale evento, aveva assunto quotidianamente un decotto a base di danshen per due settimane. La terapia con warfarina fu sospesa e furono somministrate 6 unità di plasma fresco refrigerato per oltre due giorni per ridurre l'INR a 2,9, fu necessaria anche una trasfusione di eritrociti. Fu inserito un tubo di drenaggio nella parte destra del torace e furono drenati > 4,5 litri di sangue non coagulato. Successivamente, l'ecocardiografia confermò la scomparsa sia del versamento pleurico che di quello pericardico. Nelle successive due settimane, fu ripresa gradualmente la terapia con warfarina e, alla dose di 5 mg/die, l'INR si stabilizzò a circa 3,0. Dal momento che l'unico agente introdotto dopo che l'INR si era stabilizzato è stato il danshen. si è sospettata tale erba medicinale come fattore scatenante l'effetto anticoagulante esagerato e le complicazioni emorragiche.
Alla luce di questi dati, è opportuno evitare l'uso del danshen in pazienti che assumono warfarina (Chan, 2001).
Gingko (Gingko biloba, Baiguo, Baiguoye)
Pianta molto diffusa in Giappone, con virtù mediche sfruttate sia dalla MTC che dalla Medicina kampo (Medicina Tradizionale Giapponese) (Giullaume et al., 1987). In Cina, tradizionalmente, si usano sia i frutti (baiguo) che le foglie (baiguoye). Al primo rimedio si attribuisce azione astringente sul jing (utile per spermatoree, prostatorree e leucorree) e sui Liquidi (azione anti-diuretica), al secondo effetti sui tan con riduzione di colesterolo e trigliceridi (Roi, 1955). A dosaggi massimi (10,5 g giornalieri) le foglie favoriscono la discesa del Soffio dal Pomone al Rene e pertanto trattano l’asma e le dispnee (Giullaume et al., 1987). La ricerca scientifica moderna (Tang et al., 1992) dimostra che l’estratto di foglie è in grado di migliorare la perfusione sanguigna sia centrale che periferica ed è particolarmente utile in corso di depressione senile (Beaubrun et al., 2000), Alzheimer (Sienkiewicz-Jarosz et al., 2000), condizioni demenziali (Wittestein, 2000) ed arteriopatie periferiche (Reust et al., 2000). L’estratto di Gingko è in grado di proteggere l’endotelio capillare (Campos-Toimil, 2000), di attivare la fosforilazione ossidativa della catena mitocondriale (Fosslein, 2001) e si rivela dotato di vigorosa azione antiradicalica (Westman et al., 2000). Da tempo è nota l’azione anti-PAF ed antiaggregante piastrinica dell’estratto di Gingko che, pertanto, va evitato in associazione con antiaggregganti come acito acetilsalicilico o ticlopidina (Fiorenzuoli, 1997). Tuttavia si segnalano sanguinamenti post-chirurgici in pazienti o anziani o con disfunzione epatobiliare che consigliano, nelle terapie protratte con Gingko, un controllo periodico dei valori di PT, PTT e INR (Fessenden et al., 2001). Quattro case report hanno suggerito che si possono verificare emorragie spontanee durante l’uso di Ginkgo e che ciò può essere associato ad effetti avversi sulle piastrine (Rowin et al, 1996; Gilbert 1997; Lewis et al., 1997; Rosenblatt et al., 1997, Fugh-Berman, 1999).Inoltre fra il 1996 ed il 2000, in Germania, si sono segnalate molte forme anafilattiche cutaneo-mucose gravi da estratti di Gingko (Mossabeb et al., 2001). Gli studi allergologici condotti presso il Dipartimento di Patofisiologia dell’Università di Vienna hanno consentito di valutare la presenza, nell’estratto di foglie, di allergeni in grado di elicitare risposte di tipo IgE. Poiché, inoltre, sono possibili reazioni crociate, il rimedio va evitato in soggetti con polisensibilizzazione pollinica (Massabeb et al., 2001). In soggetti atopici, invece, riteniamo sia utile, mensilmente, valutare i livelli di ECPs che possono, sopra a valori di 12 mg/100ml, anticipare una reazione avversa (Lotti, 2001). Alcune reazioni avverse di tipo orticarioso possono tuttavia essere legate al rilascio di sostanze citochino-simili e, pertanto, nei soggetti con dermatite atopica, eczema seborroico o prurito persistente il rimedio va usato con prudenza (Arthur et al., 2001). Del tutto recentemente segnalato un caso di grave sindrome di Sweet in una donna con rettocolite ulcerosa, connesso con l’uso di estratto di Gingko biloba e presumibilmente legato all’azione citochino-simile dei vari principi attivi (Diaz-Peromingo et al., 2001).
