Editoriale
"Ogni scienza ha altre scienze accanto a sè, ed è perciò una scienza particolare; e dove supera i limiti del proprio oggetto particolare, tende a trasformarsi in filosofia."
Giuseppe Gentile"La nostra paura più profonda non è per l'essere inadatti. La nostra paura più profonda è l'essere potenti al di là della misura. E' la nostra luce a spaventarci, non la nostra oscurità. Ci chiediamo chi siamo noi per essere brillanti, magnifici, talentuosi e favolosi? Effettivamente,chi sei tu per non esserlo? Tu sei un Figlio di Dio. Il tuo farti piccolo non serve nulla al mondo. Non v'è nulla di illumunante nella timidezza che rende insicure le persone attorno a te. Siamo nati per anifestare la gloria di Dio che è con noi. Non è solo in alcuni ma in tutti noi. Se lasciamo crescere la nostra stessa luce, permetteremo ad altre persone di fare altrettanto. Quando veniamo liberati dalla nostra paura, la nostra presenza automaticamente libererà altri. "
Nelson Mandela
" Tu non sei legato, l'anima delle cose è dolce."
Fernando Pessoa
Con l’affermarsi ed il diffondersi delle MnC, persuasi che i riconoscimenti sinora ottenuti[*] siano più burocratici che scientifici o culturali[†], abbiamo tentato di moltiplicare gli sforzi ed i contributi per dare nuova sostanza e credibilità maggiore alla materia. Negli ultimi tempi, ci siamo convinti della necessità di concentrarci, con costanza crescente, sulla antropologica[‡], soprattutto sull’’antropologia medica che, nel nostra paese, ancora è rappresentata da pochi ed inattinti cultori. L'Antropologia, cioè l'insieme delle scienze il cui oggetto di studio è l'essere umano, si può dire che nasca proprio con l'uomo. Tuttavia viene considerata una scienza recente, soprattutto per quanto concerne la messa a punto metodologica. Ma i suoi precursori appartengono agli anni del 1700, per non portarci ancora molto più indietro, e raggiungere la figura di Erodoto. Lo studio dell'Antropologia, dunque, riguarda le comunità umane e come lo studio delle medicine tradizionali, è ancora fraintesa nei suoi “topos” e nei suoi innumerevoli contributi. All'interno di ciascuna comunità umana l'antropologo si occuperà di studiare il sistema sociale, le strutture parentali, l'economia, le credenze, le modalità di diagnosi e cura degli stati patologici, l'economia, ecc[1]. In altri termini, l'Antropologia si occupa di analizzare e comprendere tutte le manifestazioni culturali, facenti capo alle comunità umane. In questo senso, molteplici sono le branche dell'Antropologia: il vissuto umano si esplicita attraverso una miriade di sfaccettature. Così, per lo studio dell'economia avremo l'Antropologia economica, mentre i sistemi sociali saranno studiati dall'Antropologia sociale; i sistemi medici, riceveranno l'attenzione dell'Antropologia medica e la struttura fisica e morfologica dei gruppi umani, sarà l'oggetto di analisi dell'Antropologia fisica. L'Antropologia culturale, concentra la sua attenzione sul concetto di cultura, che, in una prospettiva antropologica, riguarda le credenze, le tradizioni, i miti, le religioni, l'economia, la medicina, i sistemi parentali di un gruppo umano determinato storicamente e geograficamente. L'atto performativo, viene inoltre esaminato dall'Antropologia teatrale, mentre i processi di urbanizzazione dall'Antropologia urbana. Inoltre, recenti connessioni esistono tra la disciplina antropologica e la Demografia, la Storia, la Linguistica, la Geografia, la Medicina e in particolare la Psichiatria, etc. Questa interdisciplinarietà è sempre più necessaria per comprendere pienamente la complessità dell'essere umano[2]. La ricerca antropologico ci consentirà, infatti, di approfondire alcuni aspetti che sono centrali nell’excursus delle MnC. La medicina e' entrata a pieno titolo nei campi del sapere umano che più hanno risentito del progresso scientifico. L'antico rapporto tra arte e tecne' sembra essersi del tutto risolto a favore della seconda forma, relegando l'arte medica in secondo piano. La medicina ha comunque pagato un prezzo nella scelta del campo tecnico-scientfico. Affinchè potesse guardare scientificamente l'uomo ha dovuto oggettivarlo e rimuoverlo come soggetto. La rimozione del soggetto, infatti, qualifica il passaggio della medicina come arte alla medicina come scienza Il ribaltamento imposto dall'oggettività rende soggetto