EDITORIALE

"Metti la maschera se vuoi toglierti la maschera"

Walter Orioli, Parsifal, 1999, 2 (1): 6

 

Il buddismo c’insegna che tre sono le imperfezioni del carattere, i tre fuochi che dobbiamo far bruciare nella mente, fino a quando non siano completamente esauriti:

  • Dosa: cioè l’errore, l’odio, l’ira e la cattiveria.
  • Hoha: l’illusione, l’ottusa stupidità.

  • Raga: che equivale al desiderio incontrollato, alla passione, all’eccessivo attaccamento.

In definitiva le stesse cose, con parole diverse, sono state indicate da altre religioni e filosofie morali (il cristianesimo, l’islamismo, il taoismo), come autentiche limitazioni esistenziali.

Se questi "errori caratteriali" non vengono cancellati, ogni opera appare imperfetta e destinata al fallimento.

Per questo, prima di licenziare ogni numero, c’interroghiamo sul suo scopo, sul suo carattere, sulla "sua tendenza karmica", ovvero su eventuali "peccati originali".

Questo numero, che torna ad interessarsi solo di Medicina Tradizionale Cinese, nasce all’insegna dello "smascheramento" e del "doppio".

Ad ogni Autore si è chiesto di essere dotato di un doppio segno e di un doppio senso e di scrivere articoli da leggere ad occhi aperti e riflettere ad occhi chiusi (come eco prodotta in me da " Eyes wide shut" di Kubrick e dalla rilettura del romanzo originale di Schnitzler). Ho anche chiesto a tutti (me compreso) di scrivere in piena libertà, ma "mettendoci l’anima intera".

Il risultato, di là dai singoli contributi, è un viaggio nell’inconscio de La Mandorla, un inconscio barocco, complesso, dissimulato dietro un’apparenza piana, semplice, lineare.

Troppo spesso, in passato, ci siamo preoccupati di "piacere", di assecondare l’immagine che gli altri (i lettori più assidui e noti) si erano fatta di noi. Con questo numero ci "smascheriamo", ci presentiamo per ciò che siamo, attraverso contributi diversi, ma tutti costruiti su modelli che si prestano a diversi piani di lettura (e di riflessione).

Freud riteneva che l’identità del singolo si forma attraverso processi d’identificazione con l’altro, ma questo, per dirla con Jung, porterebbe a concludere (ricordate anche Pirandello) che siamo soprattutto ciò che altri sono portati a pensare di noi.

In questo modo vi sarebbero solo maschere, personaggi e non persone.

Dopo lunga ed animata discussione abbiamo deciso di denudare i nostri animi, presentandoli attraverso interventi apparentemente solo tecnici ed invece da riflettere ad ogni singolo passaggio.

In definitiva ciascuno di noi, nei diversi articoli, ha tentato di dare una spiegazione del suo quotidiano, di ciò che la vita giornalmente gli propone (in termini di scelta dei punti o dei trattamenti di affezioni comuni).

Pertanto il numero è il frutto di valutazioni molto diverse fra loro (pragmatiche alcune, eteree altre), ma tutte accomunate dalla metodologia della comparazione e dalla "scepsi del dubbio".

Forse esso risulterà specialistico, tecnico e pertanto poco fruibile, ma certo è molto vero, autenticamente incline a mostrare, con "occhi non chiusi o sbarrati", la "visione" che abbiamo del mondo e dei suoi numerosi problemi (attraverso le lenti della Medicina Tradizionale Cinese).

E’ così che intendiamo imbastire il nostro ordito di pratica clinica: una "medicina fra amici" e non "fra estranei" (per dirla con Mark Siegler), che presuppone una relazione medico-paziente caratterizzata da un’elevata empatia e da una propensione critica capace di trovare di volta in volta risposte diverse e riposte "altrove", rispetto a disponibilità ed algoritmi usuali e noti . In altre parole (e con tutti i limiti del "doppio smascherato"), ci siamo proposti il rendiconto fedele ("demistificato") di una medicina, anche alternativa, attuata secondo "observatio e ratio", ma soprattutto con "anima e sangue" . Ha ragione Francesco Io dice quando scrive "ogni paziente ha il medico che si merita". In un periodo in cui tutti sembrano molto sicuri della loro tecnica e del livello delle loro conoscenze, solo un drappello di "disperati" continua col tormentato "Gesù fate luce", senza la persuasione che la tecnica ed il livello delle sue conoscenze sia propriamente al top. Come i personaggi di don Mimì Rea, costoro sentono che la sicurezza è un difetto morale e che sbandierarsi "diversi" non serve per la causa comune.

Così, mentre alcuni epigoni d'Omero, pensano di vincere la cittadella della medicina scientifica con espedienti e "cavalli di Troia", altri, pur non essendo Atridi, si battano per la sopravvivenza delle medicina più in generale, senza distinzione fra scienze umanistiche e tecnicismo, nella convinzione che la verità non è assoluta e si raggiunge attraverso ragionevoli dubbi.

Carlo Di Stanislao