Libri da Leggere e Rileggere |
"T’invidio,
tu che lontano da discorsi e discordie
hai la testa appoggiata
a un guanciale di nuvole azzurre."
Li Po
L’esistenza ferita.
Modi di essere, sofferenze, terapie dell’uomo nell’inquietudine del mondo.
Di Sergio Moravia, Ed. Feltrinelli, Milano, 1999·
In un orizzonte culturale che ha respinto il dolore ai suoi margini attraverso le strategie opposte e complementari della fuga e della medicalizzazione fisicalistica L’esistenza ferita di Sergio Moravia riporta al centro, senza spaventarsene, il limite costitutivo dell’uomo "animale malato" di nietzscheiana memoria. Il sottotitolo del libro, "modi di essere, sofferenze, terapie dell’uomo nell’inquietitudine del mondo", dice i nuclei concettuali portanti attorno ai quali il pensiero di Moravia si raccoglie. L’uomo che ci viene proposto è quello che si conosce e si compie nella sua protensione verso il mondo, che cerca "fuori" di superare il limite, di colmare il vuoto che sente "dentro", l’uomo che si dà solo all’interno dell’Umwelt circostante. E proprio questa intenzione necessitata verso l’esterno, insieme a quel limite costitutivo, lo rende inevitabilmente esposto e vulnerabile. Ma se è quest’uomo, nell’unicità della sua esperienza, nell’imprevedibilità e irripetibilità del suo incontro con l’altro, nella complessità e inesauribilità del suo essere in relazione, quello al quale si indirizzano l’attenzione conoscitiva e la cura, allora le sue sofferenze non potranno essere pensate che plurali, nel loro "concreto" atteggiarsi nell’orizzonte di ciascuna esistenza. E in verità non basta ancora che non alla sofferenza, e, dunque, non alla solitudine o alla violenza guardino il filosofo e il terapeuta, ma al loro molteplice e reale compiersi, oltre l’astrazione del weberiano "tipo ideale" (la sofferenza, la solitudine), che non può soccorrere che come categoria ordinatrice di partenza. Occorre fare un altro passo e portarsi all’interrogativo di Kurt Baier (più volte riecheggiato nel libro): che senso avrebbe occuparsi della sofferenza senza un uomo che soffre? E’ quest’uomo che soffre, quest’uomo solo, quest’uomo che sceglie di affrontare (o fuggire) la vita con le strategie dell’avarizia o della prodigalità o di dirsi con il linguaggio della violenza (per citare alcune delle "Tipologie dell’umano" indagate nell’omonima parte quinta del volume) il termine di confronto, l’interlocutore del rapporto terapeutico, il soggetto dello sforzo trasformativo. Affrontare la sofferenza, guardare in faccia l’uomo sofferente che è l’altro, ma che sono anch’io, richiede il coraggio di rinunciare ad ogni esorcismo e ad ogni semplificazione. Di accettare lo sconosciuto e l’incerto, di abbandonare la filosofia riduzionistica del "nothing but", del "nient’altro che", che legge ogni umano sentire come il moto di un elemento fisico e nulla di più, di superare l’evoluzionismo scientifico delle prospettive biologistiche, che si proiettano ottimisticamente verso un futuro che darà tutte le risposte, dimenticando che quel che conta (perché è quel che cambia) sono le domande. Di smascherare la soddisfazione di chi si appaga della scoperta dei "come" fingendo di ignorare che il prezzo è la rinuncia alla ricerca dei "perché". E’ il profilo di una scienza impotente e muta dinanzi alle fiammate dell’irrazionale, che non sa riconoscere la propria complicità nelle fughe superstiziose dal reale, nelle attese miracolistiche, che non vede dietro le folle osannanti ai Padre Pio l’ombra del proprio insegnamento: che l’uomo è un meccanismo semplice e conoscibile e la sua esistenza "tecnicamente" controllabile e modificabile. Che non comprende che è il pharmakon, metà magia metà veleno, che muta le sue spoglie, perché la promessa salvifica viene delusa (come non potrebbe?), ma l’aspettativa resta e si indirizza altrove, all’altro orizzonte della promessa, quella religiosa, dimentica anch’essa della sua parola originaria, della sua missione di accompagnamento nel dolore e totalmente assunta, ormai, nella prospettiva concretistica e finita della soppressione di quel dolore, nel perseguimento della fissità senza rimandi di una beatitudine ipnotica. La proposta che si delinea non è la negazione illusoria e irresponsabile della