un inesistente universale: la malattia, e oggetto un particolare: l'uomo malato. E' concentrandosi sulle differenti manifestazioni del corpo al fine di identificarle, organizzarle in degli insiemi più vasti, reperirne i meccanismi e svelarle le diverse cause ed eziologie, che la medicina ha costruito il suo oggetto: la malattia. Il discorso medico è un discorso sulla malattia e non sull'uomo: il malato è là solo come informatore di uno stato manchevole del corpo . Ma tutto questo avrà un reale valore solo se giustamente collocato in un contesto di tipo innanzitutto antropologico, altrimenti avrà il sapore di assunti tanto ragionevoli quanto solo enunciativi[3]. Va aggiunto, e non a margine di quanto detto, che l’'oggettivazione permette una micronizzazione degli oggetti studiabili e la creazione di specialisti. La specializzazione della medicina, infatti, e' il segno tangibile del progredire delle conoscenze scientifiche e del contemporaneo apparire di strumenti diagnostici e terapeutici derivati dalla applicazione scientifica. La specializzazione rappresenta la modalità peculiare della Scienza moderna: per poter affondare lo sguardo scientifico e indagare si deve, innanzitutto, delimitare un campo della realtà e considerarlo come indipendente e isolato dal resto del mondo. L'oggettivazione della medica porta però a ridurre l'importanza delle altre dimensioni della malattia[4]. Nella diagnosi il medico mentalmente sovrappone la forma del caso clinico del malato a quella delle malattie che conosce tentando di trovare la stessa configurazione: la diagnosi avviene quando la forma del malato combacia con quella della concezione scientifica accreditata della malattia. E' il malato, quindi, a dover essere informato alla malattia. Occupati a chiarire come un processo biologico che riguarda il corpo di un individuo è definito e trattato dalla medicina, impegnandosi a mostrarne le modalità gli effetti spesso si è dimenticato l'altro volto della malattia. Per noi tutti essa è non solo l'insieme dei sintomi che ci spinge dal medico, essa resta l'avvenimento sventurato che minaccia o modifica immediatamente la nostra vita individuale[5]. Nella dimensione scientifica attuale, ignara dei contenuti antropologici, essa è solo l'insieme dei sintomi che ci spinge dal medico e resta l'avvenimento sventurato che minaccia o modifica immediatamente la nostra vita individuale[6]. C'e' un'asimmetria logica tra medico e paziente: quando il medico formula una diagnosi ha in mente tutto il processo deduttivo e induttivo mediante il quale tale sintomatologia e' quella forma epilettica e non altro. Quando emettiamo una diagnosi è come se toccassimo con mano quell'entità clinica che ci si presenta come un puzzle ben completato. Appare, ormai chiaro, come la medicina, nella sua prassi, nel suo aver a che fare con la carne e con il cuore degli uomini, debba prestare ascolto anche al linguaggio antropologico. Un enunciato esplicativo ha sempre un referente sociale: il suo pieno senso e' solo in rapporto ad una data organizzazione sociale, religiosa e simbolica. Sotto questo aspetto la malattia esige sempre una interpretazione che va al di là del corpo individuale e dell'eziologia specifica[7]. Ha ragione Gilles Andrès[8] quanto scrive che le “medicine altre” abbisognano di “altre sensibilità” senza le quali più che accettate sembreranno fagocitate ed hanno ragione gli Editori della nuova rivista Acupuncture & Moxibustion, che, sin dai primi numeri, hanno immaginato una nutrita presenza di articoli antropologici. Ancora una volta è la cultura francese a spronarci in modo acuto e salvifico: oltre alla validazione ed al riconoscimento politico[9] [10], oltre ai vari encomiabili tentativi di creare percorsi integrati con la Biomedicina[11], occorre tutelare la dimensione “altra”, anche e soprattutto antropologica delle MnC. Credo sia giunto il momento di inserire nei piani di studio dei corsi relativi alla formazione in Agopuntura, Fitoterapia, Omeopatia, ecc., un congruo numero di ore sulla antropologia di base e sull’antropologia medica più in particolare. Oggi la medicina è dominata dalla clinica che ha nella diagnosi la sua finalità costitutiva. Mi sembra questo il paradigma kuhniano entro il quale il medico opera e appare lontana l'epoca di una "rivoluzione scientifica" umanistica capace di toglierci