La vigorosa azione attivante le catecolamine ed i neuropeptidi centrali (Tarnopolsky et al., 2001) può elicitare, in soggetti predisposti, gravi crisi comiziali (Miwa et al., 2001). Questa evenienza è più frequente associando rimedi a forte azione eccitatori centrale, come Gingko, Efedra, Iperico e Ginseng (Kaye et al., 2000). Una lettera recente, apparsa il 20 febbraio 2001, su Annals of Internal Medicine (Gregory, 2001) solleva tale problematica ed invita i sanitari ad indagare su casi simili e a darne comunicazione.
L'autore della lettera riporta quanto segue:1. Il sistema di monitoraggio degli eventi avversi degli elementi nutritivi (SN/AEMS) dell'FDA riporta 7 segnalazioni di convulsioni associate a Ginkgo biloba. Di esse, 4 erano associate a prodotti con più ingredienti e 3 a preparazioni, in cui il ginkgo era l'unico ingrediente, ciascuna prodotta da una industria diversa.
2. Nel Massachusetts General Hospital Neurology Web Forum, un paziente ha segnalato di avere avuto convulsione a partenza dal lobo temporale dopo aver assunto ginkgo.
3. Al forum "Who Knows the Answer" del Pharmacist's Letter, un farmacista ha descritto il caso di un paziente che ebbe attacchi severi di cefalea e sviluppò convulsioni dopo aver assunto ginkgo.
4. Alla mailing list dell'Idaho State University Ambulatory Care, un farmacista ha descritto il caso di una donna che ebbe convulsioni dopo aver bevuto tè che si sospettava contenesse ginkgo.
5. Su MEDLINE, EMBASE, o International Pharmaceutical Abstracts online database, non sono state trovate segnalazioni di convulsioni associate alla formulazione utilizzata più frequentemente di ginkgo, estratto di foglia di ginkgo. Tuttavia, in precedenza le convulsioni sono state associate a preparazioni con semi di ginkgo.
Non è chiaro come il ginkgo possa stimolare le convulsioni. In ogni modo è stato dimostrato che il ginkgo produce alterazioni nell'encefalografia analizzata al computer simili a quelle viste con il farmaco tacrina (Itel et al., 1996). Un'altra possibilità è che i prodotti a base di ginkgo utilizzati nei casi descritti erano stati contaminati con semi di ginkgo. Sulla base di questi dati limitati, è impossibile determinare la causalità con certezza. Sembra evidente che finché non ci saranno maggiori informazioni è necessario utilizzare il ginkgo con cautela ed evitare di consigliarlo a soggetti che potrebbero essere predisposti ad epilessia o che stanno assumendo altri farmaci noti per la capacità di stimolare epilessia (Itel et al., 1996; Gregory, 2001). Nel caso di soggetti che assumono Gingko in fase preoperatoria occorre ricordare (Kay, 2000):
Effetti farmacologici
Problemi perioperatori
Raccomandazioni
Inibizione del PAF (platelet activating factor)
Può aumentare il rischio di emorragie, specialmente quando associato ad altri farmaci che inibiscono l'aggregazione piastrinica.