malattia, dell’organico, del know how. Ma l’abbandono della prospettiva metafisica, il rifiuto della reificazione neocartesiana della psiche alla Popper-Eccles, la "naturalizzazione" della sofferenza psichica non implicano un’interpretazione esclusivamente "corporeistica". Ne’ possono risultare soddisfacenti le semplificazioni aritmetiche di certe equidistanze pilatesche: l’uomo è psiche e corpo, la cause del male sono psicologiche e sono insieme anche organiche. La proposta è, invece, riportare al centro l’uomo persona rispetto all’uomo organismo, che è solo un altro modo per dire la vecchia idea dell’uomo-macchina. E’ ribadire il concetto della sofferenza, che ci appartiene e ci fa uomini, rispetto a quello umiliante del "guasto", che rende inutilizzabili e mette ai margini, fuori della corsa, è disporsi all’aiuto lavorando alla riabilitazione, alla riappropriazione di un’esistenza che si è bloccata per traboccare di dolore, non alla riparazione/sostituzione della funzione danneggiata. Quello che emerge da questa acuta conoscenza del dolore, "vuoto mai riempito, ... desiderio mai esaudito, ... progetto mai realizzato", che può atteggiarsi a disperazione o a rassegnazione, il "grado uno della sopravvivenza: troppo per morire, troppo poco per vivere", che rinuncia ad ogni sguardo in avanti per concentrare le forze sul "tener duro" che "significa non mollare ... il complice abbraccio con la sofferenza", quello che emerge non è una disperazione cinica alla Cioran o la fissità tragica di certo cristianesimo agonistico. E’, invece, la convinzione che la vita dell’uomo è piuttosto storia che destino, è confidare nelle sue capacità trasformative, salvaguardandone la fedeltà alla propria vicenda, è porgere aiuto non con una terapia della malattia, ma, come si dice nel sottotitolo, con "terapie dell’uomo" che accompagnino il cammino verso un "desiderio-di-essere" che può essere ridestato additando l’altro a chi è aggrappato al se’, che da solo non può darsi, e indicando nel mondo, non il cosmo spaventoso che c’ignora, contemplato da Pascal, non la terra su cui siamo stranieri di Galimberti, ma la comunità degli uomini, l’irrinunciabile dimora. |
Etica e Medicina. A cura di Dietrich von Engelhrardt, Ed. Guerini, Napoli, 1994. I saggi contenuti in questo volume hanno il pregio di analizzare i compiti concreti delle diverse discipline mediche, con continui e circostanziati riferimenti alla casistica ed alla pratica quotidiana. Essi si propongono di delineare un quadro completo dell’attuale realtà medica nel mondo occidentale ed al tempo stesso di formulare proposte operative per permeare di umanità questa realtà, avendo di mira il bene e la volontà del singolo malato. Il coordinatore dirige l’Istituto di Storia della Scienza e della Medicina dell’Università di Lubecca ed è autore di vari volumi di filosofia della medicina e di etica. Anche se uscito da cinque anni (ed ormai quasi introvabile), il volume va assolutamente letto e riflettuto si può richierderlo a l’Istituto per gli Studi Filosofici, Via Monte di Dio, 14, Napoli). |
Introduzione alla Storia del Pensiero dell’Asia Orientale. Di Paolo Villani, Ed. La Città del Sole, Napoli, 1998. Da Giambattista Vico a Feng Youlan, si analizza la storia del pensiero orientale attraverso la Cina ed il Giappone, cogliendone gi aspetti mistico-religiosi, ma anche naturalistici, mistici e scettici. Soprattutto ben analizzato il pragmatismo giapponese, ponte di passaggio fra oriente antico ed attualità della sua visione trasposta nel mondo occidentale. Acuta e molto utile la prefazione del sinologo Adolfo Tamburello. Scarna ma essenziale la bibliografia.
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Wu
Wei.
La
Storia
del
Saggio
che
aveva
penetrato
i
segreti
del
Cielo
e
della
Terra.
Di
Henri
Borel,
Ed.
Neri
Pozza,
Milano,
1999.
Senza sterile erudizione ma con estrema, poetica semplicità, Henri Borel scrive un’interpretazione del taoismo in forma di racconto e compone, senza sforzo, un’elegia attorno a quest’antica filosofia cinese. Come ha commentato René Guenon "sicuramente una delle cose migliori che siano state scritte in Occidente sul Taoismo". Molto buona la postfazione, che chiarisce alcuni complessi passaggi del testo. |
Shag
Han
Lun
Yi
Shi.