gli occhiali clinici per poter intravedere nuovamente l'anima. Solo l’antropologia, fra le scienze umanistiche concepite dal mondo occidentale, mi pare oggi in grado da scioglierci da questo insidioso limite e stringente vincolo esiziale. Tobie Nathan, maggiore esponente della scuola etnopsichiatrica francese, identifica due conseguenze catastrofiche del funzionamento del pensiero scientifico: "La prima è che, saldando il sintomo alla persona, la si separa dai suoi simili". Quando la persona è tutt'uno col suo sintomo diventa diversa dai suoi congiunti (padre, madre, fratelli), perdendo le sue appartenenze familiari, etniche e linguistiche. Diventa “oggetto di esperti” i quali, del resto, talvolta ne rivendicano il possesso. La seconda è del tutto evidente: farmacologi e psicoterapeuti possono dialogare all'infinito, anche solo per criticarsi reciprocamente. Riescono a dialogare perchè si intendono sull'essenziale -il sintomo deve saldarsi alla persona- mentre divergono sulla ripartizione delle parti elementari che rendono possibile il meccanismo di assegnazione del sintomo alla persona (struttura del cervello per i primi, struttura della psiche per i secondi)[12]. In definitiva la Biomedicina è divenuto trionfalistica e distante dai contenuto sociali, antropologici e culturali e dalle vere necessità del paziente; le MnC, rinunciando a queste esigenze, stanno rischiando di perdere la loro identità. Solo uno sforzo nella direzione di una ricollocazione conoscitiva antropologica della dimensione medica potrà, in futuro, rappresentare la giusta via per la corretta e compresa diffusione delle MnC[13] [14]. Ed alloro mi immagino un futuro di “scuole aperte” sul modello di quelle di Don Dilani, ove istanze e contenuti diversi possano trovare una collocazione parimenti dignitosa e rispettosa delle singole specificità e differenze. In una scuola così, forte degli insegnamenti antropologici, nessuna verità sarebbe presa per unica ed inviolabile, ma tutto, giorno dopo giorno, dovrebbe passare per il vaglio di ipotesi aperte e modificabili[15]. Palestre formative di questo genere (ovvero intrise di dati anche antrologici e di assunti epistemologici), essendo autenticamente “sperimentali” non si piegherebbero ad insegnare tesi “comode” (scientifiche o alternative), ma tutte le tesi possibili con pari forza, attenzione e rigore. Si tratta, in fondo, di non rifiutare alcun modello culturale e, attraverso una corretta analisi antropologica, lasciarlo fluire dentro le singole coscienze[16]. Se la mia generazione è riuscita, come elemento culturale e pregnante, a portarsi dentro il modello “americano” e quello “provinciale” di casa nostra[17] (amando blue-jeans e coca cola, lunghe sedute al bigliardo e bevute di buon vino, Salinger e Saul Bellow, ma anche Gadda e Silone, Woody Allen e Stiven Spielberg e ancora Fellini, Pasolini e Risi, Lauren Bacall e Jessica Lange, ma anche Claudia Cardinale, soprattutto diretta da Germi), credo che la futura generazione degli studiosi e dei praticanti di MnC sarà in grado di coniugare (senza pericolose ed impasticciate schizofrenie) la Biomedicina e le Medicine Tradizionali, con in più una valenza antropologica che oggi, davvero, è gravemente mancante. Ricordando un libro di Elena Soprano uscito otto anni fa, vorrei vedere realizzata un’idea nuova di Medicina e di pratica Medica, dove l’Yi Jing può giovare, a patto di rendere il responso del tutto rigoroso, coerente con i contenuti culturali dell’individuo, capace di seguire “la sublime riuscita, la disperante fierezza, di una completa e variopinta determinazione”[18]. Sono d’accordo con Paola Cipriani e Gianpiero Ciappina[§]: “la vita cambia se decidiamo di cambiare gli schemi mentali: questi possono aiutarci non solo a risolvere i nostri conflitti, ma anche a decidere di amare di più noi stessi e gli altri.” Tutto questo ci introduce in una dimensione esistenziale ed irrinunciabile dell’Antropologia, una dimensione che tutti i medici, soprattutto quelli di area “tradizionale”, debbono conoscere e possedere. In definitiva solo il recupero di una dimensione antropologica e di una attenzione tutta particolare alle esigenze del paziente, sarà possibile creare una classe medica nuova, capace di raccogliere la sfida di una sanità con riduzione di risorse e di individui sempre più bisognosi di “cure”[19].