Sospensione almeno 36 ore prima dell'intervento chirurgico
Ginseng (Panax ginseng, Renshen)
Ritenuto in occidente una sorta di panacea del tutto priva di effetti collaterali (Cheng, 2000), svolge un’importante azione di stimolo sulla corteccia surrenale, incrementa l’attenzione e la pressione arteriosa e sembra dotato di azione immunomodulante (Fulder, 1984; Ang-Lee et al., 2001; Corradin et al., 2000). Secondo le indicazioni tradizionali tratta con vigore la Yuanqi, astringe i Liquidi jin, controlla lo Shen e rinvigorisce Polmone e Milza (Cheung, 1980).Nonostante siano descritte, su modelli animali, molte diverse azioni delle saponine (ginsenosidi) con effetti stimolanti sul sistema nervoso, adattogeni, eupeptici ed ipoglicemizzanti, l’unico ruolo realmente provato nell’uomo è sull’incremento della pressione arteriosa, che ne fa rimedio molto efficace in corso di ipotensione ortostatica o posturale (Petkov, 1993; Fiorenzuoli, 1997).Sembra essere in grado di accelerare la calcificazione della cartilagini metafisarie e, pertanto, è controindicato in età giovanile (Cheng, 2000). Inoltre può indurre insonnia ed ipereccitabilità negli anziani (Fiorenzuoli, 1997). Se assunto con Efedra, Gingko, Iperico e Aglio può determinare puntate ipertensive con rischio di fatti apoplettici cerebrali (Bensoussan et al., 2000). Una recente rewiew dimotra che, come altri vigorosi tonici del Qi può determinare gravi emorraggie. Soprattutto segnalati, per usi prolungati, eposidi persistenti di metrorraggia sfuggiti al trattamento con antiguagulanti e progestinici (Palop-Larrea et al., 2000). Anche per uso topico il Ginseng si rivela in grado di produrre, a lungo andare, delle metrorraggie (Hopkins et al., 1988). Esso può comportarsi da inibitore competitivo dei siti di legame degli estrogeni e del progesterone nel citosol miometriale umano (Punnonen et al., 1980). Può perciò avere attività estrogenica e può rappresentare un rischio inatteso di emorragia nelle donne sia in età fertile che in postmenopausa (Greenspan, 1983).
Segnalato di recente un caso di ipoglicemia farmaco-indotta in un soggetto in terapia antivirale, che assumeva contemporaneamente un preparato a base di Ginseng e Cola (Castiglione, 2001). Nel mese di agosto 2000 il paziente aveva iniziato una terapia antivirale a base di interferone [IFN] (3MU x 3/sett.) e ribavirina (1g/die) a causa di un'epatite cronica attiva HCV-correlata istologicamente documentata. Assumeva, inoltre, giornalmente 2 capsule di un preparato contenente Panax ginseng estratto secco (120 mg pro capsula) e Cola noci estratto secco (80 mg pro capsula). La terapia antivirale veniva sospesa nel mese di settembre per il manifestarsi di ripetuti episodi, apparentemente post-prandiali, di ipoglicemia sintomatica, con documentate glicemie fino a 25 mg/dL. Dopo la sospensione dell'IFN gli episodi ipoglicemici sono proseguiti e pertanto si decideva di ricoverare il paziente. (una curva da carico glicemico, effettuata poco prima del ricovero, aveva infatti dimostrato una glicemia di 45 mg/dL al 90° minuto). Il paziente negava l'assunzione di alcolici o esotossici e riferiva di essere stato sottoposto, nel 1991, ad emitiroidectomia destra per nodulo tiroideo (neoplasia follicolare), con conseguente lieve ipotiroidismo subclinico (FT3, FT4 nei limiti, lieve aumento del TSH).L'assunzione del preparato a base di Ginseng veniva sospesa al momento del ricovero. Non si è documentato alcun altro elemento in grado di fornire una spiegazione all'ipoglicemia. In particolare gli esami strumentali (Rx-grafia del torace, ecografia addominale, TAC addominale e cerebrale, scintigrafia tiroidea), assieme ai dosaggi di: insulinemia basale, cortisolo sierico ed urinario, epinefrine urinarie, ACTH, HPRL e GH, hanno permesso di escludere altre condizioni ipoglicemizzanti sia in ambito metabolico, che ormonale o paraneoplastico.