On
Cold
Domage.
Di
Zhang
Ji
Zhong
Jing
(Traduzione
e
Commento
di
Graig
Mitchell,
Nigel
Wiseman
e
Feng
Ye),
Ed.
Paradigm
Publictions,
Brookline,
1999.
Zhong Ji è stato definito l’Ippocrate Cinese ed il suo testo il più importante (con il Nei Jing) fra i classici relativi alla MTC. Tradotto in inglese con testo Pinyin a fronte, il presente libro è la più completa fra le molte edizioni del Trattato delle Malattie da Freddo. I commenti, poi, sono puntuali, chiari e veramente articolati e meticolosi. |
The
Five
Elements
of
Self-Healing:
Using
Chinese
Medicine
for
Maxumun
Immunity,
Wellness
and
Healing.
Di
Jason
Elias
and
Katherine
Ketcham,
Ed.
Harominy
Books,
New
York,
1997.
Interessante excursus sui sistemi di terapia ed i risultati pratici che si possono ottenere con agopuntura, massaggio, dieta, erbe, tecniche ginnico-coporeee, nelle malattie da deficit immunitario o nei soggetti incurabili e terminali. Basandosi sulla grande regola dei 5 Movimenti, gli AA analizzano le basi teoriche, presentano le metodiche diagnostico-terapeutiche ed analizzano i trattamenti ed i risultati in corso di AIDS, neoplasie ed altre gravi malattie di questi nostri anni. Molto avvincente la nota conclusiva che paragona e raffronta il pensiero originario cinese a quello del filosofo americano contemporaneo John Sullivan, il quale soleva ripetere "nei grandi sconvolgimenti vi sono solo due possibilità: aprire o chiudere la mente. E’ convivente, di solito, allargare ed espandere il nostro mentale".
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Botanical
Medicine.
Efficacy,
Quality,
Assurance
and
Regulation.
David
Eskinazi
(Editor),
Ed.
Mary
Ann
Library,
New
York,
1999.
Il più aggiornato e completo testo statunitense sulla fitoterapia, che si preoccupa degli elementi chimici e farmacologici, ma anche della clinica, del controllo di qualità e della necessaria regolamentazione. Mark Blumenthal, Presidente dell’American Botanical Council, l’ha definito una pietra miliare della Medicina Erboristica recente. |
Agopuntura
2.2,
di
Ioan
Florin
Dumitrescu,
CD,
Ed.
Nuova
Ipsa
(Infolibro
99)
Palermo,
1998.
Con la regia di Liliana Bad Dumitrescu, un innovativo trattato di studio e consultazione multimediale, con sezione su meridiani, punti e patologia generale medica e chirurgica, utilissimo per gli studiosi sia d’agopuntura tradizionale che di neuroreflessoterapia. Il programma gira con rapidità, è molto duttile, veloce, facile da avviare, comprendere e gestire. |
Farmacologia
Cinese.
Formule
e
Strategie,
di
Dan
Bensky
Randall
Barolet
(edizione
italiana
a
cura
di
Roberto
Gatto),
Ed.
CEA,
Milano,
1999.
Attesa edizione italiana del testo più celebre, nel mondo occidentale, di formule erboristiche cinesi. Tradotto ed aggiornato da Roberto Gatto, è arricchito d’appendici preziose tanto per il neofita che per il cultore. Soprattutto il glossario dei polsi ed il formulario dei sintomi e delle patologie ci paiono di pregevole livello. Apprezzabili, ancora, la chiarezza del testo e la ricca bibliografia, relativa tanto ai classici che a lavori moderni. Molto utile, infine, la lista dell’Associazione per la Farmacoterapia Cinese, con suddivisione chiara dei principi tradizionali. Un libro per formare ed informare, ma anche un prezioso ausilio per la pratica professionale, che arricchisce la già eccellente produzione della Casa Editrice Ambrosiana. |
Moxibustione.
I
principi
fondamentali
e
la
clinica,
di
Nicolò
Visalli,
Roberto
Pulcri,
Ed.
CEA,
Milano,
1999.
Agile manuale sull’ignibustione cinese tradizionale, che n’esplora attraverso, 200 pagine di agile testo, gli aspetti teorici e pratici, le indicazioni e le strategie cliniche, in relazione alle più frequenti patologie, peraltro in bell’ordine alfabetico. Molto curata l’edizione ed approfonditi i vari paragrafi. Un libro davvero da non perdere. |