Carlo Di Stanislao
[*] Vedi www.agopuntura.org/Documenti, www.sia-mtc.it ed ancora www.agopuntura-fisa.it/ e http://chimclin.univr.it/omc/
[†] Non basta affermate, come nella Proposta di T.U. di Legge sulle MnC dell’on. Lucchese(http://www.agopuntura.org/documenti/proposta_di_testo_unificato_legge_mnc.htm ) “La Repubblica italiana, nel rispetto dell’articolo 32 della Costituzione, riconosce il principio del pluralismo scientifico come fattore essenziale per il progresso della scienza e dell’arte medica e riconosce il diritto di avvalersi delle medicine e delle pratiche non convenzionali”, ma occorrerebbe una più ampia valutazione di contesto, e quindi di tipo antropologico, rispetto a questo assunto.
[‡] Si vedano i vari contributi su questo tema su www.sia-mtc.it/Pagine culturali e, ancora, in non pochi documenti su La Mandorla e Cineserie del nostro sito.
[2] Bonin L.:
[3] Salatillo G.:
[4] Spinsanti G.: Bioetica ed antropolologia medica, Ed. Carocci, Milano, 1991.
[5] Donati P., Ghidelli R.: Antropologia, Ed. Romane di Cultura, Roma, 1994.
[6] Guggenbühl G.A.: Al di sopra del malato e della malattia. Il potere «Assoluto» del terapeuta, Ed. Raffaello Cortina, Milano, 1987.
[7] Abraham G.: Peregrini C.: Ammalarsi fa bene. La malattia a difesa della salute, Ed. Feltrinelli, Milano, 1991.
[8] Andrès G.: Autre mèdicine autre écuote, Rev. Fr. D’acupunct., 2003, 113 : 4-5.
[9] Gatto R.: Audizione conclusiva alla camera: la posizione della SIA, http://www.sia-mtc.it/documenti/Proposte%20di%20legge%20mnc.pdf, 2003.
[10] Giovanardi C.M., Quirico P.E.: Medicine non Convenzionali, Audizione XII Commissione Affari Sociali della Camera, www.agopuntura-fisa.it, 2003.
[11] Gatto R., Di Stanislao C., Cracolici F.: Sul concetti di Medicina Naturale e verso percorsi integrati in campo medico, Riv. It. D’Agopunt., 2003, 105: 3-5.
[12] Montano G.: Medicina e Guarigione, tra scienza e cultura etnopsichiatrica, Anthropos & Iatra, 2000, 2 (IV): 20-26.
[14] AAVV: Antropologia & Sociologia della Medicina, http://fastnet.it/utenti/marinelli/filosof/antrosoc.html, 2003.
[15] AAVV: Una scuola una città, Ed. Marsilio, Milano, 1991.
[16] Agostinis V.: Periferie dell’anima, Il Saggiatore, Milano, 1996.
[17] Serra M.: Americani, Smemoranda, 1996, 10: 20-21.
[18] Soprano E.: La maschera, Ed. Baldini & Castoldi, Milano, 1995.
[19] Marcelli F.: Il punto di svolta, Omeonet, 2003, 7 (4): 24-27.