Durante il periodo di degenza, il paziente - in wash out terapeutico - è rimasto asintomatico.
Sono stati effettuati inoltre OGTT, test del digiuno (interrotto spontaneamente dal paziente dopo 20 ore), e misurazioni seriate della glicemia. Non si sono riscontrati ulteriori episodi ipoglicemici.E' da notare come dopo la sospensione della terapia antivirale gli episodi ipoglicemici sintomatici sono persistiti per tre settimane, mentre sono terminati quando il paziente ha interrotto l'assunzione del prodotto contenente Ginseng. A commento di tale osservazione va detto che rari casi di ipoglicemia sono riportati in letteratura, quale effetto collaterale dell'interferone. Nel caso in oggetto deve ritenersi che l’ipoglicemia sia stata potenziata, se non direttamente provocata, dall'assunzione di Ginseng, per il quale esistono numerose segnalazioni di una blanda azione ipoglicemizzante postprandiale, qualora venga assunto contemporaneamente o poco prima del pasto (Petkov, 1993; Fiorenzuoli, 1997; Corradin et al., 2000). Inoltre, la presenza di estratto di Noce di Cola (che contiene una discreta quantità di caffeina) potrebbe aver accentuato i sintomi dell'ipoglicemia mediante potenziamento della risposta adrenergica (Brinker, 1998; Buchanan et al., 2000). E' verosimile che nessuno dei farmaci, assunto singolarmente, avrebbe determinato una significativa ipoglicemia, mentre l'associazione ha provocato un calo glicemico di un certo rilievo (Castiglione, 2001). Il caso ci consente di ribadire la necessità di particolare cautela nell'utilizzo di fitoterapici a base di Ginseng in pazienti con tendenza all'ipoglicemia e ribadire l'obbligo di porre grande attenzione alle possibili interazioni di questi preparati con altri farmaci o fitoterapici assunti in associazione dai pazienti (Brinker, 1998; Eskinazi, 1999). Come per l’Efedra ed il Ginkgo esistono delle considerazioni importanti in fase perioperatoria (Kay, 2000):
Effetti farmacologici
Problemi perioperatori
Raccomandazioni
Riduzione della glicemia; inibizione della aggregazione piastrinica (anche irreversibile); aumento di PT-PTT negli animali; molti altri effetti
1. ipoglicemia;
2. aumentato rischio di emorragie
3. interazioni con la warfarina.
Sospensione almeno 7 giorni prima dell'intervento chirurgico
Conclusioni
I rimedi erboristici cinesi sono estremamente efficaci, ricchi di principi farmacologicamente attivi ed in grado di produrre effetti collaterali legati o a difetti di produzione o, più spesso, ad errori nei dosaggi, nelle prescrizioni o nella scelta dei pazienti. La totalità delle più recenti review (Ang-Lee et al., 2001; Beaubrun et al., 2000; Lindle et al., 2001) dimostra che le reazioni avverse potrebbero essere evitate conoscendo meglio costituinti ed interazioni farmacologiche. Diverso il rischio di reazione allergica segnalata sia per singole piante (vedi Gingko) che, più spesso, per miscele di tipo tradizionale (Eskinazi, 1999, Frieri, 2001). A tal proposito vanno segnalati alcuni lavori sull’effetto trombopenizzante di un prodotto erboristico Cino-Giapponese denominato Jiu ad effetto ipoglicemizzante (George et al., 1998: George et al., 1995). La segnalazione più convincente e recente è giapponese, pubblicata due anni or sono (Azuno et al., 1999). Una donna giapponese di 51 anni sviluppò emorragia gengivale e petecchie nel luglio 1998. Non soffriva di diatesi emorragica. Negli ultimi 10 anni, al controllo annuale, era presente iperglicemia per la quale non assumeva alcun farmaco. I risultati degli esami di laboratorio erano i seguenti: conta piastrinica 16 x 109/L, emoglobina 11,2 g/dL, leucociti 6,1 x 109/L con normale differenziazione, glicemia a digiuno 8,5 mmol/L, emoglobina A1c 8,0%. L'aspirato midollare era nella norma, anche il numero e la morfologia dei megacariociti. L'ecografia non rivelò splenomegalia. Le immunoglobuline G associate a piastrine (PAIgG), rivelate con il sistema ELISA, era 55,5 ng/107piastrine (range normale: 9,0-25,0). Non vi erano evidenze di patologia autoimmune. Inizialmente la donna negò di avere assunto farmaci. La prima diagnosi fu di diabete e porpora trombocitopenica idiopatica. Il diabete era ben controllato solo con la dieta. Sorprendentemente la trombocitopenia si risolse spontaneamente senza trattamento (conta piastrinica: 19 x 109/L il primo giorno, 492 x 109/L il settimo giorno). Questa osservazione portò gli autori a soffermarsi meglio sull'anamnesi, soprattutto farmacologica. La donna ammise di avere assunto Jui (Jui è il nome commerciale di un prodotto contenente 5 erbe: Sinomeni caulis et rizhoma, Glycyrrhizae radix, Aralia elata, Glechomae herba e Taxus cuspidata) per diversi giorni subito prima del controllo annuale nei precedenti 3 anni, perché aveva notato che abbassava la glicemia. Non solo era fallito l'obiettivo, ma ciò può averla sensibilizzata al Jui.
Ottenuto il consenso informato dalla paziente, fu eseguito un test di rechallenge con Jui, fornito come sacchetto di tè e infuso in 600 mL di acqua bollita. La donna assunse 200 mL di soluzione di Jui 3 volte/die. La conta piastrinica diminuì da 305 x 109/L a 2 x 109/L in un giorno. Ricomparvero numerose petecchie nelle gambe e nelle braccia la mattina seguente. Per evitare emorragie pericolose, la paziente fu trattata con prednisolone per via orale (30 mg/die per 5 giorni), gamma-globuline per endovena (400 mg/Kg/die per 3 giorni) e trasfusioni piastriniche (30 unità in 2 giorni). La conta piastrinica si risolse in 2 settimane e la trombocitopenia non si ripresentò più.
Non sono ancora stati stabiliti metodi di laboratorio che confermino una trombocitopenia iatrogena. D'altra parte può essere pericolosa un'esposizione diretta di un paziente ad un farmaco che si sospetta essere causa di trombocitopenia. Tuttavia, quando il farmaco sospettato è critico per il benessere del paziente, si può tentare un'esposizione. In questo caso il test di challenge è stato eseguito senza riduzione della dose in quanto in Giappone in genere si ritiene in modo errato che le erbe medicinali siano sicure e che causino raramente effetti avversi.
In questo caso, la relazione causale fra farmaco e trombocitopenia è stata provata dal test di rechallenge. Nel caso di questa paziente, la reazione è stata certamente imprevedibile in quanto legata ad un meccanismo immunitario (Azuno et al., 1999).Va infine segnalato che molti prodotti cosmetici e cosmeceutici per uso topico contengono oggi erbe cinesi (Ginkgo, Ginseng, ecc.) che possono attraversare la barriera cutanea e produrre effetti sistemici (Bologna, 2001). Il fatto che questi principi siano ancora poco conosciuti e che gli effetti collaterali ben documentati, deve indurre prudenza nell’impiego indiscriminato degli stessi in sostituzione di topici con principi attivi molto meglio conosciuti e standardizzati (Proserpio, 2001).
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